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In codesto post, che sarà aggiornato con regolarità, verrà pubblicato tutto lo scambio epistolare che intercorrerà tra X e Lorenzo Lombardi. Staremo a vedere a quali apici sarà in grado di arrivare questo scambio concettuale che presenta un inizio promettente. Chiunque lo desideri, potrà intervenire nel dibattito esponendo concetti propri. Se ciò avverrà, sono sicuro che il confronto concettuale apporterà un congruo e appropriato arricchimento intellettuale ai partecipanti.
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e-mail del 23 - 04 - 2007 - da Londra
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Buongiorno, e grazie del Suo messaggio (a proposito: chi è Lorenzo? Chi è Laura? Ho capito chi è Fabio, ma mi spiegate come funziona la "gang"?).
Sono anche lieto che il signor Conte abbia apprezzato e diffuso i testi che gli ho mandato: da lui non ne avevo avuto notizia. Ho dato una prima occhiata al blog. Il tema mi sembra interessantissimo.I testi sono ampi, ho potuto solo scorrere le "meditazioni sulla lettera di m.e.", e prima di commentare vorrei leggere per esteso e con calma. Di primo acchito, ho l'impressione che avremo da discutere a lungo sulla parte centrale dell'articolo, quella in cui parte da Bacone per prendersela con la tecnologia.
Uhm..
Bacone, poverino, quello che disse: "la natura, per essere comandata, esige innanzitutto di essere UBBIDITA"? Cioè quello che disse che qualsiasi limite naturale può diventare un trampolino, se e soltanto SE una mente umana lo assume, ne prende atto senza compromessi, senza inventarsi realtà parallele e verità alternative, e su queste basi esercita su di esso tutto l'immenso potere della mente e della volontà umane?
Siamo sicuri che Fabio con il suo "100" e Mauro con le sue prestazioni atletiche siano davvero così lontani da Bacone? E che non condividano molto, invece, con il potere della scienza e della tecnologia - che non sono altro che i nomi "storici" del fatto che la mente dell'individuo ha un potere che va oltre quello del suo corpo? E ben oltre quello di qualsiasi collettività scervellata? [distinguiamo "scienza e tecnologia" dal cretinismo di un singolo dottorino che fa diagnosi partendo da dettami ideologici, e non dal guardare e ascoltare l'uomo che ha davanti]. E che se appena appena l'individuo si mette a pensare, la sua stessa umanità lo costringe a trasformare la natura, come minimo perché essa lo ha dotato di un corpo sempre insufficiente a quel che la sua mente può concepire?
Mi sa che avremo da discutere, su qualche PREMESSA dei nostri rispettivi approcci alla Verità: credo che la premessa religiosa (che io non condivido) cambi di molto l'approccio alla natura, quindi alla mente e al corpo dell'uomo.
Ma appunto: non voglio entrare adesso nel merito, prima di aver letto in dettaglio e analizzato almeno qualche articolo.
E soprattutto mi sembra che alcune altre premesse ci vedano molto vicini. A cominciare dalla decisione di esporre la vita di un ragazzo Down su internet attraverso i suoi SCRITTI. Cioè attraverso la PROVA concreta, quasi tautologica, del fatto che egli esiste, agisce, comunica, crea. E quindi è Uomo. Al 100% (bello quel "100" alla Maturità: bello in quanto realtà, ma anche bello in quanto metafora). Fine della questione, fine di qualsiasi velleità di controllare quell'uomo, "selezionarlo", estirparlo a fini terapeutici o in omaggio a Umanità astratte.
Io preferisco questa strada (cioè quella che chiede a ogni individuo di DIMOSTRARE il suo valore: SO che ciascuno può farlo, e Fabio o Mauro mi danno ragione), piuttosto che quella che chiede di amare chiunque a prescindere dalle sue azioni, pensieri, da quel che fa e comunica. Di riconoscergli un valore a priori: se va bene, un valore mistico di "immagine di dio" [e qui potremmo anche litigare]. Se va male, un valore statistico/sociologico ("l'uomo Down esiste e merita attenzione perché IO, suo terapeuta, esisto e lo amo": aaaaghhh!!! Una specie di "vita di seconda mano"). Quest'ultima strada rischia di creare, per esempio proprio per gli uomini Down, "nicchie di realtà" alternative, relativizzate, con franchigie, con criteri di valutazione "particolari". Per poi esercitare tanto, tanto "amore e rispetto" - ma di una varietà "speciale".
Invece Fabio pretende che io discuta con lui di filosofia.
Bene, molto bene. La sfida mi interessa.
Adesso mi leggo il saggio su "m.e.", poi ci facciamo una bella litigata!
Come si fa tra uomini, tra individui, tra intelletti.
Trema, Fabio!
Heh heh...
Grazie ancora dell'incontro, e a presto.
X
------------------------------------------------------------------ e-mail del 30 - 04 - 2007 da Treviso
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Prima di tutto un ringraziamento dal profondo del cuore per la sua articolata e tempestiva risposta alla mia e-mail del 22/4.
Per quanto riguarda le identità: Fabio è il mio secondo figlio, Laura è sua sorella e io, Lorenzo, sono ovviamente il padre di entrambi. Andando a visitare “L’angolo della meditazione”, Lei potrà collegare meglio le fisionomie ai nomi. Il gruppo degli Incivili, invece, è formato da alcuni amici (uno dei quali, di nome Euro – vedi foto –, è l’apprezzato segugio del gruppo che ha subito fiutato le ottime qualità degli scritti, da Lei inviati a conoscenti e amici in occasione delle festività natalizie di anni trascorsi, e si è premurato affinché mi pervenissero, sicuro che mi sarebbero piaciuti), amici che si sono dichiarati disponibili a perseguire una determinata idea, nella flebile speranza di un miglioramento esistenziale che, per il momento, appare come una chimera pallidissima.
Las Vegas - Hotel Riviera - Euro, fotografato accanto a una scultura che potrebbe rappresentare il monumento alla reale emancipazione della donna occidentale -
Un gruppo di amici che, però, ha sperimentato personalmente i benefici elargiti dalla conoscenza della Verità o, quantomeno, dalla conoscenza di Tutto Quanto è necessario e sufficiente alla corretta interpretazione e conduzione dell’Esistenza. Sintomi nevrotici e relative pillole sono scomparsi dalle loro vite e le loro quiete pulsazioni cardiache testimoniano la raggiunta consapevolezza del perché sono. Comunque, tutto ciò fa parte di un discorso assai più ampio e, ahimè, oggi diventato complesso proprio a causa della sua semplicità naturale, che non trova una spontanea linearità espressiva in un contesto in cui la Natura è sempre meno presente e la sua vitale qualità di Suggeritrice Assoluta è pressoché svanita. Un discorso che, per il momento, è meglio tralasciare, poiché esso esige, oggi, di essere svolto dall’inizio, senza sbalzi e con una precisione consequenziale inconfutabile e portato a termine con l’ausilio di una lavagna su cui vanno segnati i punti fissi, cioè i concetti inoppugnabili, come ho ben chiarito in “L’angolo della meditazione”.
