16.5.20
La volontà di pensare e agire per il bene comune
Lettera aperta al Presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte
(riguardante l’emergenza
covid 19)
Pregiatissimo Presidente,
mi sono risolto a scriverle perché è da più di un
mese, in questo frangente angoscioso per l’Umanità intera, che non riesco a
ricevere una risposta in relazione a una mia idea volta ad eliminare il covid
19 con un metodo non farmacologico. Ho sviluppato l’idea raffigurandola nel
disegno di un prototipo che ho cercato di proporre a politici e mass-media per
una valutazione approfondita, ma le mie svariate e-mail hanno sortito soltanto
silenzio. Avrei accettato pacatamente delle risposte del tipo «Il progetto non
è realizzabile» o «Il progetto è errato» accompagnate da brevi spiegazioni dei
“perché”, invece il silenzio, con il suo effetto d’indifferenza, mi ha
ricollocato malvolentieri nello stato d’invisibilità proprio della stragrande
maggioranza dei cittadini. Già: il cittadino che non si è esibito sui soliti
palcoscenici sociali non esiste o, forse, esiste soltanto allorché da
analfabeta traccia una “x” sulla scheda elettorale. Ma no! Neanche! Una penna
intelligente ha scritto: “se le elezioni
avessero un vero valore, non ce le farebbero fare”.
Tuttavia, siccome un certo numero di persone mi
consiglia di non desistere, io mi rivolgo a Lei nella certezza che un suo
parere in merito, magari confortato da un consulto con degli esperti da Lei
agevolmente reperibili, potrebbe determinare senza lasciar dubbi l’utilità
sociale o l’inutilità del progetto che desidero proporle in questa missiva.
Sempre che Lei voglia usarmi la cortesia di comunicarmelo, il suo parere.
Le persone che, sollecitandomi, confidano nella
speranza di trovare una soluzione, efficace nel far svanire l’incubo in cui si
sono svegliate circa tre mesi fa, sono psicologicamente sconcertate soprattutto
dalla rappresentazione mentale di una possibile convivenza con il coronavirus e
da come appaiono avvilenti le prime modalità d’attuazione di codesta convivenza
malsana. Alcune tra le prime ideazioni per la convivenza sembrano addirittura espressioni
di uno stato di follia: sulle spiagge cubi di plastica incolore dovrebbero
tener separati i villeggianti tra di loro (chi starebbe in spiaggia in queste
condizioni?); altra plastica per formare barriere sui tavoli dei ristoranti
così obbligando gli avventori a comunicare tra di loro usando cornette
telefoniche, come avviene in certe carceri; sagome di cartapesta, pazzesco!,
sugli spalti degli stadi invece che spettatori; lunghe file di cerchi tracciati
ad intervalli regolari su asfalto e marciapiedi e in ogni cerchio un utente in penosa
ed incerta attesa di poter salire su un autobus o un treno, mezzi di trasporto
con capienza ridotta dal virus e quindi impossibilitati nel garantire a
chiunque orari certi di partenza e di arrivo; anche negli aerei separé di
plastica e posti a sedere ridotti; controlli diretti su ogni spostamento delle
persone e visite quotidiane per verificare lo stato di salute di ogni
lavoratore, preoccupato di portarsi a casa il virus; e ho piluccato soltanto un
po’ dalla lista delle follie molto più lunga. Non so dire se in breve tempo ci
si troverà in un mondo abitato da marionette manovrate da un burattinaio
invisibile, ma il presentimento è fastidiosamente presente. “Tutto andrà bene”? Che strani effetti
possono originare le parole! Pacate locuzioni di speranza possono trasformarsi
in cinica ironia offensiva nei confronti di chi, per le irreparabili perdite
subite, sta urlando senza voce: “Tutto è
già andato troppo male.”
Insomma, concludono coloro i quali sono a
conoscenza del particolare progetto anticoronavirus, di fesserie se ne sono
sentite a iosa e a tutti i livelli, non sarà uno scandalo se nel mucchio
gettiamo anche la nostra. Questa, perlomeno, è sviluppata su una base di onesta
sensibilità umana. E se fesseria non fosse? Farebbe trarre un gran respiro di
sollievo al mondo intero.
Il nostro gruppo ha una cultura d’impronta
umanistica (salvo alcuni medici generici e specialisti), piuttosto che
tecnico-scientifica, ma… talvolta…
Prima di passare alla presentazione del progetto
avverto l’impulso a fare alcune considerazioni, che in altre circostanze
andrebbero meglio sviluppate. Qui le esprimo per il sol fatto che sono state il
motore nella mia ricerca di una soluzione per la pandemia.
Certo, il covid 19 ha preso tutti alla sprovvista
e ha evidenziato magagne croniche, più o meno presenti in tutte le Nazioni, ma
gli uomini (non tutti ma… molti ovvero troppi) si sono trovati costretti dallo
stato di cose tragico a palesare (in certi casi inconsciamente) quanto bacato e
limitato sia il loro modo di pensare che, prima del coronavirus, era ancora
abbastanza mascherato, quel tanto per poter apparire alle masse con sembianze
pressoché umane.
I mass-media dell’etere da mane a sera tendono a
far risaltare in mille modi (sempre inconsapevolmente?) che l’importanza dell’economia eclissa quella dell’essere umano.
Eppure anche un qualsiasi povero di spirito è in grado di capire che l’economia,
nell’impostazione fino ad oggi sostenuta, è destinata a scomparire per
incompatibilità ambientale e l’Uomo, se resterà aggrappato ad essa, non potrà
sperare in un esito diverso. «Bisogna riprendere a produrre a tutti i costi,
magari cercando di contenere alla meno peggio le perdite umane.» Ancora
produrre e ancora consumare cosa? In un pianeta vieppiù stremato e ridotto a
una appestata camera a gas?! Al massimo si potrà continuare a produrre
alimenti, magari meno avvelenati degli odierni che sono prodotti secondo le
malsane regole del profitto, esoso motore dell’economia. D’accordo: attualmente
un vero e sano cambiamento della condotta esistenziale si presenterebbe assai
complesso e necessiterebbe di tempi molto lunghi, ma almeno facciamo in modo di
non sacrificare altri esseri umani all’idolo balzano dell’economia. Cerchiamo
in maniera efficace di liberarci del covid 19 e poi forse ci sarà il tempo per
meditare convenientemente su una inversione a “u” nell’autostrada del
progresso.
E questo, tra i tanti, è un motivo inerente alla
mia proposta.
Passiamo ad altro.
Gli “scienziati”, con imbarazzo minimo, continuano
a ripetere che beh, sì, insomma la maggioranza dei decessi riguarda anziani con
addosso diverse patologie croniche, quasi a giustificarsi per aver scambiato un
virus micidiale per quello di un’influenza un po’ più accesa.
Intanto gli anziani si sono sentiti gettare sulle
spalle un grosso peso in più, aggravato dall’orrido pensiero che in caso di
emergenza sanitaria, accentuata dall’impreparazione, avverrebbe la scelta
disumana di chi curare tra un anziano e un giovane. Non c’è coscienza del fatto
che essere al mondo è unica e irripetibile occasione di esistere e che gli
anziani con tutta la loro cronicità avrebbero potuto vivere molti “giorni” in
più, se non fosse intervenuto il covid 19. Inoltre, il reale successo della
Scienza, quello di aver prolungato significativamente la durata della vita
dell’essere umano, viene parecchio sminuito proprio dalla malcelata noncuranza
nei confronti degli anziani, unici testimoni del successo stesso. Successo che
viene sminuito del tutto rivolgendo lo sguardo alle “case di riposo”, meglio definibili come “fatali sale d’aspetto”. Che
valore esistenziale può avere la longevità, se la sua fine può assumere aspetti
così tanto degradati e degradanti? Le “fatali
sale d’aspetto” non dovrebbero
proprio esistere, ma anche questo argomento esige tempi lunghi per essere
svolto in maniera tale da non dare adito a obiezioni di alcuna sorta, e non è
questo il momento adatto.
Ne portano di pesi, gli anziani! Sentono perfino
asserire sfacciatamente che sarà con il lavoro dei giovani che verranno pagate
le loro pensioni. E tutti i loro contributi versati durante il periodo di
attività? E i contributi versati da coloro i quali non ce l’hanno fatta a
raggiungere l’età della pensione? Tutti fagocitati e già digeriti, piuttosto
che averli fatti fruttare convenientemente, mentre gli “economisti” non
smettono di fare discorsi con parvenza di razionalità basati proprio
sull’oscenità della questione: giovani che devono trovare impiego per pagare le
pensioni degli anziani. Altro che razionalità! A me sembrano ragionamenti
scorretti con la pessima funzione di relegare nell’oblio le cattive gestioni e
le furfanterie del passato, che lasciano l’amaro sentore della probabile
reiterazione nel futuro. Intristiscono l’animo, piuttosto che essere gustate
per la loro ironia, certe battute di spirito come questa: «Il coronavirus è
socio dell’INPS.» Insomma, l’anziano è avvolto da un’atmosfera che sembra
suggerirgli di togliersi di mezzo, se vuole dare ancora un suo ultimo
contributo alla società. Invece l’anziano va protetto per molteplici motivi, il
principale dei quali, sebbene intuibile, ce lo fa capire meglio la psicanalisi:
la misura della sanità mentale è data dalla possibilità di estensione della
programmazione della propria esistenza nel futuro. La realtà, non
un’astrazione, della presenza del longevo, quindi, fornisce idealmente al
giovane la misura del tempo che potrebbe essere a sua disposizione per
realizzare le proprie aspettative. Un fattore eccezionale che infonde energia,
voglia di fare e di assaporare la vita con sentimenti positivi. In seguito il
giovane, ben che gli vada, diventerà anziano pure lui e capirà. Capirà che,
nonostante un bagaglio inestimabile di esperienze, non potrà più imbastire
programmi a lunga scadenza perché non avrà davanti a sé una figura garante del
tempo a venire. Capirà che anche l’anziano è stato giovane e che l’ultimo breve
lasso di tempo per l’esistenza ha un’importanza davvero straordinaria. A questo
punto può diventare divulgatore della memoria, tanto cara a Lorenz in quanto,
senza la memoria di com’era un tempo il mondo, non si potrà riuscire a
ripristinare un equilibrio ecologico secondo Natura e non secondo l’Uomo, di
per se stesso solo una piccola frazione della Natura. Ovviamente, per divulgare
è necessario che ci sia chi ascolta, ma sembra che tra i giovani l’interesse
sia debole, lo si è già notato da alcune generazioni. I giovani hanno perso la
giusta prospettiva nella visione dell’anziano, forse a causa dell’esplosione
incondizionata della tecnologia, e non vedono più nel longevo il “massimo”
concesso all’essere umano, bensì un “limite” fastidioso. E’ evidente, esempio
tra i tanti, che si dedicano a “sport” estremi per dimostrare a se stessi di
essere immortali. Questa immaginaria e ingannevole prospettiva esistenziale non
è certo una buona base su cui evolvere una maturità apprezzabile. In effetti,
assistere a come con assoluta indifferenza i giovani infrangano le regole
precauzionali imposte dal rischio di contagio, noncuranti di diventare un
mortale pericolo per gli anziani, rende esplicito il loro menefreghismo morale,
che non si discosta troppo dalla cinica massima “mors tua vita mea.” Probabilmente anche la consapevolezza, impudentemente
indotta dall’interesse politico, di dover lavorare per mantenere gli anziani,
ha contribuito ad intensificare il conflitto generazionale e la disattenzione
verso i longevi. Anche l’essenza spregiativa di certe locuzioni, come ad
esempio “un Paese di vecchi”, hanno senz’altro concorso allo svilimento della
figura dell’anziano. Il Potere, con la sua economia poco economica, abbisogna
di giovani che producano e consumino, mentre gli anziani già utilizzati, anzi
spremuti, non producono e consumano poco. Oh, che bello un mondo di soli
giovani inconsapevoli di diventare vecchi! Bello da impazzire!
Oltre ai tanti problemi, che opprimono gli anziani
in una società via via sempre più disumanizzata e avversa alla Natura, di
questi tempi si è aggiunto il coronavirus. Caspita! La depressione, sempre più
saldamente appollaiata sulle spalle degli anziani principalmente per
l’impossibilità sociale di proiettare aspettative esistenziali in un lasso di
tempo presumibilmente troppo breve, adesso è preparata per un assalto
dilagante. In effetti la presenza del coronavirus annulla quotidianamente ogni
minima speranza nel domani. La morte alita alle spalle di tutti, ma predilige
gli anziani. Basta una boccata d’aria e…
No, non si può scendere a patti di convivenza con
il covid 19, non si può giorno dopo giorno ascoltare discorsi di adattamento e
soluzioni folli che comprovano quanta ragione avesse Fromm asserendo che in una
società civile la follia non è tanto un disagio del singolo quanto quello di
milioni di persone che si reputano mentalmente sane per il sol fatto, non
convalidante, di essere una maggioranza.
La paura è diventata un sentimento generalizzato
che, lo si sa, influisce sul pensiero, e quindi sul comportamento, in maniera
assai più incisiva della normale preoccupazione. La paura può degenerare in
panico che annulla le facoltà mentali; può generare rabbia i cui effetti non
agevolano la risoluzione dei problemi, tanto meno quelli di carattere
prettamente sociale; può instaurare depressione e abbandono dando spazio alla
tristezza del fatalismo che rende inerti, socialmente inerti. In alcuni
individui, però, la paura attiva un processo di autodifesa che intensifica con
lucida freddezza intellettuale le capacità di ricerca di una possibile
soluzione. Quando accade che l’autodifesa sia rivolta a un pericolo comune ad
altri esseri umani, la ricerca personale di una soluzione per l’eliminazione
del pericolo diventa di utilità sociale.
La paura ha innescato in me proprio una reattività
che mi ha obbligato a ricercare una soluzione che non comportasse strascichi
indesiderati e comportamenti lesivi sia per il corpo sia per la libertà
individuale insidiata nel proprio privato. L’ideazione di un
progetto volto ad arginare la
diffusione del Covid-19 con metodica non farmacologica.
L’ ideazione, che ho esemplificata con uno schizzo
del prototipo di ciò che dovrebbe essere perfezionato, prodotto e messo in
funzione, gliela propongo qui in calce, ma non voglio trattenere l’impulso a
confidare quale altro forte propulsore, oltre a quelli che già Le ho
“propinato”, mi abbia spinto alla ricerca di qualcosa che potesse eliminare il
covid 19.
Bah! Sono Presidente di un’Associazione (Contatto
Natura nel web) che si è prodigata nel far calare qualche raggio di sole sulle
persone down, nonostante il disinteresse delle istituzioni, ed oggi si trova
disgregata da un virus e, credetemi, proprio oggi più che mai è doloroso
constatare che delle persone con svariate qualità incantevoli (principalmente
la sensibilità pura) siano destinate a subire tutti i dolori dell’esistenza
senza alcuna contropartita veramente gioiosa e veramente confortante. Oggi, a
causa del virus, stanno perdendo perfino le compensazioni palliative. Duole
vederli isolati accanto soltanto ai genitori (sentimentalmente non più
sufficienti in quanto un essere umano non può rimanere bambino per tutta la
vita) con la mascherina sul volto a renderli ancor meno comunicativi e a lungo
andare causa di surriscaldamento delle vie respiratorie, laringe e bronchi in
primis. Idem per i guanti particolari indossati sulle loro pelli delicate.
Figuriamoci con il clima caldo!
Ora un gruppo di persone, sempre più nutrito, mi
ha spinto a rinnovare la mia richiesta di supporto e voglio sforzarmi nel
rimanere fiducioso, mentre rimango comunque dell’avviso che qualsiasi
congettura volta a sconfiggere l’orrendo virus vada approfondita a prescindere
da qualunque sorta di scetticismo iniziale. A maggior ragione quando i
quotidiani bollettini di “guerra” spengono ogni barlume di speranza in una
remissione e gli addetti alla scienza non cessano di contraddirsi tra di loro alla
distanza di un metro, del tutto inadeguata nell’impedire il contagio.
Più della metà della popolazione mondiale è
costretta a restrizioni che gravano parecchio sulla percezione positiva del
senso stesso dell’esistenza umana, mentre, per assurdo sociale, si pensa
proprio di allestire una nuova realtà in cui a tutti gli errori di quella
vecchia verrebbero sommate le nuove “restrizioni” non esenti da conseguenze negative
per spirito e corpo. Anche per questa ragione rimango speranzoso di ricevere il
suo giudizio e intanto Le porgo i miei più distinti saluti.
Lorenzo
Lombardi
llombard1@alice.it
cell. 3483416294
tel. 0422 22640
►
Il rame non è in alcun modo dannoso per la salute umana, mentre le sue
superfici sono antibatteriche ed antimicrobiche. L’ossido di rame, che si forma
sul minerale a contatto con l’aria e gl’infonde la colorazione
azzurro-verdognola, ha dato prova di far addirittura esplodere alcuni virus o,
comunque, di farli morire in poco più di due ore. Con il covid 19 non c’è
sperimentazione (che per l’appunto potrebbe essere fatta utilizzando questa
maschera) ma c’è stata con la SARS che è pur sempre un coronavirus.
La parte esteriore del cilindro
potrebbe essere ricoperta da un sottilissimo strato di plastica, esclusivamente
per questioni estetiche.
►
1 – L’aria entra nel cilindro di
rame e virus, batteri, ecc. da essa trasportati vanno in parte a cozzare contro
le pareti del cilindro. La respirazione rende mossa l’atmosfera interna al
cilindro, per cui, siccome il virus non ha autonomia direzionale, una
consistente quantità di virus entra in collisione con le pareti del cilindro e
le conseguenze sono quelle già descritte all’inizio.
►
2 – L’aria all’interno del cilindro
è pervasa da raggi UV con frequenza adattata all’uopo. E’ sicuro, come minimo,
che gli UV invalidino la capacità replicante dei virus. La lampada emittente è
schermata con vetro speciale per non surriscaldare l’aria, sebbene il modesto
calore emanato non renda l’aria particolarmente irrespirabile. Inoltre, una
valvola 3M ridurrebbe ulteriormente il calore dell’aria nel condotto che arriva
alla bocca di chi indossa la maschera e eliminerebbe l’umidità. La
respirazione, dunque, avviene in piena libertà naturale, a differenza di ciò
che accade indossando le mascherine messe in circolazione. Con le mascherine si
torna a inspirare buona parte della CO2 emessa con l’espirazione.
►
3 – Nella parte terminale del
cilindro è posta una lastra elettrificata, molto sottile e con fittissimi fori
di 0,3 millimetri, quasi il minimo per permettere una normale respirazione. Il
covid 19, però, pur avendo il nucleo più grande degli altri appartenenti alla
famiglia dei coronavirus, misura 100/180 nm (100/180 milionesimi di millimetro)
e potrebbe facilmente attraversare i fori. Anche considerando le goccioline
(droplets) o altre particelle organiche alle quali si aggrappa il virus per
sopravvivere non si arriva mai a una misura che renda impossibile
l’attraversamento dei fori. E’ vero che la maggioranza dei virus, dopo il
percorso nel cilindro, avrebbe perso le droplets vitali e per giunta finirebbe
sulla lastra elettrificata restando fulminata. E’ vero, quindi, che i fori sarebbero attraversati da rari
virus non più in grado di essere aggressivi e incapaci di replicarsi, e già questo
sarebbe un buon risultato, ma l’intento della maschera è quello di eliminarli
senza eccezioni. Quindi i fori dovrebbero essere coperti da un campo elettrico
costante, facile da impostare quasi automaticamente.
Questa maschera elimina il virus, a
differenza di tutte le altre mascherine in uso.
C’è stata una sperimentazione in
laboratorio che ha determinato questo: il coronavirus muore in 7 giorni alla
temperatura di 22 gradi e in 24 ore alla temperatura di 37 gradi. Gli
esperimenti di laboratorio sono quasi sempre suscettibili di qualche ritocco,
allorché li si confronta con dati dell’andamento naturale, però ci permettono
di dedurre che i virus che finiscono sulle normali mascherine o le attraversano
o, se in qualche modo respinti, non muoiono ma vanno a posarsi dove capita, così
diffondendo il contagio con dinamiche diverse da quella della trasmissione
diretta tramite droplets o aerosol.
►
4 – Il peso della maschera potrebbe
essere inferiore a quello della maschera antigas più leggera. Più leggere e
assai meno ingombranti dei “mascheroni”
(che non eliminano il virus) acquistati in Germania da alcuni imprenditori
italiani.
►
5 – La maschera dovrebbe essere
distribuita secondo i dati dell’Anagrafe, annullando il problema dei
clandestini con una sorveglianza accurata. Se in un territorio, ad esempio una
regione con i confini momentaneamente sigillati, tutti gli abitanti
indossassero la maschera, togliendola con le dovute precauzioni esclusivamente
per il tempo destinato ai pasti e al sonno (sacrificio minimo rispetto all’essere
intubato e a una morte orrenda), nel giro di 3 max 4 giorni non ci sarebbero
più nuovi contagi. Rimarrebbero i contagiati prima dell’uso della maschera, che
a loro volta, nonostante le accortezze del caso, potrebbero aver contagiato dei
famigliari, ma nessun altro. Comunque, anche i contagi pregressi e le loro
poche conseguenze si manifesterebbero e si esaurirebbero nel giro di due
settimane o poco più. Per quanto riguarda i portatori di virus asintomatici,
non individuati per il fatto casuale di non aver contagiato dei famigliari,
verrebbero accertati dai tamponi fatti in maniera sistematica alla restituzione
di ogni maschera, che per larga sicurezza dovrebbe avvenire dopo un mese.
Ampliando l’ottica della programmazione
relativa alla maschera, anche la faccenda dei confini sigillati potrebbe essere
ovviata. E’ ragionevole pensare che anche i territori limitrofi verrebbero
sanificati e l’eliminazione del virus si espanderebbe a macchia d’olio. Quindi
il controllo dei confini sarebbe di brevissima durata, ovvero non necessario
qualora gli stati confinanti avessero incominciato ad indossare la maschera
prima che in Italia fosse arrivato il momento di deporla. Come altro esempio
supponiamo che l’Italia si trovi liberata dalla presenza del virus. A questo
punto dovrebbe far entrare nel suo territorio soltanto stranieri provvisti di
maschera, ma soltanto fino a quando anche gli altri Stati si fossero adeguati
alla programmazione anticovid 19.
Si potrebbe qui continuare a vagliare
altri aspetti pratici dell’impiego della maschera nei territori, ma è già
assicurato che sono stati scrupolosamente esaminati tutti quelli immaginabili.
Il problema non sono le modalità e le tattiche relative all’impiego della
maschera, se è presente la volontà di non voler più contare i morti, la cosa
importate è che la maschera funzioni e venga prodotta.
Le persone, indossando la maschera,
potrebbero muoversi tranquillamente e riprendere le loro attività. Anzi: gli
affollamenti sarebbero consigliati per eliminare in breve tempo una maggior
quantità di virus. Anche i contagiati lievi e i portatori asintomatici
trarrebbero beneficio dall’uso della maschera, poiché l’aggressione al virus
avviene anche durante il percorso inverso ovvero durate l’espirazione. Costoro,
dovrebbero indossare la maschera ed essere tenuti in isolamento fino a tampone
negativo. Soltanto per i già contagiati gravi non rimarrebbe altro che la
prassi di cura medica ma, perlomeno, le strutture ospedaliere verrebbero
alleggerite parecchio e il personale ospedaliero potrebbe curare i pazienti
senza correre alcun rischio di contagio, fino a svuotamento dei luoghi di
terapia intensiva. A questo punto nel territorio non ci sarebbe più traccia del
virus.
E’ ovvio congetturare che la pratica
della maschera potrebbe essere estesa a più territori contemporaneamente
secondo la rapidità di produzione della maschera stessa ed infine estesa a
tutto il mondo, affinché il coronavirus scomparisse per non ripresentarsi mai
più con le sue odiose e ferali ondate 2, 3, 4…
La diffusione universale comporterebbe
senz’altro le difficoltà maggiori, alle quali ogni Stato dovrebbe prestare
tutta la sua attenzione e tutta la sua capacità attuativa. Certe piccole
frazioni di territorio, con uno stato di cose estremamente complesso,
potrebbero essere isolate e bonificate con maggior pazienza. Difficoltà
comunque presenti anche nell’attuale programmazione di contrasto al virus.
Diversamente, la ciclica ricomparsa del covid 19 comporterebbe l’intollerabile
convivenza con il medesimo, circostanza che in breve tempo vedrebbe circolare
nel mondo masse di squilibrati. Per quanto riguarda i vaccini e le inevitabili
falle di copertura dovute soprattutto alla natura cangiabile del virus…
(vaccinare il mondo intero! Misericordia!) Beh, vivere non può consistere
soltanto nel mantenere in piedi una specie di vescica imbavagliata e
condizionata dai risultati della Scienza con i suoi inevitabili effetti
collaterali. Una vescica già in grave difficoltà a causa dell’inquinamento
universale e di una economia dissennata, fattore determinate la disumana e
perniciosa disuguaglianza sociale. No, non possono sussistere alternative:
questo virus va fatto scomparire, volendo seriamente confidare nel ritorno ad
una vita provvista di un po’ di senso esistenziale. Piuttosto che vaccinare
ripetutamente (secondo le mutazioni del virus) quasi 8 miliardi di persone
oppure piuttosto di curare in continuazione un numero smisurato di pazienti
continuando a vivere nell’incertezza, penso che sia assai più ragionevole
distribuire 8 miliardi di maschere (in realtà molte di meno con una buona
programmazione a rotazione).
►
6 – Con un calcolo approssimativo il
costo di produzione delle maschere risulterebbe assai inferiore a quanto
sborsato fino ad ora dalle Nazioni per contrastare il covid 19 con modesto
successo e non conosciamo gli esborsi di tutte le Nazioni (non si può ancora
immaginare la spesa che dovrà essere sostenuta per rimettere in funzione i
lavoratori, per produrre miliardi di mascherine, venderle con costi
significativi per le persone e… misericordia!, smaltirle) mentre con l’effetto
maschera tutte queste spese (e molte altre) risulterebbero nulle, perché poco
niente ci sarebbe da cambiare di ciò che già c’è. La spesa maggiore sarebbe per
le batterie, ma probabilmente degli esperti sarebbero in grado di ridurla come,
sono certo, sarebbero in grado di perfezionare la maschera in maniera ottimale.
Anzi: dopo una realizzazione precisa la maschera potrebbe avere sembianze anche
molto diverse da quelle abbozzate da me. Io, con la raffigurazione del mio
prototipo ho semplicemente indicato una strategia da adottare, se il sentimento
di umanità non è ancora andato perso del tutto.
Infine,
mi preme soffermarmi ancora una volta nel sottolineare i primi segnali di una
realtà che mi angustia: guanti e mascherine stanno formando il prossimo
disastro ecologico di proporzione smisurata.
25.10.12
6.6.12
UNA RIFLESSIONE IMPORTANTE
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SEDE
Tel. 0422 22640
Prima che
il lettore si adoperi per approfondire con intima sensibilità la conoscenza del
PROGETTO dell’Associazione Contatto
Natura, desideriamo offrire
uno spunto per una meditazione di basilare importanza esistenziale.
UNA RIFLESSIONE IMPORTANTE
E’ palese per chiunque
che la Natura, fin dall’Origine, abbia messo in atto l’Iperbole della Varietà,
ovvero la manifestazione creativa della Varietà Infinita. Ovvio che, in questo
Contesto, le diversità siano tali e tante da tendere all’infinito, ed è
altrettanto ovvio che tutte facciano parte integrante dell’Unica Idea Creativa
e perciò siano assolutamente necessarie le une alle altre, in una sorta di
simbiosi mutualistica.
Malauguratamente, il
mondo è stato interamente monopolizzato dai normodotati, senza alcun rispetto
dello spazio naturalmente spettante alle molteplici diversità, per la presenza
delle quali la Natura si è prodigata con Onniscienza e Onnipotenza fin
dall’Origine. Oggi, più di sempre, siamo spettatori consapevoli e sbalorditi
davanti all’entità mostruosa dello scempio del mondo e, se cerchiamo
scrupolosamente le cause di tale rovina, troviamo che gli errori maggiori sono
stati compiuti proprio sotto l’influenza della mancanza di rispetto delle
diversità. Le varietà della flora e della fauna sono state depauperate con
noncuranza fino al punto di compromissione dell’intero Ecosistema e la globalizzazione sta inferendo il colpo
fatale anche alle diversità della specie umana. Se l’Uomo, che si è sempre
reputato intelligente, avesse avuto precisa cura di non invadere lo spazio
vitale di tutti gli altri esseri viventi, se avesse compreso che gli esseri
viventi sul nostro pianeta hanno esigenze esistenziali diversificate e
naturalmente singolari, la sua condotta sarebbe stata diretta da giuste
limitazioni naturali e oggi il mondo non si troverebbe in una condizione di
estrema sofferenza. Si può quindi concludere che non rispettare le esigenze
delle diversità naturali è una colpa grave che genera continuamente effetti funesti,
che a noi, oggi, si stanno presentando come fatali.
Ora consideriamo in
particolare la diversità relativa ai disabili naturali.
I disabili naturali si differenziano dalle altre tipologie di
disabili per delle questioni esistenziali di grande importanza spirituale.
Cerchiamo di capire perché, pur senza approfondire del tutto l’argomento in
questo contesto di scrittura. Il lettore acuto comprenderà ugualmente quanto
d’importante c’è da capire, principalmente per se stesso.
Un disabile, reso tale
da un incidente, non può che imputare all’Uomo la causa del suo stato. In gran
parte, anche i disabili per malattia possono trovare nell’Uomo, con il suo
dissennato inquinamento ambientale e con la sua stressante condotta di vita, la
causa del loro stato. Perfino i tanti bimbi, che in tutto il mondo diventano
disabili per denutrizione, devono il loro stato all’insensibile condotta
dell’Uomo. Ma i disabili naturali sono tali per colpa di chi? Vogliamo
incolpare la Natura per aver concesso loro la vita? La Stessa che ha dato la
vita anche ai normodotati? Vogliamo incolpare la Natura e quindi correggerla?
Magari eliminando i disabili naturali, come per il passato, o trascurandoli,
che equivale a far loro patire un supplizio lungo tutta una vita? Vuole l’Uomo
correggere la Natura e porsi come antagonista ad Essa pur essendo
un’infinitesima parte della Stessa? Può permettersi di farlo per davvero?
Ecco che, concorrere
alla soluzione delle problematiche dei disabili naturali, diventa il fattore
principale per mantenere vivi e stabili il senso e il valore dell’esistenza di
chiunque.
C’è chi è casualmente normodotato proprio perché
c’è chi è casualmente disabile
naturale. Il normodotato sarebbe potuto essere un disabile naturale e
viceversa. Ed è chiaro che, sia ai normodotati sia ai disabili naturali, la
Natura ha concesso di esistere. Quindi, in breve: sia normodotati sia disabili
naturali provengono dallo stesso “Posto”
e allo stesso “Posto” sono diretti e
a tutti è stata donata la vita, ovvero il Diritto Naturale di vivere secondo se
stessi.
Nonostante questo
Diritto Naturale, che l’Uomo non dovrebbe permettersi di alienare, in un mondo
allestito esclusivamente su misura per i normodotati i disabili naturali
incontrano gravi difficoltà nel tentativo di condurre un’esistenza secondo se
stessi, che elargisca loro quel tanto di gratificazioni adatte a dare un senso
alla loro vita. Una vita che pretende assai meno di quanto pretenda la vita di
un normodotato.
Il Senso di
un’esistenza è dato dalla possibilità, in primo luogo ambientale, di vivere
secondo se stessi, ovvero di trarre gratificazioni dal proprio modo di essere.
Una condotta che permette allo spirito di maturare e fortificarsi fino al
raggiungimento di una precisa identità inconfondibile, tale da non poter più
essere confusa, al termine del proprio percorso terreno, con l’Infinita Energia
Anonima dalla quale è pervenuto alla Vita e nella quale ritornerebbe fatalmente
dopo aver trascorso la propria esistenza nel nonsenso.
Ora, se l’esistenza di
qualcuno, a cui la Natura ha donato la vita, risulta priva di senso e quindi di
valore, non pretendano, tutti coloro i quali lasciano che ciò accada, che nel
momento fatale venga attribuito un qualche valore alla loro stessa esistenza.
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1.6.12
CONTATTO NATURA - MAI PIU' SOLI
Associazione di Promozione Sociale
Contatto Natura
Contatto Natura
Registrazione n° 8410 - Codice Fiscale: 94135560269
Sede Legale: via Italico Cappellotto n° 7 - 3100 Treviso
Tel. 0422 22640 - Cell. 3483416294
Per dare un senso all'esistenza
dei disabili naturali
Per dare un senso all'esistenza
di tutti gli esseri umani
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Fate in modo che la realtà che vi è
apparsa
non scompaia per sempre.
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Sociale Contatto Natura
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29.7.11
UN PROGETTO INTRISO DI SENSIBILITA' UMANA
Associazione di Promozione Sociale
CONTATTO NATURA
CONTATTO NATURA
registrazione n° 8410 - codice fiscale 94135560269
sede sociale: Treviso 31100 - via Italico Cappellotto n° 7
sede: 0422 22640 - presidenza: 3483416294
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UN PROGETTO INTRISO DI SENSIBILITA' UMANA
Per dare un senso all'esistenza dei disabili naturali e quindi all'esistenza di tutti gli esseri umani.
Per favorire, inoltre, uno stile di vita sostenibile, che origini abitudini alimentari e di consumo compatibili con l'ambiente e la Natura.
Fondamentale premessa al Progetto
L'importanza della Premessa, preceduta da questa mia puntualizzazione, è data dalla sua particolare impostazione volta a documentare la profonda conoscenza delle dure difficoltà che affliggono l'esistenza dei disabili naturali e delle loro famiglie. In sostanza, la Premessa si propone di evidenziare quale sia la propulsione spirituale che ha determinato la costituzione dell'Associazione Contatto Natura - Mai più Soli e, di per se stessa, indica tutto quanto l'Associazione intende eliminare o trasformare con la propria azione mirata. Quindi, una Premessa che a pieno titolo è parte integrante del Progetto stesso, forse quella di maggior peso, e testimonia senza ombra di presunzione la capacità di agire e interagire nel merito specifico, propria delle persone che partecipano alla realizzazione del Progetto. Desidero aggiungere che, in ogni caso, la miglior testimonianza reale è resa dai nostri stessi figli disabili ed è in loro difesa che impegneremo tutte le nostre energie per fare in modo che i buoni livelli comportamentali raggiunti non vengano vanificati dalla regressione che è pronta ad aggredirli inesorabilmente (intorno ai venticinque anni) a causa delle carenze ambientali relative all'essenziale e dell'incomprensibile indifferenza sociale, che ostacolano oltremodo lo sviluppo gratificante dei sentimenti.
il Presidente
Lorenzo Lombardi
PREMESSA
La mia famiglia si è unita in simbiosi con altre sette e con un atto di volontà comune è stata fondata un’Associazione denominata CONTATTO NATURA a cui è stata affiancata codesta locuzione: MAI PIU’ SOLI, significativa di per se stessa. La solitudine, infatti, se conseguenza dell’emarginazione che paralizza l’essere umano, è sicura fonte di tante afflizioni. Troppe!