Veniamo al testo della risposta da Lei gentilmente inviata, che si presenta come una questione molto più simpatica da trattare.
Lei domanda: “Cosa si propone la “gang”?”
Niente, direi. Sfiduciata com’è, tanto da aver assunto la denominazione di Incivili, non si è proposta una meta precisa. Tuttavia non è affatto rassegnata a condurre un’esistenza passiva, priva di reattanza, nel significato psicologico di questo termine che va considerato vitale (Le consiglio di dare una sbirciatiana nel vocabolario, nel caso non avesse fatto uso di questo termine prezioso per un lungo periodo di tempo. Non risulterà tempo sprecato.) Proprio perché è a conoscenza della Verità, la “gang” (mal si addice questo termine al gruppo degl’Incivili: troppo seri, troppo accigliati e fin troppo controllati nonostante le tante provocazioni sociali, per dare anche solo la parvenza di essere una “gang”) non si rassegna ad accettare pedissequamente l’imbrigliatura che il Sistema ha messo addosso agli uomini, rendendoli animali domestici privi di volontà propria.
A proposito di “animali addomesticati”, val la pena di fare una divagazione (credo che in questa e-mail, di divagazioni, ne farò tante, per fornire a Lei una nutrita gamma di spunti, da cui scegliere per sviluppare delle critiche o delle conferme) dando un’occhiata a ciò che è stato scritto da Pino Aprile.
(1)“L’uomo sembra davvero dotato di un tocco che rincretinisce. Persino le bestie più sveglie, se ci frequentano regolarmente, finiscono stupide. Fino a quando se ne stanno fra i loro simili, non succede nulla del genere. Ma più ci diventano amiche e devote, più le loro capacità cerebrali diminuiscono, al punto che un animale allo stato brado e il suo parente domestico non sembrano più esemplari della stessa specie.” … “Quelli che si sottraggono alla nostra potatura cerebrale, di norma sono considerati “cattivi” e sterminati. Come il lupo, che oggi rischia l’estinzione. Quelli della sua specie che si sono assoggettati, hanno pagato la loro sopravvivenza con una pesante contrazione delle capacità intellettive, sono diventati cani e non corrono alcun pericolo di estinguersi.”
Quanti, anche tra gli uomini, diventano cani!
Bah. Torniamo a noi.
Agire secondo gl’impulsi originati dalla reattanza non è cosuccia da poco. E’ un agire che ha in sé la predisposizione al raggiungimento della Meta più grande, che dovrebbe essere anche la più ambita, ma, purtroppo, quest’ultima tendenza non mi sembra essere presente tra le folle.
A dire il vero, l’idea di approntare un blog è nata durante il congresso tenutosi a Verona nel maggio 2006, presenti 84 delegazioni di altrettante Associazioni affiliate alla Coordown, in cui Fabio è stato scelto come testimonial fotografico per la campagna pubblicitaria nazionale. In quell’occasione, alcuni presidenti delle Associazioni mi hanno chiesto di elaborare un’ideologia, relativa alla persona down, che rispecchiasse l’esperienza effettiva di chi è vissuto accanto a un down, dato che la determinazione clinica fornita dalla scienza dimostra palesemente di non cogliere appieno l’essenza di tale esperienza particolarissima. Infatti, il rapporto-confronto, di stampo scientifico, tra down e “normodotati” porta a una conclusione deficitaria dell’essenza stessa del rapporto.
Scelto il blog come sistema divulgativo, Fabio lo imposta e io mi dedico con calma allo scritto “Il desiderio di un padre”, ma ben presto mi accorgo che nel caso specifico una ideologia, per essere valida e come tale compresa, presuppone obbligatoriamente la conoscenza della Verità Esistenziale. Una Verità, che i down, se non contaminati dalle sclerotizzanti prassi dei “normodotati”, esprimono naturalmente nel quotidiano, ma che dovrebbe essere pure patrimonio irrinunciabile di qualsiasi essere umano. Invece, sembra proprio che quasi tutta l’Umanità la ignori bellamente, mentre s’aspetta comunque il “paradiso”. Che pessima delusione subiranno nell’attimo fatale! Del resto, la presenza incontrastata di questo stato d’ignoranza è confermata più che sufficientemente dall’attuale andazzo del mondo. Ma c’è di peggio: lo stato attuale del mondo è il risultato di un errore iniziale nella scelta della condotta esistenziale da tenere. Mi è parso subito chiarissimo che l’irrecuperato, e forse irrecuperabile, distacco dalla Verità Naturale dev’essere avvenuto in tempi lontanissimi, nel momento in cui, al posto del superamento della paura della Morte, s’è imposta la consolazione per la paura della Morte, predicata dal primo sciamano che s’è accorto, ispirato dal Male, di quanto bene terreno gliene potesse derivare da una predicazione di tal fatta. Quindi, riunite e riordinate le debite constatazioni, ho capito di trovarmi in uno scenario sconcertante, in cui risaltano vistosamente due realtà deprimenti. Una: l’esposizione della Verità ha acquisito, misericordia!, una connotazione scioccante, sconvolgente e lontana anni luce dallo stato mentale della stragrande maggioranza degli umani, oramai assuefatti a ragionare per logiche relative; due: sebbene inquietante, io sono convinto che, quand’anche venisse divulgata massicciamente, pochissimi sarebbero inclini ad accettare la Verità e a mutare drasticamente il loro modo di essere. Il Male, messo a dimora nelle società dalla scienza e dalla tecnologia (che non a caso hanno per genitrice la delirante alchimia), ha sviluppato un’abbarbicante radice che col trascorrere del tempo s’è rivelata talmente invadente e soverchiatrice da rendere suo schiavo remissivo tutto il genere umano. Questa radice porta il nome di Comodità e per essa quasi tutti gli umani sono disposti a sacrificare, senza scomporsi minimamente, le Finalità Esistenziali per cui sono. Finalità completamente rimosse perfino dalla memoria. Nessuno ha più presente in sé il perché del suo essere su questa Terra. C’è chi vegeta nella convinzione che il successo politico, finanziario, imprenditoriale o artistico equivalga a una assicurazione d’immortalità spirituale; altri, viceversa, pensano che sacrificando se stessi si possa ottenere con certezza un “lasciapassare” per l’Eternità; taluni confidano nell’eccelsa missione di seguire “virtù e conoscenza” secondo i parametri impostati dalle autorità terrene in auge nel loro Paese e diventano peggiori del nevrotico Ulisse, privo di pace interiore; talaltri riposano tra due guanciali, l’ignavia e la prassi, sicuri di concludere la loro esperienza terrena andando a fluttuare tra stuoli di cherubini o di freschissime vergini, per il sol merito di aver presenziato con costanza rituale nelle chiese o nelle moschee o nelle sinagoghe o in altri edifici similari; talaltri ancora, intellettualmente più modesti, trascinano la loro esistenza avendo in mente un unico concetto metafisico “grandioso”, che può essere condensato ed espresso con una miserrima locuzione dialettale di questo tipo: “morto mi, morti tuti e tuto”. Poi c’è lo stuolo dei cultori della propria immagine, persuasi che apparire equivalga al miglior modo di vivere, mentre proprio l’immagine è la loro rovina, in quanto, priva di Verità, essa null’altro è se non scandalo spiritualmente mortale.
E’ ovvio, inoltre, che l’assenza della Verità comporta pure l’assenza del concetto corretto di Innocenza, in quanto viene a mancare il Punto di Riferimento Assoluto che, se presente, permetterebbe la formulazione di giudizi ineccepibili. E, stando così malamente messe le cose, il soldato si crede innocente perché ubbidisce a degli ordini, mentre è colpevole in prima persona; altrettanto dicasi dell’operaio edile che, costruendo edifici smodati, sottrae l’orizzonte alla vista dell’uomo; e del metalmeccanico che fabbrica automobili; e dell’operaio addetto alle raffinerie di petrolio; e, continuando una elencazione che chiunque dovrebbe essere in grado di prolungare, di tutti quelli che si credono innocenti alla luce di logiche relative, socialmente radicate per la convenienza del ceto dominante, che nulla hanno a che fare con il rigore assoluto delle Regole Naturali che decretano nettamente la colpevolezza di tutti costoro. Un rigore che, lungi dall’assomigliare a qualche cosa di equiparabile a “tolleranza zero”, è il massimo garante della libertà assoluta dell’essere umano e della sua fondamentale innocenza. Grandiosità ineguagliabile delle Regole Naturali che, pur dirigendo, non opprimono mai! Un rigore, quindi, che è un fattore ben differente dal rigore delle leggi che governano il reclusorio sociale.
Ecco, come Lei avrà già percepito, ogni qualvolta mi capita di sfiorare l’argomento “Verità Esistenziale”, vengo afferrato prepotentemente dal desiderio di mettermi a svolgere con chiarezza ogni tema inerente ad Essa, ma proprio quando, scrivendo, inizio ad avvertire la grandiosità vivificatrice dei suoi Dettami Esistenziali, l’odierna immagine del sociale, con le sue due realtà più deprimenti dianzi specificate, interviene a frenare la mia volontà. Divento titubante e questo stato d’incertezza sul da farsi migliore mi fa girare intorno all’Essenza della Verità con parole che evitano scrupolosamente di dipanarne la matassa centrale.
Perché dovrei mettermi a parlare della Verità? E, per giunta, in una società in cui gli elementi affetti da “concreteness” aumentano di giorno in giorno? L’essenza negativa di questo interrogativo, che m’angustia, viene tosto invalidata da un ottimo asserto: “per amore della Verità”. Questa motivazione dovrebbe essere già sufficiente ad eliminare le mie perplessità, ma c’è anche di più, che potrebbe spingermi a parlare della Verità da mattina a sera, senza saltare un sol giorno: il corrosivo sentimento d’impotenza, generato dall’essere impediti a vivere secondo se stessi sotto la sicura guida della Verità Naturale, avvilisce troppo l’esistenza di chi sa e, senza lo sfogo in un’azione che infonda un minimo di speranza in tempi migliori, non può essere sopportato a lungo. Per giunta, nel mio caso specifico, il di più è accresciuto ulteriormente dal vigore di un intento impostomi dal cuore: vorrei riuscire ad offrire alle persone down una vita degna di essere vissuta secondo se stessi. Questo, non tanto perché down è uno dei miei figli, quanto perché i soggetti down sono esseri umani di una dolcezza tale che duole molto vederla sacrificata e sciupata dalla condotta esistenziale imposta dall’insensibilità dei “normodotati” che hanno assoggettato alle loro funeste regole il mondo intero.
Letto quanto ho appena esposto, Lei mi potrebbe dire: «Embè, cos’altro aspetti per deciderti a sbarazzarti di ogni remora e metterti a parlare schiettamente?» Eppure, sussiste ancora qualcosa di potente che mi trattiene. Una sorta di desiderio che ha preso forma man mano che andavo vagliando le cause della mia perplessità ed è diventato presto una condizione sine qua non. Se i buoni motivi mi faranno risolvere ad esporre in maniera esaustiva tutti gli argomenti che concorrono ad avvalorare ciò che infine non potrà presentarsi sotto un aspetto diverso da quello accettabile come essenza della Verità Esistenziale Naturale, io desidero che ci siano tutti i convenienti presupposti affinché l’esposizione pervenga ai timpani di un alto numero d’individui, cosicché le obiezioni possano risultare di una varietà considerevole e quindi significativa, smontate le quali, le elaborazioni mentali di sofisti e legulei, al servizio dei poteri costituiti, non possano più pervertire con le loro logiche relative la Verità acquisita almeno da un cospicuo numero di persone , con gran beneficio del mantenimento e della divulgazione della Verità stessa. Non è che io desideri che ciò possa avvenire per ottenere risalto personale. Il mio desiderio mira a mitigare il disgusto derivante dalla constatazione di quante vite vengano buttate via in nome di menzogne malamente mascherate da verità e si prefigge di eliminare lo sguardo spaesato dei down con l’ausilio di altre persone, consapevoli di se stesse e di quale sia la Verità da porre come termine di confronto per determinare la bontà delle proprie azioni. Neanche mi sfiora un pensiero che contempli l’ottenimento di un risalto personale, poiché nella Verità di cui parlo non v’è niente di mio. Non ho inventato niente, non ho elaborato niente, non ho scoperto niente. Io ho semplicemente appreso, con volontà d’apprendere, ciò che è doveroso conoscere per poter possedere il Vero Senso dell’Esistenza. Una conoscenza che è alla portata di chiunque, così come dev’essere la Verità per sua stessa natura. Una Verità che potrebbe essere intuita, e quindi sviluppata, anche solo leggendo questa strofa del premio Nobel Rabindranath Tagore:
(2)“Il tempo in cui Tu eri Te Stesso, solo,
non potevi conoscere
neppure Te Stesso.”
Eppure, con mia grande meraviglia, nemmeno l’autore di questa fantastica strofa è riuscito a spingersi oltre codesta intuizione profonda. Qualcosa si dev'essere inceppato nel suo processo di deduzione, sebbene che, vagliando altre concezioni presenti nelle sue opere letterarie (quella che mi sembra la più significativa l’ho citata nello scritto “Meditazioni libere ispirate dalla lettera di M. E.”), si possa ritenere che fosse giunto a un buon punto del percorso diretto alla Verità.