L’Associazione ha preparato un PROGETTO con cui intende occuparsi dei disabili in maniera diversa dalle modalità del semplice assistenzialismo che trascura le istanze più intime di un individuo. In particolare, è intenzionata a destinare la propria ragione di essere alla cura attenta delle esigenze esistenziali non tanto dei disabili resi tali da incidenti o malattie, che in altro ambito non vanno comunque trascurati, bensì dei disabili naturali, ovvero di coloro i quali sono stati accettati dalla Natura, che ha concesso loro la vita, ma che dalla società non vengono considerati con la dovuta sensibilità. Nei confronti di costoro, la società non si è mai proposta con la generosità adatta e necessaria allo sviluppo dei presupposti specifici volti a concedere ai disabili naturali la possibilità d’intraprendere una condotta di vita imperniata su uno stato di normalità esistenziale secondo loro stessi.
Ad
esempio, per l’autismo, e questo vale anche per tutte le altre condizioni di
disabilità, attualmente non esiste una cura: le terapie o gli interventi
vengono scelti in base ai sintomi individuali.
“Le terapie meglio studiate comprendono interventi
educativi/comportamentali in ambiente strutturato in modo adattato alle
difficoltà specifiche dell'autismo. Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad un
miglioramento sostanziale. (Dott.ssa Donata Vivanti)”
Perciò, la finalità principale del nostro PROGETTO consiste nella creazione di un ambiente in cui le doti peculiari di ogni fruitore della struttura ideata abbiano la possibilità di svilupparsi al meglio, in modo tale da elargire svariati momenti di gratificazione appagante a delle persone profondamente afflitte
dal sociale in essere. Finalità che non si scosterà mai, neanche per un solo
attimo, da quella Verità Esistenziale concettualmente espressa in maniera molto
chiara da Luigi Pirandello: “Ogni cosa,
finché dura, porta con sé la pena della sua forma, la pena d’essere così e di
non poter essere altrimenti.”
E tutti i “normodotati” dovrebbero naturalmente comprendere, volendo
seriamente salvare il proprio spirito da una Fine senza senso, che chiunque
porti addosso casualmente una minor pena
della forma deve aiutare con tutto se stesso chi si porta addosso
altrettanto casualmente una maggior pena
della forma.
Il PROGETTO, che andrò ad esporre, è stato concepito attingendo con fedeltà assoluta da quella composizione d’esperienze che si è formata ed espansa nitidamente nel mio cuore e nella mia mente durante venticinque anni trascorsi accanto a una meravigliosa persona down: mio figlio Fabio. Esperienze che hanno trovato precisa conferma nel vissuto specifico di tanti altri genitori. Merito di Fabio, se io sono riuscito a scoprire la naturale bellezza dell’animo di parecchie persone down, per poi ricercare con tenerezza la loro amicizia e deliziarmi dei loro momenti di gioia, purtroppo assai rari per cause tutte riconducibili alla realtà dell’assetto sociale. Gioia, quella loro, manifestata con un sorriso capace di arrivare dritto dritto al cuore di chiunque non abbia spento la luce nel proprio animo.
Ora, prima di affrontare la questione pratica del PROGETTO CONTATTO NATURA e confidando di essere in grado di farmi comprendere almeno un po’ nell'esporre l’essenziale, proverò ad elencare alcune delle cognizioni più chiare riguardanti la personalità dei soggetti ritenuti disabili naturali. Consapevolezze, affiorate e consolidate durante tanti anni di precisa e amorevole attenzione rivolta alla personalità di molteplici individui, sia down sia disabili di tipologia diversa. Queste mie esperienze, unitamente a quelle delle famiglie associate, rappresentano delle basi sulle quali si può fare sicuro e sensibile affidamento nella realizzazione del PROGETTO stesso. Per questo motivo supplico il lettore di concedere un po’ del suo tempo e della sua pazienza alla lettura delle osservazioni che andrò ad esporre come lunga informazione preliminare, perché spero sappiano fornire al paziente lettore un quadro abbastanza completo delle tristi realtà che l’Associazione s’impegna a mutare mettendo in campo tutte le proprie energie.
Col tempo, man mano che andavo scoprendo le deliziose qualità particolari di questi esseri umani, ritenuti “diversi” dai “normodotati” per il sol fatto inevitabile di essere messi in contrapposizione proprio e soltanto con i “normodotati” stessi, una sorta d’insofferenza pungente ha viepiù occupato la mia mente. L’insofferenza è diventata dolenza del cuore e poi dolore cocente di tutto il mio essere. Non posso più continuare a sopportare che delle creature dolcissime, e assolutamente incolpevoli, siano costrette a vivere, si fa per dire, in una sorta d’inferno dei sentimenti, fondato sulla banalità esistenziale originata da certe convinzioni infondate e ingiuste proprie dei “normodotati” incantati e arrugginiti dall’apparenza e dediti al pietismo disobbligante, di certo non salvifico.
Prima convinzione impropria sui disabili naturali: “Poveretti! Non sanno esprimersi a un livello comunemente accettabile, stentano a comunicare, quindi il loro pensiero si sperde e non sono in grado di provare sentimenti e tantomeno di poterli vivere.”
E’ da questa equazione sballata che nascono e si moltiplicano le difficoltà e le sofferenze maggiori per i disabili naturali. Tra i tanti, il guaio maggiore per i soggetti down consiste nella triste condizione di dover continuare a muoversi in un ambiente affatto naturale e di venir valutati esclusivamente su quello che riescono a dire in pubblico quando
sono costretti ad esprimersi secondo le modalità imposte dai “normodotati ” e, forse, proprio nessuno andrà mai, per comprendere bene, o almeno meglio, con il pensiero alla Natura, che non usa parole eppure esprime chiaramente tutto l’essenziale che ha il Valore Esistenziale maggiore. Lo mostra, lo fa vedere. E proprio le silenti modalità di espressione della Natura sembrano indirizzare un appassionato incoraggiamento alle persone down: «Non primeggerai con i ragionamenti e le parole, ma, stai tranquillo, i tuoi istinti sono stati potenziati e nella tua vita sarai guidato più rettamente di chiunque abbia riposto nelle parole e nei ragionamenti il fondamento del proprio vanto.» Ma la Natura si esprime secondo Se Stessa ed è in relazione unicamente con Se Stessa. Essendo stata originata con Onniscienza e Onnipotenza non può tenere in considerazione il misero ambiente con cui l’Uomo tenta di comprometterla seguendo “sapientemente” le direttive del Male. Di conseguenza, la Natura non relaziona mai con gli ambienti artificiali, inadatti alla manifestazione della Sua Verità e dei Suoi Insegnamenti Vitali. Negli ambienti artificiali, solamente il Male, avverso alla Creazione, trova abbondanza di spunti per intrecciare rapporti al fine di comunicare e far accettare, come “buone” per l’Uomo, le sue strategie finalizzate alla distruzione del Creato. E, nel presente, sembra proprio che il suo successo sia inarrestabile.
Malauguratamente, Fabio è nato nel misero ambiente allestito dal "sapiente" Uomo Norma, in cui certe qualità pregiate dello spirito e degl’istinti non sono tenute in considerazione. Un ambiente caratterizzato dal duro egoismo futile dei “normodotati” (autodefinitisi tali) affascinati da un solo oggetto di culto, che non si sa bene cosa sia e di cui nessuno tra gli stessi “normodotati” mai ha saputo fornire una definizione plausibile: l’intelligenza. Ma è mai possibile che l’intelligenza, il cui prestigio non è suffragato affatto dalle deplorevoli condizioni in cui è stato ridotto il mondo dai disastri senza fine della scienza e della tecnica, ora aggravati dalla completa trasfigurazione del naturale effettuata dalla globalizzazione, sia l’unica peculiarità umana stimata universalmente come dote di valore? Nel corso dei secoli, ha mai imboccato una strada giusta, l’intelligenza? Una che sia una?! Forse che Amore, Bontà e Purezza allo stato puro meritano minor prestigio mondano? Con quest’ultimo interrogativo sullo sfondo mi sento sicuro nell’affermare che per conoscere in modo conveniente e fecondo un disabile naturale bisogna frequentarlo con una certa assiduità, magari svolgendo qualche attività sostanziale assieme a lui. Ecco: la frequentazione dipana presto i preconcetti fasulli e origina, in ogni “normodotato” di animo appena appena sensibile, il desiderio di diventare amico di una persona pura che sa dare amore e bontà con genuino trasporto e in maniera davvero straordinaria. Il rapporto amicale, inoltre, polverizza tutto quanto c’è di mostruoso nella cultura pietistica, propria dei “normodotati” che vogliono sentirsi “buoni” senza far niente di veramente buono in maniera concreta per chi abbisogna di aiuto. Ed è proprio la cultura pietistica quella melensa barriera sociale che limita gli orizzonti del possibile alle persone destinatarie dei suoi interventi vacui. Una cultura della solidarietà fatta di tante parole e poche azioni, che rende i già mal segnati dalla sorte prigionieri di un pensiero immanente che appartiene ad altri, non a loro. “Il pensiero della persona disabile come di un eterno bambino, di un angioletto asessuato e senza tempo, ha attraversato le generazioni e permea il sentire di molti di noi.” (da “Chi sei tu per me?” di Mario Paolini)
I “normodotati” non se ne accorgono, o non vogliono accorgersene, ma i disabili naturali provano tutti i sentimenti comuni agli esseri umani. Eccome! Assai più intensamente e genuinamente degli stessi “normodotati”. E i loro sentimenti sono in relazione perfetta con la loro maturazione psicofisica. Correlazione che riguarda anche la loro disperazione da frustrazione sentimentale. Disperazione silenziosa, muta, perciò non compresa dai “normodotati” che sono abituati a trovare nelle parole e nelle grida delle valvole di sfogo che destano turbamenti.
Fabio, ad esempio singolare delle tante persone down che ho conosciuto, si nutre d’amore e desidera assaporarlo nei modi di fare quotidiani di chi gli è vicino. Non gli può mancare: è questa la fonte da cui attinge la sicurezza da infondere al suo “Io”. Tanto amore: tutta la sua casa deve esserne piena, gonfia. Come se le pareti pressurizzassero le stanze, in modo tale da far sì che, nel momento in cui Fabio apre l’uscio per andare in qualche posto, una folata d’amore domestico si sprigioni dall'abitazione e lo accompagni ovunque egli vada, vegliando su di lui meglio di un angelo custode. In concomitanza, l’assenza di egocentrismo ed egoismo nei soggetti down, permette a Fabio di prodigarsi con tutto il suo cuore per far sì che le persone di sua conoscenza siano felici e per questo fine egli non cessa mai di profondere manifestazioni d’amore verso chi gli diventa familiare.
Le doti di valore delle persone down, e dei disabili naturali in genere, sono molteplici. Basta permettere loro di manifestarle secondo se stessi. Tra quelle di Fabio, ne illustrerò ancora una, piuttosto significativa e comune a tanti altri suoi simili. Egli percepisce, in maniera per noi straordinaria, stupefacente, finanche la minima variazione degli stati d’animo delle persone e, allorquando io e mia moglie, magari afflitti da una qualche traversia della vita o dalle occasionali angustie originate dalla collisione tra le istanze esistenziali di Fabio e i triviali preconcetti sociali, siamo comunque convinti di recitare alla perfezione la parte di genitori sereni, egli non tarda mai a formulare questa precisa domanda: «Cosa c’è che non va?» e poi esige spiegazioni esaurienti, altrimenti il suo volto lievemente crucciato non si rasserena.
Mi preme dire che la presenza di questa abilità percettiva nei soggetti contraddistinti da trisomia 21 è confermata all'unanimità da tutti quei genitori che hanno seguito con sincero trasporto emotivo lo sviluppo psicofisico di queste loro creature particolari e sono stati accortamente premurosi nell'evitare che crescessero a somiglianza dei “normali”. Quindi, a riguardo di questa qualità intuitiva, si può ben dire che si tratta di una dote peculiare dei cosiddetti down e… che dote! Senz'altro generata e affinata dalla loro straordinaria sensibilità intima e anche questa, parimenti alla straordinaria capacità di amare, non riscontrabile agli stessi livelli eccellenti nei “normali”. Di sicuro, l’individuo che le possiede e le manifesta con regolarità non va trascurato. Neanche un po’! E non può essere di scarso interesse conoscerlo a fondo, capirlo. Una conoscenza e una comprensione che, in un individuo attento e non prostrato dall'ignavia emanata dal sociale, agevolano molto la comprensione della Verità Esistenziale. Comprensione vitale per ogni essere umano che confidi nella Sopravvivenza Eterna del proprio spirito
Le persone down possiedono una marcia in più, che va individuata nella loro squisita sensibilità, dilatata fino ad abbracciare la specialità della sensibilità extrasensoriale. Qualità eccelsa, ma assai poco apprezzata da una società che sembra essere affetta da concreteness con staticità cronica. Brutta faccenda, che non tiene conto di una realtà esistenziale di notevole rilevanza: non ci fossero le creature down, l’Umanità non potrebbe permettersi d’includere nel numero delle proprie caratteristiche sostanziali la Bontà genuina, la Purezza d’animo e l’Amore autentico. Perciò attenzione: se, malauguratamente, la loro sensibilità viene bistrattata, succede che le persone down entrano in uno stato esistenziale molto simile a quello dei disadattati cronici, le cui conseguenze, però, si differenziano parecchio per quanto riguarda la loro incisività disgregante e distruttiva. Il soggetto down trascurato, offeso ed oppresso, si chiude in se stesso, trastullandosi disperatamente con quel poco che ha in sé fin dalla nascita. La percezione del mondo esterno si offusca ed infine scompare. Neanche si sforza di comunicare con chicchessia. Ha avvertito l’assenza d’amore e non l’accetta. Questo è quanto basta a lui per rifiutare istintivamente e in blocco il mondo com'è. Diventa ripetitivo nelle azioni, il cui numero decresce col trascorrere del tempo, perché la singolare varietà del suo mondo interiore non è stata capita ed apprezzata neanche un po’. Non ha avuto né lo spazio naturale per esprimersi né l’accettazione nell'ambito del reclusorio sociale e quindi s’è spenta, e quella del mondo allestito dai “normali” è di una monotonia tale che non lo entusiasma affatto. E per un individuo down, un’esistenza priva di entusiasmi forti che per lui scaturiscono da piccole cose, ma che ad un esame più attento risultano tutte essenziali per un’esistenza degna di essere vissuta, è un modo di vivere che non origina stimoli volti al miglioramento della propria persona. Ben presto si rassegna (tutte le sue cellule si rassegnano, non soltanto quelle cerebrali) a condurre una vita prettamente animale, forse’anche soltanto vegetativa, senza neanche i conforti che gli altri animali ricevono dalla piena appartenenza ad una specie precisa e subendo, invece, buona parte delle stesse angherie che i “normali” riservano a tutti gli animali. Eliminazione compresa. Eh, sì: non ho mai visto condannare severamente un genitore che in un modo o in un altro abbia soppresso il proprio figlio disabile. Fatto inquietante, in un Paese sollecito nel condannare chi ruba per fame, dopo averlo ridotto alla fame. E ancora: lo sterminio delle persone disabili, perpetrato dal nazismo, si trova chiuso a doppia mandata nella stanza dell’oblio. E nemmeno ho udito pronunciare pubblicamente parole di marcato disprezzo nei confronti di quei genitori che non riconoscono i loro neonati down e li abbandonano a un destino in cui verrà a mancare l’unico supporto valido, e l’unico richiesto, alla loro squisita diversità, malvista dai quelli che, non capendo nulla della Questione Esistenziale, si sentono tutti uguali sulle basi di quel poco che conoscono e con fastidio allontanano dalla loro vista la diversità, per loro incomprensibile e quindi automaticamente spregevole. Arroccati nella loro piatta uguaglianza culturale di pensiero, manco lontanamente potrebbero capire il senso e le implicazioni esistenziali emanate da una frase di William Blake di questo calibro: “Unica legge per il Leone e il Bue è già oppressione.” Eppure, sotto il peso di un’unica legge uguale per tutti, asfissiante l’individualità dello spirito, ci vivono quotidianamente, o, perlomeno, sono convinti di riuscirci con senso compiuto. Aspettandomi quale comprensione e quali vantaggi sociali, dovrei sprecare il fiato per spiegar loro che un’unica legge per il Leone, il Bue e il Down è un’oppressione ancor più barbara? Il Diritto Naturale a vivere pienamente la propria esistenza, a vivere appieno l’unica occasione di vita concessa ad un essere umano, questo sì è un Diritto uguale per tutti. Dovrebbe esserlo! Come Natura raccomanda.
La Bontà perfetta è una presenza, è una realtà, e non un concetto astratto mai perfettamente realizzabile. Ugualmente la Purezza. (non sono opere dell’uomo.) Ecco cosa sta a testimoniare Fabio, ecco quale è il perfetto valore esistenziale dei soggetti down. Testimonianza, confronto, invito alla meditazione per i distratti, affinché non scordino che una Strada Maestra c’è e va coscientemente percorsa. Ogni nato ha un
ruolo, allorché viene a trovarsi in relazione con gli altri.
La vita è troppo breve perché possa essere importante di per se stessa. Ma se anche fosse lunghissima, tremila, quattromila anni, avendo essa un termine sarebbe un nulla, se priva di finalità riconoscibili, precise, eterne. Che me ne farei di un nulla, sapendo per giunta che il tempo è un’illusione tutta terrena? Varrebbe la pena di mantenerlo in essere dall’inizio alla fine, questo nulla? Con un finale capace di annullare tutto fin dall’inizio? Meditando su questi interrogativi, ecco che la Vita appare subito come una faccenda seria. Molto seria! Nulla va trascurato, tutto, ogni particolare, va osservato e compreso. L’indifferenza e la distrazione sono spiritualmente mortali. Ed è per
questo che in qualsivoglia Religione è presente codesta avvertenza: “Pochi saranno gli eletti.”. Sì, la Vita è una vicenda molto seria, impegnativa al massimo. Non siamo venuti al mondo per trastullarci nel "paese dei balocchi". I “normodotati” si sono dati un gran da fare per stravolgere il mondo in questo senso, e ancor oggi s’impegnano strenuamente frastornati dalla comodità, ma il loro fallimento è reso evidente dal fatto che ci troviamo tutti in una valle di lacrime non concepita dalla Natura.