Una Verità, la cui delucidazione oggi può apparire un po’ dotta, ma che potrebbe essere espressa anche a gesti accompagnati da grugniti e compresa da un eremita analfabeta. Tanto più che la Verità Esistenziale non dovrebbe essere un concetto da comunicare ad altri o da ricevere da altri, in quanto Essa dovrebbe essere intuita individualmente e, grazie a questa intuizione intima, l’armonia tra gli uomini dovrebbe risultare una realizzazione conseguentemente automatica. Che questo non avvenga nella realtà e che noi ci si trovi qui a principiare una dissertazione sulla Verità come se si trattasse di un oggetto sconosciuto ai più, sta a testimoniare oltre ogni dubbio che gli esseri umani si trovano a spendere la propria vita in un contesto esistenziale tragico. A dir poco! Spiritualmente mortale, a voler essere precisi nel determinarlo. Hanno definitivamente barattato l’Eternità con l’effimera Comodità Terrena?
Non è inopportuno specificare qui che l’Intuizione, alla quale lo stesso Popper ha riconosciuto il valore di strumento di conoscenza (ma di tale riconoscimento se ne trova traccia già in Cartesio), è il nostro unico tramite con il “linguaggio” della Natura e che dall’intuizione discende la Deduzione che ci permette di tradurre tale “linguaggio” e di giungere alla comprensione delle Regole Naturali.
Scrive René Descartes, detto Cartesio:
(3)“La ragione principale, per la quale oramai nella filosofia corrente (del suo tempo! In seguito è andata viepiù peggiorando progressivamente.) non si trova nulla di così evidente e di così certo, che non possa essere messo in discussione, è che, prima di tutto, gli studiosi, non contenti di conoscere cose perspicue e certe, hanno osato affermare anche cose oscure e ignote, cui giungevano solamente con congetture probabili; poi poco a poco essi stessi, prestando ad esse una fede totale, e mescolandole senza discernimento con cose vere ed evidenti, hanno finito per non poter concludere nulla, che non sembrasse dipendere da qualche proposizione del genere (origine delle logiche relative, che sembrano filare lisce su binari sicuri di ragionamenti inconfutabili, ognuno dei quali, però, ha preso avvio da un presupposto errato), e che di conseguenza non fosse incerto.
Ma per non incorrere nello stesso errore, vengono qui passati in rassegna tutti gli atti del nostro intelletto mediante i quali possiamo giungere alla conoscenza delle cose senza alcun timore di ingannarci: e ne vengono ammessi solamente due: cioè l’intuizione e la deduzione.
Per intuizione intendo non la mutevole attestazione dei sensi, o il giudizio fallace di un’immaginazione che fa collegamenti sbagliati; ma il pensiero così pronto e distinto di una mente pura e attenta, che su ciò che comprendiamo non rimanga proprio nessun dubbio; ovvero, il che è lo stesso, il pensiero non dubbio di una mente pura e attenta, che nasce dal solo lume della ragione (ma, forse, avremo modo di vedere assieme che la ragione non è l’unico lume che illumina la Verità. C’è una vocina… che, se non soppressa definitivamente dal baccano e dalla musica dell’uomo…), e, essendo più semplice, è più certo della stessa deduzione, la quale pure, tuttavia, non può essere fatta male dall’uomo.”
L’intuizione, dunque, offre all’uomo una possibilità conoscitiva di utilità (soprattutto spirituale) maggiore rispetto a quanto può essere offerto da qualsiasi disciplina escogitata dall’Uomo. Quante masturbazioni mentali hanno sciorinato i filosofi nell’arco dei secoli andati! Pazzesco! Hanno tentato di far comparire la Verità servendosi di sistemi escogitati dall’uomo stesso! Taluni filosofi hanno adoperato perfino la matematica per erigere qualche verità che s’è subito afflosciata. Tremila anni, come minimo, di filosofia e il mondo è talmente peggiorato da trovarsi nelle disperate condizioni attuali.
Quest'ultima osservazione mi fa ricordare un titolo apparso sul Corriere della Sera di qualche anno fa: "Cento anni di psicanalisi e il mondo è peggiorato". Sì, beh, ma... tremila anni!
Uno dei più recenti e potenti attacchi sferrati dal Male all’Intuizione è stato sostenuto dal “filosofare” del neopositivismo, in particolare dalla corrente di pensiero coccolata nel Circolo di Vienna, seriamente intenzionato ad escludere la metafisica (che, quando segue le regole delineate da Cartesio, e ancor meglio dalla Natura, si rivela il più sublime sistema di conoscenza), dall’ambito di tutto quanto è significativo e significante, avvalendosi del “Principio di verificazione”. In proposito, si è levata anche la voce di uno dei soliti maestri di casa nostra, un certo Emanuele Severino, che tanto ci aveva affascinato negli anni di Liceo con la filosofia antica e altrettanto ci aveva avvilito con quella moderna e ancor di più con la contemporanea. Costui ha avuto l’impudenza di asserire (4)“che i “massimi problemi”, che per secoli e secoli hanno travagliato l’umanità, non sono affatto dei problemi, così come non è un problema domandarsi se Cesare sia o no un numero primo, o se “Ra prillico” esista o no. (Un po’ delle solite “facezie” per distogliere in parte l’attenzione dalle corbellerie che intende esporre di seguito). I grandi problemi sull’esistenza di Dio, sull’immortalità dell’anima, sull’esistenza di imperativi morali (butta tutto nel calderone, senza preoccuparsi di fare, almeno, le dovute distinzioni) sono soltanto ombre, dovute in ultima analisi (QUALE?!!!) a quella malattia del linguaggio che è la metafisica. (Affermazione pazzesca, finanche considerandola semplicemente un’ipotesi con tesi non verificabile. La metafisica c’era anche quando il linguaggio ancora non c’era. Come?! A suon di grugniti, c’era! Sì, grugniti o quant’altro il termine da me usato possa suggerire, ma c’era ancor prima del linguaggio. Ciò che in principio non c’era, era il gran cumulo di masturbazioni filosofiche sul pensiero metafisico.) I veri problemi sono quelli che riguardano la vita dell’uomo nel mondo dell’esperienza (primo fra tutti, e verosimilmente l’unico decisamente importante, poiché all’esistenza terrena è stato posto un termine, è proprio quello scartato da Severino, il problema metafisico per eccellenza: l’immortalità dello spirito, piuttosto che “dell’anima”. Sempre che si sia in grado di percepire l'aspetto più sublime dell'esperienza, non limitandosi a prenderne in considerazione unicamente l'aspetto materiale. Tutti gli altri, ai quali Severino dà importanza, sono falsi problemi, posti in essere per riempire un’esistenza vuota, priva di spiritualità. Falsi problemi che, come abbiamo potuto constatare con sommo dispiacere, hanno originato veri problemi di sopravvivenza.), e cioè quei problemi che possono – oggi o domani non importa – essere risolti dalle scienze della natura.”
Cioè: mai! Dilatarli, peggiorarli, questo potrà fare la scienza. E originarne una miriade di nuovi! Basta guardarsi intorno per capire che così è stato, così è e così sarà. Verso quale parte vuole che io indirizzi il mio sguardo? Devo affidarmi al caso? Non importa in che direzione si guarda, vero? Lo credo anch’io, la schifezza è dappertutto. Comunque, oramai che mi sono girato per fare una verifica a sorteggio, Le comunico che là, in posti neanche tanto nascosti, vedo vite, giovanissime e perfettamente sane, e ne vedo tante, spezzate per prolungare di qualche anno la permanenza mondana di altrettanti zombie facoltosi. A cosa potranno servire due, tre anni di vita vegetativa in più?! A rimediare gli errori di una vita intera, di certo no. E aver posticipato di un po’ il fatale compimento, potrà mai giustificare la soppressione di una giovane vita? Distolgo gli occhi, perché ho appena visto quel ch’è rimasto del corpicino d’un bimbo di tre anni, fatto riesumare dal sospetto dei genitori sulle vere cause della sua morte improvvisa. Quel corpicino non ha più nessuno dei suoi organi, pur non avendo mai dato, i suoi genitori, un qualche consenso all’espianto. Basta! Non voglio più guardare, ma neanche voglio dimenticare.
Carissimo, prima l’ha avvertita, in Severino, l’eco del tono esaltato proprio della voce di Bacone?! Comprende perché oggi ci troviamo in un frangente disperato? A forza di confidare sempre nelle risoluzioni dei problemi offerte dalla scienza e mai nelle intuizioni e deduzioni agevolate dallo spirito.
Tutto sommato, preferisco Socrate:
“Oh!, quanti motivi di timore ci sono,
a meno d’esser stolti,
quando non si sa
e non si ha modo di dimostrare
che l’anima è immortale!”
Lo stesso Aristotele, che in fin dei conti non è stato un granché come pensatore, ci ha lasciato in eredità qualche concetto pregevole sulla principale esigenza dell’uomo, tra i quali uno è questo: (5)“Non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, perché è mortale, di limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali, e fare di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi.”
E’ vero che di recente la scienza ha incominciato ad ammettere la propria impotenza (non so con quanta sincerità di ravvedimento, visto che continua a mettere le sue mani imbrattate in posti in cui non dovrebbe neanche sognarsi di metterle) ed è vero che Severino ha scritto, quanto da me citato, nel lontano 1983, ma da queste due premesse si può trarre unicamente questo sillogismo: questi, purtroppo, sono stati i maestri (gli scienziati di tutti le discipline e Severino a mo’ di simbolo onnicomprensivo degli addetti all’istruzione delle masse) che ci sono stati affibbiati tutt’insieme e al disastroso stato odierno siamo pervenuti, speriamo che le future generazioni ne abbiano di migliori. E, per venir fuori dal pantano in cui l’Umanità sta affogando, dovranno essere migliori assai! Una speranza fondata c’è: il numero di coloro i quali si sono definitivamente stancati di vedere che la menzogna viene costantemente esaltata, sia in campo fisico sia in quello metafisico, sta crescendo sensibilmente di giorno in giorno e quindi è pensabile che aumenti anche il numero dei maestri intenzionati ad istruire le masse in nome della Verità.
Comunque, l’assalto sferrato all’Intuizione metafisica da parte del neopositivismo si è concluso evidenziando “che il positivismo logico non può eliminare la metafisica senza autodistruggersi”. Popper specifica meglio l’insuccesso con queste precisazioni, ottimamente sintetizzate da Giorgio Brianese:
(6)“a) che l’ambito del senso trascende (e, perciò, non è confinabile entro) l’ambito della scientificità;
b) che, proprio per questo, diventa necessario stabilire un criterio che ci consenta di distinguere, all’interno dell’ambito del senso, le proposizioni che appartengono alla scienza da quelle che non le appartengono: la demarcazione tra scienza e non-scienza “dev’essere tracciata attraverso il cuore stesso della regione del senso – con teorie dotate di significato da ambo i lati della linea divisoria – piuttosto che fra regione del senso e quella del non-senso.”
E concludo questa parte del discorso, come al solito carente, con altre parole di Popper che sono di nostro interesse:
“Le enunciazioni metafisiche possono anche rivestire autentico significato e interesse.”
“Se è vero – argomenta Brianese a compendio del pensiero di Popper, che comunque viene riportato a tratti in maniera diretta, integrale – che il criterio di demarcazione popperiano “seleziona quelle teorie che possono essere discusse seriamente in termini empirici”, esso suggerisce del pari allo scienziato “l’esistenza di altre teorie che non possono venire discusse in questo modo; e attira la sua attenzione sul fatto che queste altre teorie, dal momento che non sono controllabili, devono essere esaminate con metodi diversi dal controllo. Se egli non trova altro modo di esaminarle criticamente, può considerarsi altrettanto giustificato nell’abbandonarle (mica tanto!). Così facendo, tuttavia, correrà sempre un rischio; è infatti possibile imparare a volte qualcosa di molto interessante anche da una teoria pseudo-scientifica o metafisica.”
Detto quanto può bastare come indizio di base per future disamine, proseguo nell’esame della sua e-mail.
La ringrazio per quel “interessantissimo” attribuito al tema centrale del blog, e trovo che si accordi benissimo con l’osservazione che Lei esprime due righe dopo: “ho l'impressione che avremo da discutere a lungo”. E Lei già principia la discussione dicendo in sostanza: “perché prendersela col povero Bacone che, in fin dei conti, ha ammesso che "la natura, per essere comandata, esige innanzitutto di essere UBBIDITA"("ubbidire a ics" per "comandare a ipsilon" è un abbinamento di azioni sensato; "ubbidire a ics" per "comandare a ics" è un nonsenso, che tradisce l'intenzione di confondere, di mentire spudoratamente. Infatti, “ics” potrebbe dire: “Non comandarmi nulla.” e, quindi, ubbidendo a “ics”, non gli si potrebbe più comandare alcunché.).” Bacone ha anche detto che “la retta ragione e la sana religione governeranno l’uso” della potenza dell’uomo sulla Natura, ma non è difficile capire che si tratta di “indorature” della pillola disgustosa (numerosissimi erano all’epoca gli scettici sulla bontà della nuova scienza e oggi noi vediamo molto bene quanta ragione essi avessero) che si vuol far digerire, che in sostanza è questa, senza possibilità di travisamenti o contestazioni: (7)“La natura dev’essere costretta all’opera e plasmata quasi sull’incudine. La natura dev’essere costretta a servire gli affari e gl’interessi dell’uomo.”