Seconda convinzione impropria sui disabili naturali: “Non sanno apprendere e, di conseguenza, non possono sviluppare le loro menti”
A parte il fatto che i “normodotati” sanno apprendere, spesso con grande difficoltà e a malapena, unicamente ciò che alcuni di loro hanno inventato, comincerò col ribadire che per lo sviluppo psicofisico ottimale di una persona down è necessario che l’educatore, in primo luogo la famiglia, non pretenda d’imporre al disabile naturale i canoni educativi abitualmente rivolti ai “normodotati”. Del resto, gli stessi sistemi educativi utilizzati per formare i “normodotati” trovano nell’orrenda realtà odierna la dura, ma precisa, conferma del loro essere soltanto un ingannevole insieme di precetti ideati e continuamente manipolati e rifiniti per finalità del tutto innaturali e quindi insane. Perciò, ad esempio, prodigarsi nel far sì che un individuo down assimili stabilmente queste medesime regole riduce lo sventurato down a una caricatura tragicomica di questo o quel tipo di “normodotato”. Modelli che, in genere, non appaiono proprio come esempi apprezzabili agli occhi di chi abbia ben chiari in sé i Dettami Esistenziali proposti dalla Natura.
E’ pur vero, purtroppo, che non tutti i genitori di figli down rispettano appieno l’affetto profuso dalle loro creature. Alcuni tendono a utilizzare il tenace affetto del down, senza corrisponderlo adeguatamente, per ottenere l’espletamento di svariate mansioni domestiche, o comunque lavorative secondo le attività famigliari, e presto si ritrovano con la mesta macchietta di un maggiordomo, o di un operaio che per indole non declasserebbe mai se stesso alla stregua di un operaio, che gironzola per casa svogliatamente servizievole. Altri, che hanno improntato l’educazione del portatore di trisomia 21 a imitazione dei cosiddetti “normodotati”, si rassegnano presto a ridurre il rapporto positivo con il loro figliolo a una persistente messa in evidenza dei suoi aspetti più “buffi”, che reputano esaltanti la sua particolare simpatia, mentre sono soltanto il brutto frutto di un’educazione completamente sbagliata, che instaura nella persona down un banale comportamento imitativo che risulta sconsolatamente caricaturale. Inoltre, per dirla con Oscar Wilde: “Nessuno può essere libero, se costretto ad essere
simile agli altri.”
Altre famiglie ancora sopportano la presenza dell’individuo down nella propria famiglia soltanto ignorandolo, lasciandolo abbandonato a se stesso pressoché completamente.
Tre esempi di condotta, che ne compendiano molti altri e, in verità, attualmente riscontrabili con minor frequenza di quanta in passato. Condotte, comunque, che anche al giorno d’oggi rendono alcune creature down delle persone confuse, disorientate, e prive di qualsiasi sprone a far progredire il proprio “Sé”. Venendo a mancare ciò che per loro è la ragione prima dell’esistenza, cioè essere compresi con amore e avere almeno un oggetto degno del loro schietto attaccamento sentimentale, non sanno dare importanza a nient’altro, non riescono a dirottare sull’insignificante il loro interesse per il significante, e una brutta regressione s’impossessa di loro rapidamente, facendone scempio, nel più impressionante significato del termine. In alcuni casi disgraziati, la morte con aspetto “stuporale”, addirittura (gli
attacchi di panico e quelli di spersonalizzazione sono un nulla a confronto), può sopraggiungere per mettere fine alle sofferenze spirituali di una persona down. Sono, forse, l’immagine e la sostanza di questi poveri infelici, esseri umani disgraziati oltre ogni immaginazione elaborabile dai “normali” (non per colpa della Natura ma soltanto per stolto demerito dell’Uomo), che devono servire alla determinazione scientifica delle caratteristiche peculiari dei soggetti down? Credo proprio di no. E’ innegabile che gl’individui down, ad esempio, non abbiano in dote un’efficace attitudine ad elaborare convenientemente un fallimento, una perdita, un lutto, e, se la già flebile capacità non viene rafforzata in maniera sollecita, svanisce del tutto, ma è pur vero che anche un bimbo “normale”, se trascurato, non realizza e non fortifica un granché di se stesso. Esempi di sviluppo psicofisico disastroso ce ne sono a milioni tra i “normodotati” e con risvolti assai peggiori di quelli relativi alla trisomia 21.
Affinché una persona down riesca a sviluppare pienamente e armonicamente la propria personalità è assolutamente necessario che l’educatore segua scrupolosamente le peculiarità del soggetto a cui si dedica e le sappia sviluppare con tutta la premura necessaria, comprendendo appieno che il soggetto è indissolubilmente legato alla Natura e non può staccarsi da Essa con la facilità con cui i “normodotati”, nel loro delirio di onnipotenza, si separano dalla Natura per dominarla. I disabili naturali non hanno il male in se stessi e dal Male non possono essere diretti. Mai! (Chi non vuole approfondire la questione in maniera specialistica cerchi d’intuire qualcosa provando a convincere una persona down a drogarsi, a bere alcolici o ad accendersi una sigaretta, e si rassegni al fallimento.)
Detto questo, ritengo idoneo, per chiarire meglio il senso del discorso da me improntato, citare un brano tratto dalla conferenza tenuta dalla professoressa Maria Carla Vian all’Università di Treviso il 23 aprile del 2009. Il brano riguarda il ricordo delle osservazioni fatte dalla professoressa quand'era l’insegnante di lettere nella classe frequentata da Fabio durante il terzo anno delle superiori.
“Lavorare con Fabio è molto facile e appassionante non soltanto per le sue doti personali di dolcezza, disponibilità e innata curiosità verso il nuovo, ma anche perché fornisce sia al suo interlocutore adulto sia al gruppo dei suoi pari una visione “altra” della realtà che risulta sempre carica di stimoli e a volte molto interessante. Per essere più chiari sul ruolo da lui svolto all’interno della classe, è necessario precisare che principalmente il lavoro di italiano e di storia è stato incentrato per lui sulla descrizione di immagini che potevano essere semplici fotografie scattate durante le sue vacanze, illustrazioni tratte da libri fino ad arrivare ad opere d’arte vere e proprie legate alle conoscenze disciplinari di italiano e storia che stiamo affrontando con l’intera classe. Il metodo è sempre lo stesso: descrizione estremamente dettagliata dell’immagine e successivamente elaborazione dei dati raccolti per trarre delle conclusioni rispetto ad un periodo storico oppure ad un personaggio letterario.
Si tratta di un lavoro che ho proposto agli studenti in più occasioni nel corso di questi ultimi anni e che fa parte della pratica didattica delle mie discipline, ma che ha rivelato grazie all’apporto di Fabio delle ricadute nuove.
I ragazzi non sono più abituati a guardare con attenzione, vedono l’insieme, ma non riescono a soffermarsi sul particolare. Tantomeno sanno elaborare una riflessione legata a ciò che hanno visto. L’occhio estremamente attento di Fabio, le sue osservazioni (numero delle persone, vestiti, azioni, particolari degli ambienti, espressioni dei volti …) e infine la condivisione di tutto ciò che si è realizzato in più occasioni attraverso un’esposizione ad alta voce a tutta la classe, hanno stimolato i compagni a “fare come Fabio” con la successiva scoperta che “fare come Fabio” non è poi così facile e scontato.
Tutto ciò ha delle ricadute molto positive in primo luogo sul consolidamento del senso di sé e delle proprie capacità, in seconda istanza fa maturare il rapporto con la classe: non più soltanto accettazione e protezione del diverso, dello svantaggiato, ma rapporto paritario di scambio. La strada naturalmente è molto lunga, ma la classe sembra disponibile a questo passaggio e più volte ha dimostrato di vivere ogni passo avanti verso l’autonomia come una propria vittoria che ha portato Fabio all’acquisizione di un suo ruolo sempre più paritario all’interno del gruppo in cui è inserito.
Tra l’altro, quindi, proprio la potenza e il peso della parola poetica, ma anche la sua ineffabile levità hanno dato lo spunto per lavorare con i testi danteschi in un esperimento didattico che ha valorizzato la diversità come opportunità di avere un punto di vista “altro” e di utilizzarlo come mediazione didattica per sviluppare le competenze sociali.
Così uno studente con sindrome di Down ha imparato a studiare Dante e ha insegnato alle sue insegnanti e ai suoi compagni a farlo.”
Fabio a lezione con la Professoressa Maria Carla Vian.
Si tratta di un lavoro che ho proposto agli studenti in più occasioni nel corso di questi ultimi anni e che fa parte della pratica didattica delle mie discipline, ma che ha rivelato grazie all’apporto di Fabio delle ricadute nuove.
I ragazzi non sono più abituati a guardare con attenzione, vedono l’insieme, ma non riescono a soffermarsi sul particolare. Tantomeno sanno elaborare una riflessione legata a ciò che hanno visto. L’occhio estremamente attento di Fabio, le sue osservazioni (numero delle persone, vestiti, azioni, particolari degli ambienti, espressioni dei volti …) e infine la condivisione di tutto ciò che si è realizzato in più occasioni attraverso un’esposizione ad alta voce a tutta la classe, hanno stimolato i compagni a “fare come Fabio” con la successiva scoperta che “fare come Fabio” non è poi così facile e scontato.
Tutto ciò ha delle ricadute molto positive in primo luogo sul consolidamento del senso di sé e delle proprie capacità, in seconda istanza fa maturare il rapporto con la classe: non più soltanto accettazione e protezione del diverso, dello svantaggiato, ma rapporto paritario di scambio. La strada naturalmente è molto lunga, ma la classe sembra disponibile a questo passaggio e più volte ha dimostrato di vivere ogni passo avanti verso l’autonomia come una propria vittoria che ha portato Fabio all’acquisizione di un suo ruolo sempre più paritario all’interno del gruppo in cui è inserito.
Tra l’altro, quindi, proprio la potenza e il peso della parola poetica, ma anche la sua ineffabile levità hanno dato lo spunto per lavorare con i testi danteschi in un esperimento didattico che ha valorizzato la diversità come opportunità di avere un punto di vista “altro” e di utilizzarlo come mediazione didattica per sviluppare le competenze sociali.
Così uno studente con sindrome di Down ha imparato a studiare Dante e ha insegnato alle sue insegnanti e ai suoi compagni a farlo.”
Che compaiano oppure no,
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Fabio a lezione con la Professoressa Maria Carla Vian.
Fabio nella sala conferenze dell'Istituto "Palladio" (TV), mentre illustra con l'ausilio del computer il metodo di apprendimento visivo davanti a un auditorio di 322 persone.
Sala conferenze dell'Istituto "Palladio" con la presenza degli "addetti ai lavori".
Fabio con suo padre, dopo la riuscita della conferenza.
Se quanto attestato dalla professoressa Vian (preciso onore al merito per le qualità personali e le capacità professionali di codesta insegnante) lo si considera come un risultato positivo conseguito in ambito scolastico, un settore sociale decisamente artificiale, si può facilmente immaginare quale completezza cognitiva e comportamentale potrebbe raggiungere una persona down in un ambiente naturale a lui consono, in cui, per l’appunto, l’insegnate basilare è la Natura che fa vedere tutto ciò che vuole insegnare. Un’insegnante capace di comunicare in maniera adeguata e proficua con qualsiasi sua creatura. Ma dove scovarlo, oggi, un posto davvero libero in cui poter instaurare un sano rapporto con la Natura? Impresa difficile, ma, voglio sperare, non ancora impossibile.
In un ambiente naturale, in cui l’azione gratificante suscitata dalla necessità essenziale, la calma che permette d’assaporare i gusti e i piaceri e il silenzio che dà la precisa cognizione del Sé sarebbero valori di primo piano, Fabio (sempre inteso come modello valido per tutti gli altri disabili naturali) non incontrerebbe difficoltà alcuna nel condurre in maniera soddisfacente e significante la propria esistenza. Aggiungiamo a questi importanti valori la varietà di esistenze che soltanto la Natura sa generare. Varietà viva, non morta come le opere dell’uomo, e capace di disperdere la noia. Aggiungiamo i suoni della Natura che tranquillizzano e i profumi che ravvivano la mente e che, assieme ai colori e ai sapori, accentuano il piacere di essere vivi. Colori, odori e sapori, assolutamente naturali, s’intende, e secondo le loro giuste stagioni, per respingere con naturalezza ogni eventuale attacco sferrato dalla depressione. Effetto benefico avvalorato, ora, pure dalla scienza che, malauguratamente, lo ha consegnato alla commercializzazione che lo distribuisce a pagamento e artificialmente con risultati piuttosto scadenti sulla salute degli acquirenti. Questo, dei benefici elargiti dall’ambiente naturale integro, è un concetto che tutti hanno sempre saputo (quante
colpe enormi ha l’Uomo Norma! In quanto consapevole e mai ravveduto.), ma non era mai stato giustificato da uno studio con conseguente pubblicazione scientifica. Recentemente è stato condotto uno studio da un gruppo di ricercatori dell’University of Illinois guidati dal dottor Frances “Ming” Kuo. I risultati degli studi hanno sottolineato come la vita all’aria aperta, le passeggiate, la natura, il verde dei campi, migliori la salute fisica e mentale riducendo e inibendo i disturbi ansiosi e depressivi. Secondo gli studi, oltre a questi miglioramenti, anche tutto il sistema immunitario migliora. Mentre ambienti chiusi, artificiali e freddi, provocherebbero un aumento del rischio di obesità, sentimenti aggressivi e violenti. Insomma, la Natura aiuta il benessere fisico e mentale in generale, riducendo anche i rischi di obesità infantile e delle malattie cardiovascolari.
Al giorno d’oggi Internet pullula di siti che trattano un argomento che tutti i soci di Contatto Natura conosco alla perfezione, per averlo vagliato a lungo sotto tutti gli aspetti: l’Ortoterapia. Cito qualche brano piluccando qua e là:
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Al giorno d’oggi Internet pullula di siti che trattano un argomento che tutti i soci di Contatto Natura conosco alla perfezione, per averlo vagliato a lungo sotto tutti gli aspetti: l’Ortoterapia. Cito qualche brano piluccando qua e là:
“L’Ortoterapia ora è una
realtà, una via per aspirare a miglioramenti psichici e guarigioni dell’animo
attraverso semplici modalità di coltivazione e giardinaggio. Consigliata a
molti, indirizzata soprattutto a soggetti disabili.”; “l’Ortoterapia ammette il tatto e il contatto e promuove inoltre l’attenzione
e la manualità, persino il gioco di squadra, facendo del sostegno altrui un
modo per curare se stessi. (Disabili. Com – Il Piccolo) ”;
“L’Ortoterapia fornisce
una varietà di processi e di benefici che forniscono le opportunità e gli
stimoli per l’inte(g)razione sociale e l’occupazione–abilità lavorativa, aumenta
nei beneficiari le capacità di adattamento favorendo il loro potenziamento
cognitivo ed emozionale. (Dipartimento
di salute mentale – ospedale “G. B.
Grassi)”;
“La scelta
dell’occupazione in agricoltura biologica nasce dalla consapevolezza che oggi,
con la crisi in cui vive il settore, fino all’abbandono della terra,
un’inversione di tendenza non può non recuperare quei valori legati alla natura
che, se riconosciuti, possono far scattare un senso di appartenenza a questa
madre terra che risponde alle cure di chi la coltiva con amore, donando copiosi
frutti non solo materiali, ma anche in qualità di benessere psicofisico delle
persone. Obiettivo principale è intraprendere
coi giovani un percorso terapeutico di avvio all’inclusione lavorativa e
sociale, verso forme di maggiore autonomia, fino all’imprenditorialità. (Marianna Martorana)”;
“Seminare, veder crescere una pianta, aiutarla a fiorire e a far frutto
aumenta l’autostima, l’iniziativa, insegna a prendere decisioni, ma in modo
dolce, riavvicinandoci ai tempi della natura. (Superabile. It) ”
Potrei
continuare per pagine e pagine con le citazioni, ma credo che bastino quelle
che ho riportato per fornire al lettore un’idea del ben più vasto panorama. I
brani sono stati tratti da scritture che descrivono più o meno dettagliatamente
iniziative a loro modo lodevoli centrate sul salutare rapporto con la Natura,
ma pressoché da tutte si ricevono sensazioni di chiuso, di limitato, di
temporaneo, di hobby e di passatempo piuttosto che di vita, di freddamente
didattico secondo i criteri dei “normodotati
”, di sperimentale con parametri di valutazione sempre ispirati dal
comportamento dei “normodotati ”. Si
percepisce lo sforzo di trascinare i disabili nel mondo dei “normodotati ” e non anche viceversa,
come dovrebbe essere per ottenere risultati veramente buoni e soprattutto
gratificanti per gli uni e per gli altri. Caspita! E’ già
evidente da tanto tempo che noi “normodotati
” abbiamo guastato il mondo fino al limite dell’irreparabile; non sarebbe ora che c’inoltrassimo
per altre strade sperando di ricevere ispirazioni comportamentali migliori?