Questa è la sostanza negativa di cui Bacone è simbolo, mentre certe locuzioni di contorno non sono altro che lo squallido tentativo di far apparire l’impresa scientifica come “la conquista più innocente e meritoria delle opere della natura”. Locuzioni di contorno, che non possono far altro che confermare la presenza in Bacone di una profonda malafede (con finalità di vantaggio personale) o di una raggiante ottusità.
Ecco perché il "povero" Bacone è preso a simbolo paterno di tutto ciò che, più di ogni altro fattore, ha contribuito al miserevole degrado del nostro mondo e, di conseguenza, della nostra esistenza. Tuttavia, è ovvio che tutti i consimili, che sono venuti dopo di lui, debbano essere considerati assai peggiori di lui, altrimenti oggi noi non ci troveremmo a vivere in pessima compagnia di ordigni atomici, di scorie radioattive, di micidiali armi chimiche, dell’AIDS, tanto per elencare solo qualche orrore tra i molteplici.
Poi Lei si rifà ad un’altra proposizione di Bacone, che ha un respiro più ampio e di conseguenza più affannoso, e io ne riporto qui la sintesi concettuale fatta da Lei, intercalandovi, in forma breve, qualche critica.
“Qualsiasi limite naturale può diventare un trampolino (per un lancio da dove e verso dove?! Dalla schifezza del XVII° secolo alla schifezza cresciuta del XXI°?! E poi: se il limite è naturale, esso è qualcosa di incommensurabilmente più grande dell’uomo e quindi insuperabile. Se l’arrogante presunzione dell’uomo tenta di superarlo.. beh, l’ho già detto: oggi basta guardarci d’attorno, per comprendere che disastro stia succedendo.) se e soltanto SE una mente umana lo assume, ne prende atto senza compromessi, senza inventarsi realtà parallele e verità alternative, e su queste basi esercita su di esso tutto l'immenso potere (quanto “immenso”?! Più grande del potere della Natura che si ha l’ardire di voler dominare pur trovandosi nelle condizioni di essere soltanto una piccola parte di Essa?!) della mente e della volontà umane?
E altri spunti per fervide discussioni future sono stati seminati. Ne conviene, il mio preziosissimo interlocutore?
Poi, proseguendo nella lettura della sua e-mail, mi si rizzano i capelli e tutti i peli del corpo. Ah, se Lei mi potesse vedere! Sembro un istrice che scrive servendosi di un computer! E sì, perché leggo che “la scienza e la tecnologia non sono altro che i nomi “storici” del fatto che la mente dell’individuo ha un potere che va oltre quello del suo corpo…” Caspita! Non scordiamoci, però, che basta la presenza di un minimo squilibrio chimico nel corpo per far “saltare” la mente. Poiché, la mente, è il corpo, è la materia. Tralasciando di soffermarci sulla sua fragilità dipendente dall’emotività e sulla facilità con cui può essere pervertita o suggestionata, non dimentichiamo il nugolo di patologie che riescono ad affliggere la mente mandandola fuori uso (patologie, talvolta poco o per niente evidenti), mentre il resto del corpo, pur soffrendone per riflesso direttissimo (perché la mente fa parte del corpo, non è una “cosa” a se stante), riesce in qualche modo a tirare avanti nell’espletamento delle proprie funzioni. Inoltre, per uno svolgimento ottimale dell’esistenza, e quindi per le azioni dell’uomo, e solamente per le azioni, i limiti della mente dovrebbero coincidere con i limiti del corpo. (Ma… capisco che questo non è un tema da affrontare con un numero limitato di parole. Contiene troppi concetti che, se non ben chiariti, potrebbero essere fonte di svariati equivoci. Comunque… tanto per cominciare… magari confidando nelle menti più perspicaci… può andar bene così.) E, se per il momento può andar bene così, mi azzardo a proporre un esempio. Con la mente posso pensare di compiere con le mie gambe un balzo da Treviso a Londra, ma, se la mente fosse fermamente convinta che questo balzo fosse fattibile, realizzabile in un futuro prossimo o remoto, e che fosse esistenzialmente importante e necessario, questa stessa convinzione attesterebbe che la mente è guasta, che è squilibrata nella particolarità della propria funzione, che confonde l’astrazione, in cui può trovarsi a suo agio soltanto lo spirito, con la realtà della materia. E sarebbe un fatto prevedibile in modo certo che tutti i vani tentativi di realizzare il balzo in maniera artificiale comporterebbero, per forza di cose innaturali (le naturali si mantengono nei limiti del corpo), degli sconvolgimenti disastrosi nel Sistema delle Cose. Un pensiero, non viziato, rivolto a tutto il complesso dei trasporti umani, basta e avanza per comprendere molto di una certa questione “asfissiante” e abbastanza della questione esistenziale umana.
Mi riallaccio al suo scritto.
“…la mente dell’individuo ha un potere che va oltre quello del suo corpo e ben oltre quello di qualsiasi collettività scervellata…”
Bah, a me sembra che proprio la mente, quand’è squilibrata, renda scervellata una collettività, che preferisco chiamare “aggregazione”.
“…e se appena appena si mette a pensare (l’individuo), la sua stessa umanità lo costringe a trasformare la natura (il figlio che per sua stessa natura è costretto a trasformare la madre?! Se ha la mente guasta, sì.), come minimo perché essa lo ha dotato di un corpo sempre insufficiente a quello che la sua mente può concepire.”
Eccolo qua, il solito ritornello: la Natura è una perfida matrigna (quando non addirittura una nemica dichiarata). Bisogna sconvolgerla, annientarla! Evviva Bacone e i suoi proseliti!
No! La Natura ci ha attrezzati più che sufficientemente per perseguire le Finalità Esistenziali, per il conseguimento delle quali l’uomo E’ nell’Esperienza dello Spirito nella Materia. E’ per il megalomane delirio di onnipotenza (sorto in taluni dalla silenziosa disperazione di riconoscersi affatto onnipotenti) della mente guasta e sviata, che il corpo dell’uomo non è adeguatamente attrezzato.
Frammenti sparsi di Verità anche ’sta volta, anche in questo scritto. Ma in questa occasione lo spezzettamento è più che giustificato: trattasi del primo contatto con una nuova conoscenza, con una mente che i dati a mia disposizione mi fanno ritenere idealmente pura e, per me, preziosa.
L’approccio alla questione “down”, da Lei formulato, denota un alto grado di umanità. Purtroppo, lo scenario negativo, inumano, che Lei dimostra di aborrire con sensibile disgusto (il suo aaaaghhh!!! è esplicito.), è proprio quello in cui continuano a muoversi con moto inane le Associazioni specifiche. Oltre ad essere delle vere e proprie “fucine” per la trasformazione di esseri umani “unici” in scadenti imitazioni dei “normodotati”, sembra che la loro peculiarità sia quella di essere “luoghi di rimozione”.
«Come mai non fate nulla per migliorare decisamente lo stato esistenziale dei vostri figli down?»
«Come, no?! Io mi sono “perfino” iscritto a una associazione.» «E io ne ho addirittura fondata una.»
E così, sia la problematica che il latente senso di colpa per la propria inefficienza, vengono bellamente rimossi e la coscienza tacitata. E intanto gli anni passano e vengono trascorsi dai down nella sofferenza cagionata da un’esistenza relegata in un ambito troppo angusto, in cui abbondano le restrizioni più innaturali. E, mentre gli anni infelici dei down scorrono via spediti (“velocità” che non risulta confortante, se si pensa che i down sono oltremodo impediti nel perseguire le Finalità Esistenziali secondo se stessi e che, quindi, la loro esistenza viene vanificata in toto) le Associazioni continuano imperterrite ad inoltrarsi con flemma incomprensibile per quella strada che, come Lei ha specificato con acutezza non comune, “rischia (un rischio che già da un buon lasso di tempo è triste realtà) di creare, per esempio proprio per gli uomini Down, "nicchie di realtà" alternative, relativizzate, con franchigie, con criteri di valutazione "particolari". Per poi esercitare tanto, tanto "amore e rispetto" - ma di una varietà "speciale".”
E, proprio qualche “nicchia di realtà alternativa” e qualche oncia in più di “rispetto speciale”, è tutto quello che le Associazioni, ligie ligie alle regole imposte dai “normodotati” con gran sollievo del Sistema, riescono ad ottenere di tanto in tanto. “Conquiste”, che poco o niente contribuiscono a lenire la melanconica sofferenza, intima e muta, delle persone down. Costoro, come Lei dice, continuano, costretti, a vivere una “vita di seconda mano”.
In occasione della pubblicazione sul settimanale Gente dell’ultimo articolo di Fabio (riguardante l’aggressione perpetrata in un’aula scolastica a danno di un “handicappato”) io mi sono risolto a fare un tentativo volto a convogliare la volontà delle famiglie in un programma per un progetto (lo specificherò per bene nell’ultima parte di “Il desiderio di un padre”, perché, in effetti, dovrebbe essere un desiderio comune a tutti i genitori di creature down). Un progetto che avrebbe potuto rivelarsi una soluzione semplice, ma comunque epocale, delle problematiche esistenziali dei down e ho inviato una lunga lettera ai presidenti di tutte le Associazioni affiliate alla Coordown. Gliene riporto uno stralcio affinché Lei possa farsi un’idea di un certo aspetto della faccenda, cioè della potenzialità latente. Il che potrebbe anche farle balzare alla mente qualche idea brillante.
≈E’ mai possibile che minoranze esigue riescano a far sentire la loro presenza, fino ad influire sulle decisioni prese dal governo, e un numero molto maggiore di persone, unite dal medesimo intento: il bene delle proprie creature, non ci riesca?
Facciamo qui, adesso, un rapido calcolo, anche per dare una consistenza numerica alla proposta che ho avanzato.
In Italia, le famiglie in cui è presente una persona down sono all’incirca 60.000. La statistica c’informa che la media dei membri appartenenti a un nucleo famigliare, considerati anche i parenti più stretti, è in numero di 5. Moltiplichiamo 60.000 per 5. Poi moltiplichiamo il risultato per il numero di parenti di grado diverso, che ogni famiglia ha in media: 7, ed infine moltiplichiamo il nuovo risultato per un numero ics di amici solidali. Caspita! Altro che massa di scarso impatto politico e sociale, salta fuori dal calcolo! Ma allora… cosa manca a che essa si faccia sentire decisamente?! Forse l’organizzazione? Cioè l’incapacità di fondere varie idee in un unico progetto ben finalizzato, o, piuttosto, manca la volontà dei singoli nuclei famigliari d’impegnarsi attivamente affinché presenza e potenzialità di questa massa ingente vengano alla luce, dimostrando la loro risoluta intenzione di essere attive? ≈
Gettato il sasso nello stagno immoto, le onde non hanno fatto in tempo a scemare, che i flebili interessamenti accesisi per un attimo erano già bel che cenere fredda. Non si vedeva più nemmeno una traccia di fumo, di quello che sarebbe dovuto essere un incendio epocale. Mi sono giunte parecchie e-mail, che, tra l’altro, davano prova di essere state inviate da persone piacevolissime, ma in quanto a una precisa volontà d’azione… ogni abbozzo s’è immediatamente ricomposto nel silenzio accidioso di ogni singolo e particolare interesse locale.
Devo ammetterlo, psicologhe e psicologi amici avevano preventivamente cercato di dissuadermi dalla mia intenzione di coinvolgere le Associazioni in un ampio e volitivo progetto unico: «Te ne verrà solo delusione e fors’anche qualche travaso di bile, che, civilmente, dovrai curarti da solo.»
Oh, beh! Che qualcuno si preoccupi di non causare travasi di bile in qualcun altro è un’utopia che appartiene alla visione di un mondo che non esiste. Che non è mai esistito? Può essere, ma come mai io sento una vocina che insiste nel dirmi che in un tempo lontanissimo… nel quale i termini “civiltà” e “civile” non erano ancora stati messi in circolazione come moneta inflazionata…
Bah. «Devi renderti conto…», avevano continuato ad istruirmi preventivamente i miei amici, «...che chiunque occupi un posto di qualche rilievo in una Associazione, lo occupa con la mente rivolta principalmente all’interesse e al prestigio personali. Quella, che dovrebbe configurarsi come una missione spassionata, per deformazione professionale diventa un’occupazione, un impiego, un ruolo rappresentativo, con tutte le ripercussioni e gli strascichi del caso. La sorte del proprio figlio passa in second’ordine, senza che il genitore, impegnato in altre faccende, neanche se ne accorga. La si sistema “in qualche modo”, quel tanto che basta a tacitare la coscienza, ad autoconvincersi che si sta agendo per il meglio, senza voler vagliare a fondo le vere e tante esigenze dell'infelice creatura che si è fatta venire in questo mondo. Esigenze, talvolta difficili da rilevare, poiché il figlio è stato educato a imitazione dei "normodotati" e quindi le sue vere peculiarità di creatura speciale si sono notevolmente appannate negli anni. E, se manco vengono prese in seria considerazione le esigenze dei figli propri, figuriamoci quanto possano preoccupare le sorti e le esigenze dei figli degli altri! Non tutti sono come te. Forse nessuno. Quanti pensi siano quelli che avrebbero rinunciato a un “paradiso terrestre” e all’abbondanza economica per seguire scrupolosamente l’evoluzione del proprio figliolo in difficoltà? Che abbandonano alla nascita la loro sventurata creatura in un ospedale , ne trovi! Credi che la sensibilità naturale sia merce comune per il sol fatto che tu ne hai e la manifesti con naturalezza? Chi incolla la propria esistenza ad un impiego finisce, senza eccezioni, per ragionare sempre più per logiche relative, o addirittura addomesticate, ed è la fine di ogni buona