Comunque, sebbene
sembri il contrario, nei due paragrafi precedenti non ho voluto esprimere una
critica su alcune iniziative (tra l’altro: mai fare di tutte le erbe un fascio),
bensì manifestare il mio dolore, suscitato dall’evidenza. Eh, già: un conto è
l’ortoterapia, in ogni caso valida ma che andrebbe inserita in un contesto esistenziale
significante molto più ampio, tutt’altra impresa è impostare una vita vera, soddisfacente,
nella Natura. Ed è proprio questa finalità ad essere il fulcro del PROGETTO CONTATTO NATURA, che, inoltre, tiene in equa considerazione il fatto che la Natura
non suggerisce unicamente l’agricoltura.
Provvidenziale Ambiente Naturale! Che Pensiero Divino, aver posto l’Uomo in un ambiente che consolida il benessere fisico e rafforza la gioia di esistere!Non
meraviglia che il Male si sia dato e si dia un gran da fare nel distruggerlo
per fare proseliti più facilmente.
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Fabio, invece, deve sforzarsi a superare un sacco di difficoltà per adattarsi solo un po’ all'artificiosità diffusa in un ambiente che oramai risulta frustrante finanche per chi down non è. Tante difficoltà di carattere innaturale da affrontare e scarsissima gratificazione nell’inane superamento di alcune. E’ vita, questa, degna di essere vissuta?
Bah, in un mondo fatto di ragionamenti e di parole, diventato quasi del tutto artificiale a suon di parole e ragionamenti, non credo che ci siano molte persone propense ad interessarsi a certi aspetti della realtà naturale. Per quanto rivelatori di cose buone essi siano. La stragrande maggioranza preferisce ignorare, non vedere, non impegnarsi. Tanto più rari sono coloro i quali sono disposti ad interessarsi, non dico a preoccuparsi, dell’afflizione che incupisce le persone down a causa della mancanza di un rapporto diretto con la Natura che suggerisce un modo di vita semplice, secondo il quale costoro si muoverebbero del tutto a loro agio, ma di una semplicità più interessante e appagante di qualsiasi lavoro, occupazione o divertimento offerto dalla società concepita dai “normodotati” e, per giunta, mai stressante per la psiche.
Scrive Mario Paolini: “Le persone con disabilità hanno sempre fatto parte del vagone degli ultimi nel convoglio dell’Umanità e, anche se il piano legislativo di civiltà è oggi abbastanza alto, il sentire comune della maggior parte delle persone è decisamente più arretrato.”
Ma questa arretratezza dovuta a disinteresse apatico o egoistico, assai diffusa tra i “normodotati”, ha ripercussioni negative soltanto sui disabili? Dopo aver appreso molte cose proprio grazie a Fabio, posso affermare: certo che no.
No, venuti a conoscenza dell’arida tristezza di determinate esistenze, non si può rimanere indifferenti e auto convincersi di avere la coscienza a posto. Non può essere contemplato nell'Ordine delle Cose che un essere umano sia nato per fare il disabile e, in quanto tale, trascinare un’esistenza da emarginato priva di senso, e un altro sia venuto al mondo per fare il re con tutti gli agi mondani che ne conseguono e che, infine, entrambi ritornino ad essere accomunati dalla Morte. Le tante differenze di stato esistenziale tra gli uomini sono date dal Male che in seno a una società civile sguazza a suo piacimento. Il sol fatto, che nessun essere nasca per sua specifica scelta, esplicita un Diritto Naturale inalienabile: il Diritto di avere a disposizione aria e acqua pulite e del terreno da cui trarre il proprio sostentamento. Chiunque contribuisca ad alienare in qualche modo questo Diritto Naturale non può ritenersi innocente. Principalmente perché, non osservando con scrupolosità codesto Diritto, qualsiasi direzione l’Umanità decida d’imboccare, risulterà senza eccezioni un percorso intrapreso lungo una strada sbagliata. A conferma di ciò la Storia c’intristisce presentandoci una rassegna degl’innumerevoli risultati negativi dei percorsi intrapresi nel passato, ma l’odierno stato di cose ci spaventa addirittura, poiché si sta manifestando come la tragica conseguenza della somma di tutti gli errori di direzione del passato.
Non riesco proprio a capire come una moltitudine di persone, senz'altro la stragrande maggioranza nel mondo, non comprenda naturalmente che, se non si dà valore finanche all'esistenza del più misero e derelitto degli esseri umani, viene svuotata di ogni valore l’esistenza di chiunque, di tutta l’Umanità. Mi sembra ovvio, dato che proveniamo tutti dal medesimo Luogo, che, se non viene dato valore esistenziale a un essere umano, foss’anche il più derelitto al mondo, pure l’esistenza di tutti gli altri esseri umani appare subito spoglia di qualsiasi valore che possa ragionevolmente alimentare una qualche speranza in un Universo Spirituale concepito come Finalità Suprema che dovrebbe essere perseguita con fervore da ogni essere umano. Questione che ha tanto a che fare anche con i milioni di bimbi che giornalmente muoiono per denutrizione, mentre ogni straricco continua a sperperare inquinando 2800 volte più di un povero. (Per
onestà espositiva devo anche dire, secondo la mia esperienza, che ci sono
alcuni ricchi, persone sane e responsabili, che prestano attenzione a inquinare
meno di un povero e si prodigano molto per alleviare le pene di chi è
sacrificato dall’assetto sociale.) E così alla psiche sconcertata non resta che dedurre che l’esistenza umana non sia altro che il risultato di un processo della Materia che ha preso coscienza di Sé. Così: per caso e senza alcun fine che implichi una condotta naturale pregna di valore e di fondata speranza per il destino dello spirito umano. Fosse davvero questa l’essenza dell’Esistenza… tragica burla, la Vita! Una burla nella quale sarebbe stato molto meglio non essere coinvolti. Comunque, nonostante le traversie, l’afflizione e il degrado progressivo dell’Umanità io rimango di tutt'altro parere. Tra l’altro, ho svariati motivi per essere convinto che le responsabilità siano unicamente individuali e, quindi, se qualcuno si permetterà di trascurare il valore esistenziale di qualcun altro, limitandone la libera espressione, o anche semplicemente non agevolandola, non potrà mai far valere il valore della propria esistenza al cospetto dell’Ordine Supremo delle Cose.
A questo punto mi sento in dovere di far conoscere al lettore (nel caso non ne fosse informato) cos'è l’ICF, in quanto i concetti e le indicazioni presenti in questa disposizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono i principali ispiratori stabili della condotta che l’Associazione CONTATTO NATURA intende tenere. Non riporterò il documento nella sua stesura integrale (chiunque, volendo, avrà modo di documentarsi minuziosamente e utilmente andando in Internet), ma mi servirò piuttosto dell’ottima sintesi concettuale fatta da Mario Paolini, che apprezzo molto sia per il suo impegno come operatore in favore dei disabili sia come ricercatore assiduo nel settore delle relazioni interpersonali mediante le comunicazioni non verbali. Il brano che qui di seguito presento è tratto dal libro scritto da Paolini, capitolo sesto: “Perché bisogna studiare e conoscere l’impostazione ICF.”
“La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e della Disabilità, pubblicata nel maggio 2001 dall’OMS con l’acronimo ICF rappresenta il più recente strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni. Il nuovo approccio integrato permette la correlazione fra stato di salute e ambiente arrivando così alla definizione di disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
ICF descrive lo human functioning, dunque ribalta l’attenzione, da ciò che non c’è o da ciò che non va, alla descrizione del funzionamento della persona e alla salute, intesa come una interazione circolare di elementi e condizioni tra le persone, la loro salute e il loro ambiente. Non prende in considerazione una categoria di soggetti, i malati o i disabili, come individui estranei a noi che leggiamo il testo (prima di questa pubblicazione, io ero il sano che leggeva il manuale per studiare gli altri), prende in esame tutti. Tratta la disabilità come una condizione di ogni individuo e affronta la questione con un approccio radicalmente diverso da prima, ponendo in interazione circolare e non in sequenza lineare concetti che riguardano la persona e l’ambiente in cui essa vive.
ICF descrive lo human functioning, dunque ribalta l’attenzione, da ciò che non c’è o da ciò che non va, alla descrizione del funzionamento della persona e alla salute, intesa come una interazione circolare di elementi e condizioni tra le persone, la loro salute e il loro ambiente. Non prende in considerazione una categoria di soggetti, i malati o i disabili, come individui estranei a noi che leggiamo il testo (prima di questa pubblicazione, io ero il sano che leggeva il manuale per studiare gli altri), prende in esame tutti. Tratta la disabilità come una condizione di ogni individuo e affronta la questione con un approccio radicalmente diverso da prima, ponendo in interazione circolare e non in sequenza lineare concetti che riguardano la persona e l’ambiente in cui essa vive.
Le condizioni che determinano la salute o un disturbo-malattia nell’individuo sono descrivibili tenendo conto di:
─ funzioni, ovvero quel che fa un certo organo, dal pensare al fare la pipì, e strutture corporee, ovvero gli organi che dovrebbero fare una certa funzione, come pensare o fare la pipì;
─ attività e partecipazione, concetti che descrivono ciò che l’individuo è in grado di realizzare nella pratica quotidiana attraverso le sue capacità e le sue performance;
─ fattori contestuali, personali e ambientali, che influenzano o determinano condizioni che possono essere di ostacolo o di facilitazione per l’individuo.
Funzione e struttura corporea possono evidenziare una menomazione, l’attività può subire una limitazione e la partecipazione può subire delle restrizioni. Tutti questi elementi sono reciprocamente influenzabili tra loro. I fattori che possono determinare per un individuo menomazione, limitazione o restrizione, a loro volta possono essere ambientali o personali. Lo schema descrittivo che unisce i vari elementi può essere letto in modo circolare, ma l’attenzione non è più volta a ciò che non va nel singolo soggetto:si parte dai fattori ambientali e/o personali, che definiscono le condizioni di salute, ivi compresi i disturbi e la malattia, di tutti.
Trovo questo modello molto interessante e soprattutto molto rispettoso della persona; è bello leggere le raccomandazioni allegate al testo dell’ ICF, dove si chiede di superare definitivamente termini come handicappato, da tempo inutilmente offensivo, e dove allo stesso tempo si ribadisce che un individuo non può essere disabile nella sua interezza e nella sua unicità di persona, bensì persona con disabilità che ha diritto di essere chiamata come meglio crede e non di avere delle etichette che prescindono dal suo essere uomo o donna, persona che oltre alla disabilità ha anche talenti e normalità. Un mondo in cui siano tutti insieme proprio perché funzioniamo in modo diverso.
In questa chiave di lettura l’approccio di analisi ai problemi muta radicalmente e il problema da personale diventa sociale. Non si tratta di un facile slogan, specie in un’epoca che vive in pieno la crisi dell’etica della solidarietà e della cultura del sociale. Dire, ad esempio, che la persona con disabilità non è malata, che non necessita della regia del medico per vivere la propria vita, ma che ha bisogno di integrazione sociale, di persone che sappiano avere cura, con cura, con modalità non invasive e proiettate in avanti, può apparire banale, tuttavia questo non è ancora un pensiero condiviso, nemmeno tra gli operatori.
A me piace il concetto di avere cura , anche se non sento il bisogno di definirlo come ciò che si fa durante e dopo la malattia; fuori dall’ospedale l’avere cura è un agire che diventa politico, che mira a far valere il rispetto dei diritti umani, la cultura del diritto come sfondo parallelo all’etica della solidarietà. Prendersi cura del pezzetto di strada che passa davanti a casa era normale nella tradizione contadina e dei paesi: il rispetto dell’ambiente e della persona sono facce diverse della stessa medaglia.
L’altro radicale cambiamento imposto da questo modello ICF è che non si agisce più sulla persona, ma su di essa nell’ambiente, in una prospettiva ecologica che mira al migliore rapporto possibile soggetto verso ambiente e ambiente verso soggetto.”
A me piace il concetto di avere cura , anche se non sento il bisogno di definirlo come ciò che si fa durante e dopo la malattia; fuori dall’ospedale l’avere cura è un agire che diventa politico, che mira a far valere il rispetto dei diritti umani, la cultura del diritto come sfondo parallelo all’etica della solidarietà. Prendersi cura del pezzetto di strada che passa davanti a casa era normale nella tradizione contadina e dei paesi: il rispetto dell’ambiente e della persona sono facce diverse della stessa medaglia.
L’altro radicale cambiamento imposto da questo modello ICF è che non si agisce più sulla persona, ma su di essa nell’ambiente, in una prospettiva ecologica che mira al migliore rapporto possibile soggetto verso ambiente e ambiente verso soggetto.”
Terza convinzione impropria sui disabili naturali: “Non sono produttivi, mettiamoli da parte”.
Questo pensiero sta all’origine di un discorso troppo esteso per essere svolto in questa occasione di scrittura. Si dovrebbe arrivare a parlare perfino di eugenetica e non mi va di far risuonare certi tasti. Preferisco dimenticare l’orrida musica funerea che hanno composto Dirò soltanto che si tratta di un pensiero tipico dei potenti, di quelli che hanno necessità assoluta di esseri umani in grado di produrre. Diversamente, la loro potenza svanirebbe in un baleno. Per un altro verso meraviglia, invece, che questo pensiero, che ha in sé del funesto, sia accettato dai più. Comunque, qualche altro aspetto della questione, tra quelli che c’interessano direttamente, va evidenziato. Si potrebbe anche ammettere senza particolari remore che i disabili naturali abbiano scarse capacità produttive, ma vanno fatti dei distinguo. E’ vero: sono lenti nelle esecuzioni, chi più chi meno, ma va considerato che questa lentezza, considerata tale dai “normodotati”, è caratteristica del loro stile di vita. Stile che, di certo, non ha nulla a che fare con quello ansioso, stressante, malato, proprio dei “normodotati”. Per capire, basta osservare una persona down durante il pranzo: mastica lentamente, con cura, come Natura e perfino Scienza comandano per il benessere di ogni individuo. Pranzo e cena rappresentano per le persone down momenti fondamentali del rituale dedicato all’assaporare. Rituale perfettamente in linea con quanto manifestato dalla Natura.
“Lento a magnar, lento a lavorar”, recita un motto veneto e, con l’immancabile ottusità dei motti e dei proverbi popolari dell’Uomo Norma, fa intuire la negatività, presunta, di un modo di essere e suggerisce che è retta condotta sociale ingozzarsi in fretta, o addirittura saltare il pranzo, per correre a produrre con frenesia. Incita a tenere una condotta esistenziale contro Natura, la Quale, con la lentezza dei suoi cicli riproduttivi, c’insegna un comportamento ben diverso. Del resto, oggi chiunque può rendersi conto di come e quanto la produzione forsennata abbia depauperato disastrosamente il nostro pianeta. E’ pur vero che alcuni, tra i pochi che ancora non hanno il lume dell’intelletto offuscato, o spento, dal mercato e dal consumismo hanno incominciato a decantare i ritmi esistenziali della tartaruga e della lumaca, ma sono ancora troppi, per sperare in un miglioramento universale, quelli pronti a sgolarsi nell'urlare la loro volontà di essere inseriti in una catena di montaggio, che non permette loro neanche di andare ad orinare secondo necessità.
Lo stesso Nietzsche (un secolo fa!) deplorava questa fretta umana che continua a divorare l’Occidente moderno (e che dal tempo di Nietzsche non ha fatto altro che crescere), questa agitazione “così grande che la cultura superiore non ha più il tempo di maturare i suoi frutti”. Questa fretta contamina la scienza stessa – e che dire della terapeutica! – dove le scoperte, le teorie, le mode si spingono e si cacciano (un chiodo scaccia l’altro) così in fretta da far dimenticare quei dati di ieri e dell’avanti ieri che, pur essendo, magari, perfettamente validi, vengono tralasciati prima che si sia avuto il tempo di trarne precise lezioni e precise conseguenze.
La calma lentezza permette di osservare e assaporare con profitto. Infatti osservare e assaporare sono le due migliori fonti naturali di apprendimento e le persone down, legate come sono alla Natura, sanno avvalersene in maniera ottimale. Ovvio: si tratta di un apprendimento che può avvenire soltanto in un ambiente naturale e nello svolgimento di azioni necessarie al mantenimento e al godimento dell’esistenza. Invece, nel bailamme delle attività superflue concepite dai “normodotati”, ove ci sono difficoltà a iosa per tutti, i disabili si trovano in grave disagio, poiché appartengono ad un altro mondo, del quale hanno un’immagine indelebile in loro stessi. Non si lasciano imbonire dalle parole che esaltano altri tipi di mondi che si discostano nettamente dal primigenio, al quale, per forza di Cose, dovrà ritornare ad adattarsi l’Umanità dopo aver commesso una serie impressionante di devastanti sciocchezze. A proposito: come se la caverebbero i “normodotati”, fautori del bailamme civile, se dovessero mantenersi in vita in un ambiente assolutamente naturale? Scrive Sandro Bellenghi esperto in materia: “E’ quantomeno stupido e ridicolo che noi, uomini evoluti, sappiamo quasi tutto su un mare di cose secondarie ed inutili, mentre non sappiamo quasi nulla su ciò che concerne la nostra capacità e possibilità di sopravvivenza elementare.”
A questo punto del mio scritto mi rendo conto di non essere stato esaustivo nell’esporre le ragioni sentimentali e materiali che hanno influito su una determinata decisione di agire, presa da un gruppo di famiglie intenzionate a realizzare qualcosa di serio per far uscire dal nonsenso esistenziale le loro dolci creature socialmente emarginate. Potrei dire ancora molto e molto ancora, ma confido nell’intuizione del lettore sensibile e acuto per il completamento del quadro relativo alle problematiche dei disabili, che noi tutti dell’Associazione CONTATTO NATURA siamo intenzionati ad alleggerire, se non proprio ad eliminare. Aggiungo soltanto che un potente impulso ad agire è stato dato a tutti noi del gruppo dalle confidenze fatte da alcune madri, donne davvero encomiabili, con creature down che hanno un’età di poco superiore ai 23 anni. Confidenze di questo tipo: “Da qualche tempo mio figlio mi chiede con frequenza crescente: «Quando potrò avere un amico con cui condividere le giornate?». «Quando potrò avere una famiglia?»” (Nelle disabili naturali questa domanda tende viepiù a caricarsi di sofferenza con l’accrescimento dell’età.) E ancora, facendo riferimento al proprio organo sessuale,: «Che me ne faccio di questo?».
Una domanda, desidero porre ai “normodotati ” : “Vivreste o avreste
vissuto voi un’esistenza priva di sessualità?” E, dando una risposta alla
domanda, non vi sorge irruente il bisogno di alleviare la vita di chi
l’affronta portandosi addosso il peso di tante privazioni? Privazioni non
imposte dalla Natura, bensì dall’organizzazione del contesto sociale.
Va doverosamente precisato che le persone down, a differenza dei “normali”, concepiscono la sessualità unicamente come manifestazione affettiva di una coppia regolare, ovvero naturale, desiderosa di procreare. Procreazione negata ai portatori di trisomia 21, purtroppo, ma quante coppie normali sono ugualmente sterili? Non può essere questo un motivo di discriminazione. Del resto, volendo affrontare l’infertilità dal punto di vista scientifico, oggi anche le coppie down potrebbero avere figli e figli non portatori di trisomia 21.
Da parte mia ho contribuito a incrementare le confidenze, utili per il nostro gruppo nell'individuazione delle problematiche da affrontare, parlando di quando mi sono accorto per la prima volta che in Fabio era sorta un nuova forma di sofferenza. Tre anni fa, all'incirca verso le 21 e 30 di una sera di primavera avanzata, Fabio esce sul terrazzo di casa, rientra e dice: «Quante stelle in cielo! Mi piacerebbe… sì, insomma… oh, sì!... mi piacerebbe che qualche sera le stelle brillassero anche per me e... sì... sì... anche per la mia fidanzata.» E dopo neanche dieci minuti ci comunica: «Vado a letto.» E già, la televisione, il computer e la play station non possono bastare. Ad un certo punto della vita neanche i genitori possono bastare. E io, come uomo prima ancora che come genitore, sento che il cuore sta per scoppiarmi con pulsazioni disperate. Talvolta, spesso, mi rintrona nella testa una canzone di Fabrizio De Andrè che sintetizza in maniera quasi agghiacciante ciò (tutto il peggio, tutto quanto infligge il dolore più acuto) che parecchi genitori di disabili (disabili sociali, ma non sentimentalmente disabili) hanno compreso con disperazione non mitigabile. Questa canzone:
“Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.”
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.”
“Tu sogni di loro”!
I disabili naturali che sognano
continuamente i “normodotati”?! Questa
atrocità dev’essere per forza un tratto permanente della loro vita?! Quanto, dell’Esistenza, deve aver capito l’autore
di codesta canzone!
Io sto singhiozzando… e, ne sono a
conoscenza, quante madri e quanti padri rileggono questa canzone nei momenti di
tristezza più acuta per dar sfogo con le lacrime ai “grumi” che ostruiscono la
gola!
Oh, mondo sprofondato nell’insensibilità più cruda, spiritualmente mortale, quant’è vero che i disabili sognano di diventare normali! Tormentoso sogno irrealizzabile, ma al contempo ineluttabile, poiché la società propone perpetuamente, e senza curarsi minimamente delle sofferenze innescate in altri, un unico modello di essere umano: l’Uomo Norma che si è
autoproclamato “intelligente”. Tutto, nel mondo, è improntato sulle caratteristiche, sulle abilità e perfino sui sentimenti dell’Uomo Norma. “Ogni cosa, finché dura, porta con sé
la pena della sua forma, la pena d’essere così e di non poter essere altrimenti.” Sì, d'accordo, ma quando, invece di lenire la pena, tutto concorre ad accrescere la pena, significa che nell’ambiente c’è molto di
sbagliato. Così tanto, che la Vita viene svilita fino al punto di veder svanire
sia il proprio Senso sia le proprie Finalità.
Non credo, stando al mio vissuto, che un “normodotato”, con figli “normali” proiettati verso una futurizzazione conforme ai canoni sociali, possa percepire, ma neanche immaginare lontanamente, l’entità dello strazio che travolge un genitore allorquando si rende conto di trovarsi in uno stato di cose che non gli permette nemmeno di reperire dentro di sé le parole per rispondere sensatamente alle naturali domande del proprio figlio in pena. I pensieri che infestano la mente del genitore non sono riferibili, perché sono originati da un’angoscia che parla di morte come unica via di salvezza, come unica via di fuga dal dover assistere impotente alla regressione psicofisica, progressiva e straziante, della propria creatura amata. E chi non si abbandonerebbe alla regressione più sconsolata, anche tra i “normodotati”, se anno dopo anno fosse costretto a vivere in un contesto ambientale assai poco benevolo reprimendo senza soluzione di continuità tutte le istanze dei propri sentimenti? Senza gratificazioni di alcun tipo l’esistenza diventa presto un arido deserto in cui si appassisce assai rapidamente. E, se infine così deve accadere a causa di una società indifferente, che senso può essere dato a tutti i sacrifici fatti da tanti genitori e a tutto l’impegno profuso per far raggiungere un buon livello di autonomia e maturità alle loro creature down?
“Quando potremo stare in pace col cuore e con la mente?!”, questo è l’urlo, muto ma incessante, lanciato dalle famiglie giorno dopo giorno. Talvolta ora dopo ora. Come assuefarsi al disperante pensiero
che non cessa mai di trafiggere il cervello: mio figlio ha ricevuto in dono una vita che non merita di essere
vissuta?
Tutti
sappiamo a quali orrori della follia hitleriana e fascista (ci sono stati
documentati largamente) ha condotto la dissennata discriminazione tra “vite degne di essere vissute” e “vite indegne di essere vissute”, ma ciò
che mi preme evidenziare in questo contesto è il fatto che, se ci dovessero
essere per davvero “vite degne” e “vite indegne”, la Vita stessa sarebbe sicuramente
un Nulla privo di sensibilità umana e legato esclusivamente alla crosta
terrestre. Un mondo privo di Sensibilità sarebbe un Nulla mostruoso e tutto il
mio spirito non se la sentirebbe proprio di adeguarsi a questo Nulla. (E questo
intimo rifiuto assoluto dovrà pur significare qualcosa di per se stesso.) L’Esistenza
con Finalità Spirituali non può essere una corsa ad handicap, in cui alcuni
partono svantaggiati e altri avvantaggiati. E, data la casualità, avvantaggiati
senza merito e svantaggiati senza demerito. Tutto il nonsenso originato dalla
questione “vite degne di essere vissute”
e “vite indegne di essere vissute”
può essere dissolto soltanto da un’intuizione suggerita dall’Esistenza stessa, allorché
si riappropria del suo Senso ultraterreno: le “vite degne” hanno il dovere naturale di sostenere le “vite indegne” affinché diventino “degne”.
In questo consiste principalmente la lotta del Bene contro il Male che
vuol far fallire la Creazione. La
Solidarietà salva l'aspetto migliore della Creazione! Specialmente nell'ambito di una Società, pecialmente in quelle Società che hanno
espresso nella loro Costituzione un concetto simile a quello esposto nell'articolo 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.”
Può anche
succedere che i governanti non si curino di quei dettami ai quali dovrebbero ispirarsinelle
loro funzioni (il Male si dà un gran da fare in tutti i campi), ma questa
trascuratezza governativa
non esime la persona, attenta a mantenere il valore della propria vita, dal
soccorrere chi è casualmente
sventurato. Ecco il motivo per cui nascono le Associazioni: sopperire alle mancanze dei
governi, affinché non vi sia qualcuno che maledica con tutte le cellule del
proprio corpo il giorno
in cui è nato. E sì, perché, se un disabile naturale vive l’infanzia come si
trovasse in una
prigione senza spiragli, quando arriva a una certa età, quando la sua mente,
assieme a tutte le
cellule del suo corpo, comincia ad accorgersi che nessuna delle sue pulsione
naturali potrà mai venire soddisfatta, allora succede che
per il disabile deluso e demotivato rivivere l’inferno dell’infanzia sarebbe il
paradiso.
Purtroppo, in una società civile ogni
buona intenzione deve essere supportata dal denaro per potersi sviluppare e,
quindi, senza il contributo di altre persone attente e consapevoli del diritto
di tutti a vivere in maniera almeno un po’ gratificante…
Col trascorrere degli anni, la frequentazione con i disabili naturali ha consolidato in me il sentimento che queste creature dolcissime non meritano la triste fine che la società continua a destinare loro con indifferenza immutata o mascherata da propositi vacui e un PROGETTO valido ha iniziato a prendere forma. Poi, la passione con cui è stato accolto da alcune famiglie, perennemente angustiate da quel tremendo pensiero sintetizzato dalla locuzione interrogativa “e dopo di noi?”, ha fatto sì che il PROGETTO sia stato elaborato considerando ogni aspetto pratico, spirituale e soprattutto sentimentale. La collaborazione di psicologhe, psicoterapeute, psichiatri e medici di varie specializzazioni è stata preziosa è ci ha messo nella condizione di non tralasciare la valutazione finanche dei particolari minori del PROGETTO.
Dalla premessa che, ahimè!, non sono riuscito a condensare meglio per cui mi scuso con il lettore, credo che si possa evincere facilmente che il PROGETTO ha come finalità principale quella di far assaporare momenti di felicità o quantomeno di gioia e serenità esistenziali a delle creature emarginate e tremendamente frustrate dall’assetto della società in cui vivono. E qui, adesso, mi permetto d’inserire un consiglio destinato a quelle coppie che diventano neogenitori di una creatura considerata dalla società come un disabile naturale: preoccupatevi da subito di prestabilire oculatamente un futuro accettabile per vostro figlio, perché i veri problemi, quelli grossi che riducono il cuore a mo’ di una spugnetta strizzata e il cervello simile a una pentola a pressione, si presenteranno in schiera compatta successivamente al ventesimo compleanno della vostra creatura. Non indugiate! Non fatevi prendere di sorpresa e impreparati.
Ho già accennato al triste fatto che Fabio e tanti altri, come lui e della sua stessa età, cominciano ad accusare disagio per l’impossibilità di trarre qualche piccola gratificazione dai loro sentimenti più intimi, da quelli che, allo scoccare di una certa età, non possono più essere rivolti a un genitore e che un padre non può soddisfare pur intuendone la naturale irruenza che preme sullo spirito e sul cuore del proprio figlio. Per giunta, i disabili naturali sono individui che, a differenza dei “normodotati”, non chiedono, non pretendono mai nulla. Se offi loro un dito, afferrano il tuo dito con piacere, ma non si peritano d’impossessarsi della tua mano e tanto meno del tuo braccio. Si comportano come se percepissero di essere un peso per gli altri (la società, col suo modo di essere improntata ha contribuito in maniera determinante a questo svilimento) e perciò entrano in punta piedi nelle varie circostanze mondane. Aspettano soltanto e pazientemente che venga donata loro dai “normodotati”, che stimano molto, un po’ di soddisfazione esistenziale. “Le persone che ci circondano sono buone.” – pensano queste dolci creature – “Prima o poi ci permetteranno di essere felici.” Ed è proprio per questa loro peculiarità incorruttibile che fino ad ora non hanno mai ottenuto nulla di buono, nulla che abbia dato senso alla loro esistenza.
Ho già accennato al triste fatto che Fabio e tanti altri, come lui e della sua stessa età, cominciano ad accusare disagio per l’impossibilità di trarre qualche piccola gratificazione dai loro sentimenti più intimi, da quelli che, allo scoccare di una certa età, non possono più essere rivolti a un genitore e che un padre non può soddisfare pur intuendone la naturale irruenza che preme sullo spirito e sul cuore del proprio figlio. Per giunta, i disabili naturali sono individui che, a differenza dei “normodotati”, non chiedono, non pretendono mai nulla. Se offi loro un dito, afferrano il tuo dito con piacere, ma non si peritano d’impossessarsi della tua mano e tanto meno del tuo braccio. Si comportano come se percepissero di essere un peso per gli altri (la società, col suo modo di essere improntata ha contribuito in maniera determinante a questo svilimento) e perciò entrano in punta piedi nelle varie circostanze mondane. Aspettano soltanto e pazientemente che venga donata loro dai “normodotati”, che stimano molto, un po’ di soddisfazione esistenziale. “Le persone che ci circondano sono buone.” – pensano queste dolci creature – “Prima o poi ci permetteranno di essere felici.” Ed è proprio per questa loro peculiarità incorruttibile che fino ad ora non hanno mai ottenuto nulla di buono, nulla che abbia dato senso alla loro esistenza.
IL PROGETTO
Nella società del progresso è quasi impossibile assaporare la felicità. Non è che la felicità sia un sentimento stabile che, una volta installatosi, elargisca benessere con precisa costanza, ma nella civiltà del progresso gli elementi che facilitano e moltiplicano i momenti d'insorgenza del sentimento di felicità sono viepiù scarsamente presenti. Quindi, per principiare a realizzare seriamente il PROGETTO è necessario predisporre un angolo di mondo protetto, ove tutte le regole siano fondate sul Senso Vero dell’Esistenza Naturale. Perciò la sensibilità vigile deve essere una presenza costante.
In primo luogo, quindi, bisogna avere la disponibilità di un terreno discretamente spazioso, ovvero corrispondente alle esigenze previste per la realizzazione del PROGETTO.
Pur presupponendo del tutto arbitrariamente che i “normodotati” abbiano il sacrosanto diritto di occupare ogni luogo, tutto il mondo, io credo che anche i disabili naturali abbiano il diritto di avere un po’ di spazio per allestire un ambiente consono al loro modo di essere. Un luogo in cui sia sancito il diritto ad avere un ruolo riconosciuto e una identità come persone. Il diritto, come scommessa quotidiana, di diventare grandi, il diritto alle normalità possibili, il diritto di esistere davvero.
Siccome la società civile, con la quale non si può esimersi dal fare i conti durante un giudizioso e conciliante esame di realtà, è fondata sul denaro, ne consegue che per acquistare del terreno ci vuole una certa disponibilità finanziaria. Perciò, noi dell’Associazione CONTATTO NATURA, per conseguire i risultati preconfigurati nel PROGETTO, confidiamo con tutta la nostra speranza nella genuina solidarietà di tutte le persone sensibili che non tollerano che qualcuno venga messo da parte, perché non vogliono essere messe da parte alla fine dei loro giorni terreni. E’ proprio veritiero il detto: “Chi fa del bene agli altri fa bene principalmente a
se stesso.”
Inoltre, per confidare ragionevolmente anche nelle sovvenzioni europee per un progetto di utilità sociale è indispensabile attenersi a determinati requisiti richiesti. Cioè: bisogna attestare la proprietà di un terreno coltivabile, di almeno 2 ettari, su cui deve essere presente almeno un rudere che garantisca l’edificabilità di una struttura di servizio. Nel nostro caso anche abitativa: una mezza dozzina di appartamentini, la cui funzione specificherò più avanti.
L'Assemblea dei Soci, tenuta il
14/07/2011, ha stabilito, come fase di attività iniziale, che le sinergie dell’Associazione
siano convogliate tutte al raggiungimento di questo primo traguardo concreto,
senza il conseguimento del quale il PROGETTO non può
esplicare le sue potenzialità e dare
chiara visione pubblica della sua utilità veramente speciale, nonostante che le
pianificazioni riguardanti
la prosecuzione del PROGETTO, ovvero: la gestione delle varie attività previste
dall’Associazione,
il mantenimento, l’accoglienza e la sicurezza della struttura ideata, siano state già
approntate con cura.
I beni immobili in oggetto devono
trovarsi situati nel Comune di Treviso o in Comuni limitrofi.
Convinti, ogni giorno di più, che l’agricoltura e l'allevamento di tipo industriale siano inevitabilmente destinati al più totale fallimento, per la coltivazione del terreno ci atterremo al modello tradizionale che contempla una conduzione poco più che famigliare di un podere destinato alla produzione biologica, alla
coltivazione delle erbe officinali e all'allevamento di animali da cortile. Nel programma di allevamento verranno
inserite anche le capre per il loro latte speciale, sempre più richiesto dai
piccoli produttori di latticini speciali.
Meglio cercare di progettare qualcosa di autonomo al massimo livello possibile, capace di sostenersi attraverso il proprio rapporto diretto con la terra e la Natura. All’uopo abbiamo previsto l’uso di tecniche semplici, non sofisticate, alla portata di chiunque, che potrebbero interessare sia coloro che già rimuginano l’idea di ritornare a vivere in modo un po’ meno “civilizzato”, ma non sanno da che parte cominciare, sia coloro i quali a questa possibilità neppure pensano, ma che potrebbero un domani doverla necessariamente prendere in considerazione, costretti dall’oggettiva maligna evoluzione della situazione planetaria. Nell’organizzazione del nostro PROGETTO, quindi, abbiamo ritenuto salubre e conveniente seguire una tendenza, la coltivazione biologica non intensiva a chilometri zero, che si sta espandendo rapidamente in svariati Paesi sotto l’influsso di un’assennata presa di coscienza: oggi più che mai è indispensabile conoscere per bene ciò con cui ci si nutre. Oggi, che i prodotti dell’agricoltura industriale, con tutto quanto di nocivo essa comporta, stanno minando la salute degli individui, invece di
salvaguardarla. . E per conoscere bene il cibo non c’è niente di meglio che vederlo mentre si forma, mentre cresce. Pochi sanno che l’aver visto crescere ciò che si mangia nutre tre volte di più. Il saperlo coltivare, poi, elargisce fiumane di gratificazione per il fatto di sentirsi in simbiosi, sempre migliorabile, con la Natura. Coltivare in maniera intensiva con finalità venali, invece, è cagione di stress e lo stress da guadagno induce a una condotta fatta di compromessi, talvolta addirittura venefici.
“La
proposta di legge n. 251 è una giusta risposta perché rispecchia lo spirito con
cui sta procedendo la Commissione agricoltura, quello cioè della promozione di
una visione del mondo agricolo non più legato unicamente all’esercizio delle
specifiche attività, ma anche verso l’applicazione del moderno principio di multifunzionalità
che si traduce in apprendimento essenziale, equlibrio psicofisico, sicurezza
alimentare, rispetto ambientale e sviluppo della componente turistico – didattica. (Gina Cetrone- Commissione
Agricoltura)”
E, tanto per farsi un’idea parziale:
“Una carenza dei fattori nutritivi
indispensabili é una delle cause principali dell’attuale epidemia di malattie
cardiovascolari. All'inizio di questo secolo, quando l'infarto cardiaco era fenomeno
pressoché sconosciuto, hanno avuto luogo cambiamenti importanti nel modo di
vivere e nelle abitudini alimentari dell'uomo occidentale;ciò ha portato a un
forte incremento del bisogno di quei nutrienti che proteggono e riparano i
tessuti. Ma invece di provvedere a ciò si è fatto proprio il contrario.
L'inquinamento
atmosferico industriale, le emissioni di gas, i pesticidi impiegati nell'agricoltura,
le sostanze artificiali per profumi, colore e gusto, i conservanti ed altre
sostanze chimiche aggiunte all'alimentazione, hanno aumentato drasticamente il
nostro bisogno di vitamine e minerali. Hanno contribuito ulteriormente a questo
bisogno crescente 1'inquinamento del suolo e dell'acqua con metalli nocivi, la
respirazione di sostanze provenienti da materiali sintetici applicati negli
interni domestici, il fumo del tabacco e le medicine estranee al corpo.
La
nostra alimentazione invece di contenere più fattori nutrienti, ne contiene
sempre meno rispetto al passato. Questa tendenza viene poi notevolmente
rinforzata dalla raffinazione degli alimenti, una terminologia che significa
letteralmente perfezionamento alimentare ma potrebbe essere chiamata più
giustamente alterazione alimentare. Così come avviene nella raffinazione del
grano, intesa a produrre farina bianca “di lusso” in luogo del semplice grano
integrale ad alto valore nutritivo. Vengono cioè eliminate proprio quelle parti
del chicco di grano che contengono più vitamine e minerali! (alta erboristeria)”
Ecco: noi dell’Associazione CONTATTO NATURA siamo convinti che una attività agricola, condotta con modalità assolutamente non stressanti, sia l’ideale per strutturare nei disabili naturali la coscienza di Essere. (Non mi
soffermerò qui a illustrare le meraviglie naturali che si possono ottenere
facilmente con la Permacoltura.) Se, poi, la loro produzione risulterà apprezzata e porterà giovamento alla salute di altri esseri umani, potranno assaporare l’orgogliosa soddisfazione di sentirsi produttivi e produttivi del necessario e non del superfluo. Saper fornire prodotti colti direttamente da campi trattati in maniera naturale (senza anticrittogamici, insetticidi, intrugli chimici, diserbanti, concimi inorganici, che stanno rendendo inabitabile il pianeta e non contribuiscono né al miglioramento quantitativo né a quello qualitativo delle risorse alimentari) e distribuirli senza ulteriori passaggi di mano dopo averli colti nel momento migliore della loro maturazione, è indubbiamente un’opera meritevole di plauso e sostegno. Inoltre, i disabili (diversamente abili in questo caso), venendo a contatto frequente con gli acquirenti che apprezzeranno i loro prodotti genuini e privilegiando nell’accortezza delle forniture i sostenitori del loro pezzetto di mondo speciale, intrecceranno davvero dei rapporti sociali diversificati di appartenenza che fortificheranno il loro senso esistenziale.
Se i nostri prodotti saranno veramente speciali, un mercato proficuo si
svilupperà automaticamente e potrà rappresentare un’altra fonte di
sostentamento, destinata assieme alle altre a favorire il continuo ampliamento
e perfezionamento del PROGETTO.
Oltre a questo, l’attività agricola, come l’abbiamo concepita noi, ha un secondo aspetto positivo, probabilmente con effetti, per alcuni, ancor più benefici di quelli appena illustrati. Infatti, il lavoro verrà svolto in stretta comunione tra normodotati e disabili naturali, il che faciliterà l’instaurarsi di rapporti affettivi basati sulla conoscenza reciproca. Un rapporto potrà iniziare a saldarsi in virtù della soddisfazione provata dal normoabile nel constatare i progressi del disabile, che avvengono sotto la sua guida e per merito delle sue tecniche d’incoraggiamento. Il disabile, dal momento in cui sarà guidato a diventare responsabile delle proprie azioni e vedrà apprezzati i suoi contributi, anche nel caso fossero minimi, allo svolgimento del lavoro, migliorerà notevolmente il suo concetto di Sé. Le sue autovalutazioni intime muteranno da pensieri di disistima «Non sono bravo in niente.», «Non riesco a fare.», che arrestano la volontà di crescita, a nuovi pensieri gratificanti l’autostima «Riesco in tante cose.», «Sono abbastanza bravo.», che prepareranno le condizioni per uno dei momenti fondamentali dell’adattamento personale e sociale: il passaggio dalla dipendenza all’indipendenza. Infine, l’ex disabile arriverà a fare questa autovalutazione: «Sono piuttosto bravo in certe cose e non tanto in altre.» e avrà raggiunto un’equilibrata cognizione di Sé, che comporta la soddisfazione del bisogno vitale di appartenere: «Posso essere accettato dagli altri perché con le mie doti e i miei difetti, con le mie capacità e le mie inabilità, sono come tutti gli altri.»
Molti considerano l’incoraggiamento come un aspetto secondario dei loro sforzi educativi e di recupero e, non comprendendone l’essenza, non riescono nemmeno a penetrare la complessità di tale processo. Ed è un peccato, perché il "processo di incoraggiamento evita che un essere umano diventi un pupazzo, il cui comportamento viene regolato da forze che esulano dal suo controllo, e lo rende una persona capace di tendere verso un fine che lo gratifica e di lottare per esso. Dato che lo sviluppo dell’essere umano è intimamente collegato all'insieme dei membri che compongono il suo ambiente sociale, è solamente all'interno del gruppo che egli può avere una funzione e realizzare se stesso. Inoltre, è necessario inquadrare l’essere umano in una data situazione per capire davvero il senso delle sue azioni. Il contesto sociale risulta perciò essenziale per la comprensione del comportamento"( "Il
processo di incoraggiamento” di Don Dinkmeyer – Rudolf Dreikurs). E, come ha detto Allport: “La tendenza verso uno scopo è l’essenza della personalità.”.
Ma quale tendenza verso quale scopo può germogliare in quei luoghi ove abitualmente vengono radunati in massa i disabili per consumare in un niente assurdo la loro già povera esistenza? Chi, vedendo e sapendo, può ritenersi non colpevole, se in lui non irrompe un potente desiderio di contribuire personalmente a mutare uno stato di cose a dir poco brutale? Senza agire a favore del Senso Universale della Vita, può davvero sperare onestamente che venga concesso un qualche senso alla sua propria?
A questo punto non sarei
rispettoso del pensiero e del risoluto proposito dei miei Soci, pensiero e proposito che
ovviamente sono profondamente radicati anche in me, se non aprissi una
parentesi sulle Associazioni che si occupano di disabili naturali.
Ho detto in precedenza qualcosa
sul perché nascono le Associazioni che si occupano di disabili naturali: per
sopperire all’assenza dello Stato. Ma, per sopperire, cosa hanno fatto? In cinquant’anni cosa?
Forse hanno sostenuto psicologicamente qualche famiglia, forse hanno alleggerito il peso sopportato da alcune famiglie
nell’accudire i propri figli disabili, ma lo hanno fatto a discapito della
qualità della vita dei disabili stessi: li hanno messi tutti assieme, fatto dai
risvolti gravissimi.
(Ho già specificato quale sia
il ruolo dei disabili naturali nell’insieme formato con gli altri esseri umani, ma
desidero aggiungere un’osservazione: i disabili naturali non possono essere lo specchio di se
stessi. Essendo esseri umani, come chiunque altro su questa terra, anche i
disabili naturali hanno le
medesime reazioni dei “normodotati ”.
Cercherò di farmi comprendere meglio con un solo esempio,
tra i tanti che potrei esporre: se un “normodotato”, con tutti i suoi difetti, viene messo al
cospetto di un altro suo simile che abbia evidenti gli stessi difetti, in entrambi sorgeranno reciproci
moti di ostilità automatica, o quantomeno di forte antipatia. Psicanalisi docet.). Provate a
mettere assieme un certo numero di “normodotati
” che siano afflitti più o meno dai medesimi difetti e, come bruttissima
sorpresa non auspicabile, vedrete che…
Inoltre, hanno costretto i disabili a
partecipare ad attività insulse e decisamente deprimenti. Così sono passati gli
anni, tanti, e le vite di un considerevole numero di disabili naturali se ne
sono oramai andate, dopo essere state sciupate nella sofferenza del nonsenso. E
nella sofferenza sono trascorse anche le vite di gran parte dei loro
famigliari.
Forse le Associazioni sono riuscite a
far fare qualche passo avanti all’integrazione scolastica, più per merito della
sensibilità degli alunni che per impegno dei docenti, ma i criteri e i metodi
d’insegnamento si sono differenziati assai poco da quelli usati per istruire i
“normodotati ”.
(Fabio ha ottenuto un bel 100 all’esame
di maturità, ma, caspita!,
che fantastiche insegnanti ha avuto la fortuna d’incontrare! Delle rarità! Hanno avuto la capacità, la
passione e il coraggio per stravolgere sostanzialmente i canonici metodi
d’insegnamento prendendo in considerazione esclusivamente le particolari
capacità di apprendimento di Fabio. Al “caso Fabio” si sono interessati
giornali e televisioni, ma nessuno s’è sognato d’indagare sulla metodologia che
ha generato il “caso” e, magari, di divulgarla. E per Fabio? A cosa è valso il
suo impegno e il suo successo? Sta facendo il suo quattordicesimo stage,
retribuito 108,00 euro al mese.
Io ho avuto il piacere di conoscere
soggetti migliori di Fabio, ma ho anche avuto il dispiacere di apprendere che
si trovano in condizioni finanche peggiori.)
Forse alcune Associazioni si sono
impegnate in campagne pubblicitarie volte a sensibilizzare i “normodotati ”, ma io credo che la
sensibilizzazione efficace vada fatta mostrando, facendo vedere, quanto
di meraviglioso è stato realizzato dall’amore e dalla buona volontà e quanti messaggi
di correttezza sostanziale la realizzazione riesca a trasmettere alla società per
contribuire efficacemente al suo miglioramento etico ed esistenziale. Insomma:
far vedere cosa di bello e buono sia possibile, e per giunta
estensibile, con un po’ d’impegno solidale costante.
Stupisce, inoltre, che, nonostante il
numero elevato di Associazioni specifiche, il Governo, qualsiasi formazione di
Governo, non abbia mai prestato un gran ascolto alle loro istanze. Negli ultimi
tempi, va correttamente riconosciuto, le Associazioni sono riuscite ad impedire
l’innalzamento della percentuale d’invalidità, che si sarebbe riflettuto molto
negativamente su pensioni e assegni di accompagnamento, ma già il fatto che il
Governo abbia messo in atto questo ignobile tentativo denota…
All’uopo riporto il finale di un
comunicato:
“Va inoltre evidenziato che - pur dopo l’annuncio
dell’abrogazione del comma 1 dell'articolo 10 (riguardante
l’innalzamento della percentuale d’invalidità) - restano nell'immaginario comune i disastrosi effetti della campagna
mediatica, funzionale alla Manovra, che ha mescolato ai proclami contro il fenomeno delle
"false invalidità" lo stigma, non sempre latente, nei confronti delle persone con disabilità vera. E
questi sono danni su cui le Federazioni dovranno impegnare risorse ed energie in termini di
comunicazione e sensibilizzazione, iniziando quasi daccapo quello che da anni esse tentano di comunicare. (Ufficio Stampa FISH)”
A mio avviso: spreco pazzesco!
Anzi:
mi pare che sotto ci sia qualcosa di assai peggiore, ma lascio libertà di giudizio al buon senso del
lettore.
E il numero
degl’insegnanti di sostegno? Congelato! Tanto per dire.
Ma! Conosco parecchie
Associazioni, presenti sul territorio nazionale, che si occupano di disabili naturali e per 25 anni ho sempre
collaborato con loro.
[Fabio testimonial della Giornata Nazionale della Persona Down 2006]
Con taluni
Presidenti (perlopiù Presidentesse) di
codeste Associazioni sono in ottimi rapporti, tanto che ricevo da loro un
costante incoraggiamento a rimanere “in prima linea”, poiché loro si sentono
spossati(/e) dalle troppe disillusioni patite. In certe occasioni di discorso
mi è capitato di domandare a qualche altro Presidente: «Intende fare qualcosa di
serio per suo figlio?» E costui, stupito per la mia domanda, mi ha risposto:
«Come no?! Ho perfino fondato un’Associazione!»
Non tutti,
ma davvero troppi si gratificano giocando a fare i Presidenti e hanno completamente
rimosso il problema che sta a monte, ovvero tra le loro mura domestiche.
Intanto la vita dei figli “sfortunati” scorre senza soste e quella di molti è
già terminata. Chi dovrà, infine, rispondere di questo scempio?
Forse che, per orientare in maniera
ottimale le attività delle Associazioni, mancano le indicazioni fondamentali
che impediscano “divagazioni” inconcludenti? A me sembra che ce ne siano fin
troppe, sebbene mai saranno considerate troppe. Ovviamente, bisogna comprenderle
fin nella loro essenza più profonda, seguirle nella loro precisa applicazione
alla realtà e osservarne meticolosamente gli effetti facendo accumulo di
preziosa esperienza con i risultati ottenuti “sul campo”.
Per fornire un esempio, tra i tanti,
della presenza di buone indicazioni, riporto alcune conclusioni tratte dallo
studio del Professor Roy Brown e dei suoi collaboratori (traduzione di Daniela Pittiglio –
revisione Flavia Luchino – per il progetto “conosciamocimeglio”) :
“Ora le persone con sindrome Down
vivono molto più a lungo e diventa sempre più importante approfondire ogni
aspetto che riguarda la loro qualità di vita.”
[“Ogni
aspetto”, mi preme ribadirlo con forza.]
“Gli
attuali risultati suggeriscono che i progressi in questa area non sono
quelli che potrebbero essere, e dopo i trent'anni la situazione tende a
stagnare o mostrare un miglioramento minimo.”
[I trent’anni! Età fatidica, in cui le famiglie notano
distintamente e con angoscia i primi regressi, piuttosto che una stagnazione o un miglioramento
minimo. (secondo me, i primi segnali di regressione possono essere riscontrati già intorno ai
venticinque anni.)]
“Durante il corso della vita diventa
sempre più importante per le persone con disabilità dello sviluppo acquisire e
mantenere la consapevolezza dei propri cambiamenti, ed è necessario
sostenere una prospettiva positiva della propria condizione.”
[Con un cospicuo numero di “normodotati ” che in vari modi e forme
parlano di eliminazione? Compito oltremodo gravoso! A meno che non si riesca a dimostrare distintamente, cambiando
drasticamente metodi e mezzi, che la svalutata moneta della disabilità naturale
ha un’altra faccia, il cui indubbio valore può davvero arricchire la società,
in special modo nella sfera spirituale, oggidì piuttosto degradata.]
“Appare evidente come interventi individualizzati e diretti
al potenziamento delle scelte autonome e della autostima giochino un ruolo cruciale nelle
persone con sindrome Down, come in tutte le persone di questo mondo. Tali interventi, basati sul potenziamento delle
scelte autonome, devono essere indirizzati alle aree di cui si è
discusso in questo articolo: abilità sociali, bisogni emotivi e di autostima. ”
[“Interventi individualizzati ”, non di
gruppo.]
“Il
sostegno alle attività sociali produttive, che garantisca sia la facilità di
accesso che la partecipazione, è importante quanto la possibilità di impiegare
il tempo libero in modo attivo.”
[Che il sostegno sia assolutamente vitale, è senz’altro una
concezione alla portata della comprensione di chiunque stia vivendo nel nostro
tempo malamente complesso, ma il sostegno
produce i suoi frutti meravigliosi soltanto se viene dato in maniera
concreta e con l’intima convinzione di contribuire alla moltiplicazione e all’espansione
delle cose buone fatte dall’uomo, affinché si schierino in netto contrasto con
quelle pessime, che non son poche.]
“La
qualità del tempo libero e della partecipazione sociale sono campi in evoluzione, fondamentali per il
futuro: le persone con sindrome Down attraversano un lungo arco di vita.”
[“La qualità ”! Che non significa dedicare qualche ora della
settimana alla palestra, alla piscina, al disegno, alla musicoterapia, all’ippoterapia,
alle passeggiate in gruppo nei parchi e poi ripiombare nel vuoto del nonsenso
esistenziale, acuito dal fatto che lo svolgimento delle attività citate (a cui
se ne possono aggiungere molte altre) è condotto in piena assenza della “partecipazione sociale ”.]
“Altri
studi hanno notato che i comportamenti collegati a una scarsa attività sono
associati a problemi clinici comuni nelle persone con sindrome Down (per
esempio:obesità, difetti cardiaci, ipotiroidismo), problemi collegati all'invecchiamento
precoce e ad una aspettativa di vita più limitata.
Si raccomanda di eseguire ulteriori studi per
approfondire questi aspetti. Nel frattempo, è importante che le persone Down siano incoraggiate ad avere
motivazioni più positive, e che lo siano anche i loro familiari. ”
[Nell’artificiale
e artificiosa società odierna, i disabili naturali e i loro famigliari non hanno
possibilità alcuna di
farcela da soli e, se vengono “incoraggiati
” solamente a parole…]
“Una
persona con sindrome di Down ha la possibilità di migliorare anche nel corso
della vita adulta, ma le basse aspettative, ancora legate alle vecchie
conoscenze di questa condizione, possono rappresentare un ostacolo difficile da
superare.”
E, di
indicazioni da seguire, se ne trovano anche di più particolareggiate di questa
che ho riportato come breve campione. L’importante è avere la ferrea volontà di
seguirle per realizzare e non soltanto per arricchire con qualcosa
d’interessante un sito web.
Comunque, ritornando a ciò che interessa maggiormente all'Associazione, è importante comprendere che la stabilità del sentimento di appartenenza facilita i rapporti confidenziali. Per un normodotato un rapporto confidenziale può essere considerato un fatto che rientra, per l’appunto, nella normalità dei rapporti interpersonali, ma per un disabile che, come Fabio, è giunto al venticinquesimo anno di età senza aver mai avuto un amico, significa il dischiudersi delle porte di un piccolo paradiso. Superato lo stato di timidezza, che la lunga assenza di un rapporto amicale aveva reso quasi cronico, poter confidare le proprie istanze più intime, i propri desideri e i propri progetti, a qualcuno, magari pressappoco della medesima età, che ti conosce bene e con affetto ti ha accettato come sei, alleggerisce di un bel po’ l’esistenza di un disabile che non si sia mai trovato prima in una felice condizione come questa: cioè di avere un confidente, che non sia uno dei suoi genitori, al quale è propenso ad accordare la propria fiducia. Una folata di gioia lo investe e le sue giornate da buie diventano splendenti.
Ecco: io credo di poter affermare che il suscitare gioia di vivere sia l’essenza del PROGETTO che l’Associazione CONTATTO NATURA intende mettere in atto. Perciò, per consolidare il sentimento d’appartenenza e rendere sempre più possibili e duraturi i rapporti interpersonali abbiamo avuto cura d’inserire nel PROGETTO un’altra componente, che nel contesto consideriamo rilevante, da noi definita come momento conviviale.
Affinché anche le cose contribuiscano alla riuscita di un’atmosfera favorevole allo svolgimento del momento conviviale, la costruzione di stile rurale, che dovrebbe essere posta sul limitare del terreno coltivabile, dovrebbe essere provvista di un vano cucina molto ampio e corredato di tutti quegli elementi tipici di una calda e accogliente cucina contadina del passato. Al centro dovrebbe essere posto un lungo e largo tavolo intorno al quale, all'ora stabilita per il pranzo, si dovrebbero radunare tutti coloro i quali partecipano a vario titolo e compito alla conduzione di quella che potremmo definire azienda familiare in senso lato. Questo momento conviviale, come lo abbiamo concepito noi, dovrebbe essere elargitore di parecchi minuti di serenità e di allegria sia per i disabili naturali sia per i normali. Non solo per le capacità dei cuochi che abbiamo a disposizione, ma anche come effetto delle relazioni viepiù rinsaldate dalla convivenza quotidiana. Alla sera, tutti liberi di fare ciò che è nelle proprie intenzioni. Ci sarà chi deciderà di ritornare dai propri famigliari e chi stabilirà di rimanere. I normali, in particolare, potranno improntare liberamente la loro vita all'esterno della struttura con la tranquillità di avere un lavoro sicuro e, ne sono certo, gratificante. Di rilevante importanza è garantire la tranquillità di quei normali che formeranno i perni delle varie attività dell’associazione intorno ai quali si muoveranno ben guidati sia i disabili sia i volontari. La tranquillità agevola molto le relazioni interpersonali e di questi rapporti tranquilli ne beneficerebbero tutti, soprattutto i disabili.
La tranquillità di avere un lavoro sicuro! Di questi tempi avari?! Eppure, l’Associazione dovrà perseguire questo fine a tutti i costi, perché, come ha acutamente intuito Theodor Adorno, “il pensiero del denaro, ed ogni conflitto che esso porta con sé, penetra di necessità fin nei più delicati rapporti intimi, nei più sublimi rapporti spirituali”, guastando ogni cosa buona. Quindi, almeno per i primi tempi, l’Associazione dovrà confidare parecchio sulla prodigalità di tutte le persone sensibili che vorranno sostenere questo PROGETTO, ovvero la realizzazione di una “nicchia” di pace, bontà e gioia, da cui, in un mondo di “normodotati” in subbuglio, possono essere irradiate positive rappresentazioni di vita, capaci di espandere effetti benefici con feconda continuità.
Il problema, per la soluzione del quale ci siamo risolti a fare del nostro meglio nell'intento di offrire un lavoro stabile e decentemente retribuito a quei normodotati che si dimostreranno capaci di sostenere la struttura portante del PROGETTO, si presenta in questi termini: i volontari, comunque sempre apprezzati e sempre ben accetti, dopo essere stati in maniera giustamente amichevole a fianco dei disabili per un certo periodo, spesso fin troppo breve, scompaiono per intraprendere altri percorsi secondo le loro legittime aspirazioni esistenziali. Nulla di riprovevole. Per il disabile, però, incline ad affezionarsi intensamente a chi diventa un suo compagno premuroso, l’improvvisa separazione dal volontario equivale ad un lutto, la cui elaborazione, come ho già detto, gli risulta difficoltosa. Se, poi, la faccenda della separazione si ripete con un secondo volontario e ancora con un terzo, il disabile si asterrà dall'indirizzare i propri sentimenti verso la figura del quarto volontario e ritornerà a lasciarsi avvolgere dalla propria tristezza rigurgitante di piccoli sogni infranti.
I volontari migliori, lo si sa, sarebbero i genitori degli stessi disabili, ma abbiamo già visto che non possono proprio ricoprire certi ruoli di rilevante importanza esistenziale per le loro creature. Inoltre, Natura vuole che le figure dei genitori siano per lo più destinate a scomparire prima di quelle dei figli, il che provoca il lutto più duro da superare.
Principalmente per i motivi appena esposti, ma ce ne sono anche degl’altri da sommare, noi dell’Associazione CONTATTO NATURA, che abbiamo per motto “Mai più soli ”, abbiamo deciso di rendere il più possibile stabili le figure di riferimento per i fruitori delle strutture dell’Associazione. “Mai più soli!” Soprattutto nei momenti di dolore, di lutto. “Mai più soli!” Qualcuno che ti vuol bene sinceramente sarà sempre accanto a te. Per consolarti, per gioire e imparare con te. Per tenerti
la mano nel momento fatale.
Come già
accennato in precedenza, un’altra attività che fa parte del nostro PROGETTO è l’allevamento.
Concordi con il pensiero di Sandro Bellenghi : “Allevare animali, così come coltivare vegetali, vuol dire penetrare rispettosamente nella logica degli equilibri naturali ed operare all’interno di questa stessa logica.
I sistemi di allevamento “in batteria”, automatizzati, meccanizzati, alimentati attraverso l’immissione di mangimi artificiali prodotti in laboratorio, possono apparentemente far crescere il reddito dell’allevatore – e sottolineo questo “apparentemente” in quanto ci si sta accorgendo che i preventivi calcoli relativi erano sbagliati all’origine – ma certo, alla lunga, determinano irreversibili danni sanitari e genetici nel patrimonio zootecnico che si ripercuotono sulla salute dell’uomo e preparano con cura la prossima micidiale carestia.”, noi abbiamo deciso di allevare esclusivamente volatili da cortile, ai quali possiamo assicurare una sufficiente libertà, affinché le loro carni gustosamente commestibili non vengano avvelenate dalle tossine originate dalla sofferenza, come accade negli animali allevati in condizioni di vera e propria segregazione. Tossine trasmesse all’uomo al posto del nutrimento.
In
seguito a dei colloqui promettenti, abbiamo incluso nel PROGETTO l’allevamento delle capre, che impegnerà anche persone esterne
all’Associazione. Specialmente nei mesi estivi.
Nella nostra idea di allevamento ci atterremo a queste semplici regole:
─ allevare capi animali perfettamente ambientati nella condizione climatica e topologica in cui ci si trova;
─ alimentare gli animali con prodotti locali, in massima parte provenienti dalle coltivazioni che si effettuano direttamente;
─ consentire agli animali la massima libertà di movimento e la massima autonomia possibile;
─ allevare soltanto il numero di capi compatibile con le risorse alimentari di cui si dispone direttamente.
Seguendo queste regole, che contraddicono completamente tutto quanto la logica dell’allevamento scientifico sostiene, si ottengono animali sani, robusti, economicamente produttivi e che richiedono un lavoro ed un impegno modesto per il loro mantenimento. Per di più, aspetto
non trascurabile, sono molto richiesti dal mercato diretto.
Ecco, per riassumere con uno sguardo a una particolare tendenza in auge, (può
risultare davvero molto interessante leggere l’articolo “Zappa, computer e tag, ora
anche l’orto è social” pubblicato da
La Repubblica. Lo si trova facilmente in Internet.) l’Associazione CONTATTO NATURA ha scelto di seguire la stessa strada che da qualche tempo molte persone normodotate, finanche architetti, ingegneri, dottori e laureati di ogni tipo, stanno percorrendo felicemente dopo essersi lasciati alle spalle senza rimpianti carriere, riconoscimenti sociali e le percentuali del PIL. Questa ravvivata tendenza al ricongiungimento con la Natura, viepiù incalzante in un numero crescente di esseri umani, dovrà pure significare qualcosa. Per noi molto, per noi tutte queste saggie persone stanno indicando la strada giusta da percorrere, qualora l’Uomo non voglia trovarsi costretto a soccombere definitivamente, e quindi noi ci prodigheremo nel rendere il più agevole possibile questo percorso per quelle persone pure e fragili che trovano difficoltoso districarsi tra i tanti rottami dell’artificiale, ancora abbondantemente presenti perfino lungo la strada che conduce dritta alla libertà naturale.
Va comunque precisato che per i fruitori della
struttura non vi sarà obbligo alcuno di partecipare ai lavori agricoli o di
contribuire allo sviluppo dell’allevamento. “Il diritto alle normalità possibili” e “un ruolo riconosciuto”
sono già stati evocati in precedenza, ed ecco che, ad esempio, se un disabile lascerà
trapelare di possedere delle qualità che propendano a manifestarsi in maniera
meritevole nelle discipline artistiche, troverà l’ambiente che si presterà a
farle risaltare al meglio, ad incoraggiarle e pubblicizzarle, magari facendo diventare,
il non più disabile, “redditizio” per se stesso e per la
struttura. Mentre il contesto naturale improntato alla libertà, che lo
circonderebbe, avrebbe molteplici influenze positive su di lui.
Per quanto riguarda la mezza dozzina di appartamentini che dovrebbero essere ricavati nell'edificio di stile rurale secondo
le direttive della U.L.S.S. 9, la loro finalità è triplice:
1- Nel caso in cui tra i fruitori della struttura si manifestassero delle auspicabili unioni spontanee, tali da essere considerate coppie autosufficienti, queste troverebbero a loro disposizione gli appartamenti per imparare a vivere in modo indipendente e senza la presenza di sorveglianti evidenti, che hanno reso dei lager altre strutture semplicemente abitative. L’assistenza attenta e solerte verrebbe prestata in maniera discreta da tutti gli addetti alla struttura, a guisa di come ci si comporterebbe tra amici e vicini di casa. Amici e vicini con cuore e mente molto sensibili.
2- Sono parecchie le famiglie, appesantite dalle problematiche legate alle disabilità dei propri figli, che hanno necessità di trarre un po’ di respiro per rivitalizzare le proprie energie. Per aiutarle in questo recupero vitale, nel PROGETTO è stato previsto che le famiglie possano lasciare nella struttura le loro creature per un periodo lungo anche un mese, senza che questi inquilini ben accetti siano obbligati a partecipare ai lavori che impegnano altri soggetti presenti nella struttura stessa. Le questioni relative alla sicurezza e all'adeguatezza della struttura in progetto sono state studiate e definite con cura particolare.
3- Nel PROGETTO gli appartamentini hanno anche una terza funzione che ci sta molto a cuore. Ci sono
genitori, specialmente madri, che desidererebbero non separarsi dalle loro creature
fino all’ultimo dei loro giorni, tanto profondo è stato l’affetto ricevuto da
questi loro figliuoli. Il PROGETTO di CONTATTO NATURA
prevede questa possibilità
che in altre strutture risulterebbe impossibile o assai difficoltosa. E’
prevista una buona accoglienza fino ad un certo grado (abbastanza alto) di decadenza
dell’autonomia del fruitore della struttura.
Appartamentini rallegrati dalla Natura che si potrà ammirare serenamente dalle finestre.
Di altri benefici elargiti da un ambiente naturale ho già detto in precedenza, tuttavia desidero fare un’ultima aggiunta. Il contatto quotidiano con la natura, in virtù di una quantità di gratificazioni e compensazioni che qui non mi dilungherò ad elencare, riesce anche a sopire, surrogare, gli stimoli sessuali nei soggetti che per varie ragioni non sono in grado di soddisfarli adeguatamente. Effetto non di poco conto, che rende più leggera l’esistenza di che è già abbastanza svantaggiato nell’affrontarla.
Potrei
scrivere ancora pagine su pagine , volendo esporre dettagliatamente i tanti
aspetti che concorrono a delineare l’immagine completa del nostro PROGETTO (parlando, ad esempio, del labirinto
terapeutico che rinsalda e moltiplica le connessioni tra le sinapsi), ma,
ponendomi dalla parte del lettore, devo riconoscere di essermi dilungato già
troppo.
Noi, del PROGETTO CONTATTO NATURA, siamo intenzionati a profondere tutte le nostre energie per far
assaporare il gusto di esistere a chi, per casualità naturale drammaticamente
condizionata dal sociale, non ha ancora avuto modo di avvertirlo dentro di sé.
E’ bene
puntualizzare che la realizzazione del PROGETTO non è una
questione d’interesse personale, sebbene ne trarrebbero beneficio anche i
nostri figli. La struttura attuata resterebbe per sempre un bene sociale. Noi,
con l’Associazione Contatto Natura
abbiamo scelto la strada della “promozione
sociale” che ci porterà, se raggiungeremo determinati requisiti grazie al
concorso appassionato di molti esseri umani d’animo sensibile, a diventare
un’associazione Riconosciuta, ovvero
riconosciuta dal Presidente della Repubblica. Il che significa diventare una Istituzione Nazionale stabile.
Ci fa
piacere che il PROGETTO sia divulgato e non ci preoccupa l’eventualità che
venga copiato, anche perché esso è composto da tanti particolari, accuratamente
impostati e collegati tra di loro, che soltanto la realizzazione può
evidenziare lo splendore e la funzionalità dell’insieme di quanto
l’Associazione ha preordinato nel proprio PROGETTO. Vista
la realizzazione, solo allora la si potrà copiare in maniera valida ed anche
migliorare.
Talvolta, pensando
all’ineluttabilità di questa correlazione: se
una sola vita non ha valore, tutte le vite non hanno valore, insita
con configurazione statutaria nell’Ordine delle Cose, si fa sentire in me un
certo cruccio al pensiero che un PROGETTO di
questo genere dovrebbe essere pianificato al
mattino e già realizzato alla sera. In effetti, si tratta di un progetto di
valore morale e sentimentale piuttosto
alto: allevia le problematiche di molte persone, arricchisce la società e giova allo spirito
dei donatori ai quali, tra l’altro, poco niente costa elargire una donazione,
considerate le agevolazioni fiscali di cui possono fruire.
Tante piccole somme versate da tanti donatori ed ecco subito realizzata una
cosa buona, senza che qualcuno debba lamentarsi per un esborso sensibile.
A questo
punto non riesco a scacciare dalla mente il ricordo del pensiero espresso da Giuseppe
Pontiggia, autore del libro “Nati due
volte”: “Le
persone disabili nascono due volte: la
prima li vede impreparati al mondo, come succede a tutti; la seconda è una rinascita affidata
all’amore e alla vera intelligenza degli altri.”
Ecco: infine sono riuscito a smettere di abusare del tempo e della pazienza del lettore. Non mi resta altro da fare che lanciare un appello sinceramente accorato: aiutateci in tanti nella realizzazione di un pezzettino di mondo pulito e tranquillo, dal quale esporteremo tante cose buone per molti. Non
esitate: il tempo passa anche per i disabili naturali. Aiutateci ad aiutare e
la Vostra Ricompensa prenderà consistenza spontaneamente.
A noi di Contatto
Natura basta un po’ di terreno, uno spazio, per iniziare a dimostrare
che meraviglie può realizzare l’amore sincero e la buona volontà. Tutto il
resto, che riguarda il proseguimento del PROGETTO, è già pronto
e ansioso di entrare in azione.
Un “Grazie!”
di cuore da parte di tutti i Soci.
IBAN: IT 69 X 02008 12020 000101638749
Associazione di Promozione Sociale
CONTATTO NATURA ORGANICO SOCIETARIO
Presidente Lorenzo Lombardi
Vice Presidente Laura Lombardi
Tesoriere Walter Sarro
Segretario Ferruccio Mastroianni
Responsabile settore agricolo
Roberto Tosello
Addetti al settore artistico
Gabriella Bortesi - Roberto Marconato
Addetti al settore artistico
Gabriella Bortesi - Roberto Marconato
Coordinatrice relazioni pubbliche
Donatella Pretotto
Per le relazioni sociali extra regionali
Emanuela Gambazza
Camerin Liliana
Cristina Frulla
Giovanni Quaia
Giustina Sartori
Ilda Piovesan
Laura Cattelan
Paolo Beraldo
Michela Piasentin
Raffaella De Fanti Bernard
Soci sostenitori
Eugenio Manzato
Maria Agnese Mattarollo
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