intenzione e prospettiva. Sono cose che succedono dappertutto, ma, che accadano nelle ONLUS, prude un po’ di più. Prude un po’ di più che le entrate finanziarie, dovute alla misericordia altrui, finiscano con l’eclissarsi dietro “oculati conti-spese” e che il poco non fagocitato venga sprecato in pubblicità o in altro di scarsa validità assistenziale. Si è mai vista una Associazione sollevare un proprio iscritto da una qualsiasi sua difficoltà economica? Inoltre, ci sono i “qui decido io”, “qui comando io”, “qui si fa a modo mio”, non pronunciati ma applicati, che spesso si rivelano uno sbarramento incrollabile, che impedisce l’adesione a qualsiasi iniziativa che venga proposta da chiunque si trovi al di fuori dell’Associazione. Indipendentemente dalla bontà dell’iniziativa stessa. Non meraviglia che in un contesto di questo genere venga seguita la condotta più “comoda”, quella che meglio si confà ad esso senza un grande spreco di energie: seguire, riportare ed enfatizzare i ripetitivi discorsi “scientifici”, che infondono una parvenza di autorevolezza costituita negli sprovveduti, e far intravvedere la probabilità di qualche soluzione “scientifica” al problema, che nel caso specifico dei down, è un’assurdità, questa, sì, scientificamente dimostrata; moltiplicare convegni, congressi, seminari, forum e quant’altro permette di propinare parole in sostituzione delle azioni, nei quali il soggetto down appare esclusivamente in qualità di dato “statistico/sociologico”, come ha giustamente rilevato il tuo intelligente interlocutore nella sua recente e-mail; istituire osservatori scolastici e lavorativi che lasciano il tempo che trovano, in quanto anacronistici e fondati su una concezione dei soggetti down del tutto errata e su un’idea altrettanto errata di integrazione; attendere l’elemosina dello Stato, sia legislativa sia finanziaria, che, quando si decide a dare, lo fa sapendo già come togliere di più. Tanto… hai sentito, no, che convinzione è stata espressa da quella coppia di parlamentari – il gatto e la volpe della politica italiana – venuta a Treviso per pubblicizzare i propri interessi? “Il problema legato alla sindrome di Down verrà risolto dall’aborto.”
E si potrebbe prolungare per ore la lista delle osservazioni sulla condotta tenuta dalle Associazioni, volendo analizzare per bene il fenomeno, fino ad arrivare a parlare dei tanti siti Internet aperti, per dare dei consigli ovvi o triti o che è conveniente non seguire, e per la maggior parte abbandonati, poiché non si trova niente di nuovo da dire ( tra i quali i più aggiornati sono fermi al 2005). Talvolta, nei siti che tirano avanti alla meno peggio, appaiono degli annunci che comunicano l’apertura qua e là di qualche corso “per migliorare l’autonomia” delle persone down, immancabilmente impostando il “miglioramento” a imitazione dei “normodotati”. Corsi che, oltre al fatto secondario che le “distanze” non li rendono accessibili a tutti, sono una perdita di tempo, se relazionati all’esistenza dei down, che scorre senza essere vissuta in maniera adeguata. E poi: si è mai visto un “corso” risolvere, o almeno “migliorare” il problema principale, quello dell’autonomia sessuale dei down, in un mondo in cui la sessualità è accentrata sui gusti e le perversioni dei “normodotati”? Altre volte appaiono annunci di questo tipo, che avrebbero la pretesa di essere confortanti e che invece attestano quanto superficiale sia l’approccio alla questione complessiva della sindrome di Down: “In Italia nascono circa 1200 individui down all’anno. Grazie ai progressi medici (non, forse, alla maggior cura prestata ai down dalle loro famiglie?) la speranza di vita di una persona con sindrome di Down si è attestata oggi a 62 anni e gli esperti sono convinti che in un prossimo futuro raggiungerà quella della popolazione generale.” Ma... che razza di vita stanno allungando?! Il racconto delle privazioni?! E brava la scienza! Ha allungato la non-vita ai down, ma anche ai “normodotati” ha fatto un regalo molto consimile: ha accresciuto la loro longevità accorciando la giovinezza e allungando la vecchiaia. Lascia stare! Fai quel che puoi da solo o con i pochi che capiscono appieno le tue idee perché ti conoscono bene.»
E già, forse avrei potuto anche ascoltare i consigli dei miei amici, se non avessi chiaro in mente che da solo, o con pochi, oggi non si riesce ad andare oltre il colloquio (il cosiddetto “dialogo” tanto auspicato dal Potere) e così la concretezza dell’opera non la si raggiunge mai, mentre qui c’è mio figlio, e molti altri come lui, in attesa di poter credere che la vita abbia un senso radioso. Perciò non ho accettato il parere dei miei amici e ho messo in essere il tentativo pianificato dal mio cuore. Del resto, a mio avviso, Dietrich Bonhoeffer non sbaglia quando dice che “l’essenza dell’ottimismo sano (che nulla ha a che fare con l’idiozia dell’ottimismo insensato, dell’essere ottimisti “ad ogni costo”) non consiste unicamente nel guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale: la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gl’insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari e che, il futuro, lo rivendica a sé.” (Bonhoeffer finì impiccato nel 1944, per aver partecipato all’attentato contro Hitler. Non sono solamente parole, le sue. Ma quanti genitori sarebbero realmente disposti a farsi “impiccare” per il bene dei propri figli? Questo è il problema la cui entità va quantificata!)
Insomma: un uomo, degno di essere definito uomo, agisce con tutte le sue forze affinché il concetto espresso dalle seguenti parole di Trasimaco cessi di appartenere all’essenza della realtà sociale universale: “Il giusto altro non è che l’utile del più forte.”
Quando avverrà che Bush e Blair saranno puniti in maniera esemplare? Si può veramente continuare a punire qualcun altro, qualsiasi altro, senza aver prima punito severamente costoro?
Un tentativo, il mio, esauritosi nel silenzio, ma non mi ritrovo pentito di aver provato a realizzare un’idea fantastica che avrebbe rassicurato ogni down sul valore della propria esistenza. Non lo sono, perché, almeno, ho avuto comunque modo di entrare in contatto con alcune persone eccezionali e ho capito, se ancora avessi avuto bisogno di capire questo, che non si può mai fare di tutta l’erba un fascio. Il che mi aiuta a tener viva una flebile speranza, non tanto perché “la speranza è l’ultima a morire”, quanto perché, guardando mio figlio, non posso permettermi di lasciarla morire. Lui è nato ventun anni fa, ma è da ventun anni fa che non sta vivendo. Ed è questo il guaio grande per il quale, pur essendomi imbattuto in alcune persone veramente eccezionali, non vedo soluzioni all’orizzonte, mentre quella che cullo in me non può essere messa in atto solo dall’impegno di “alcuni”.
D’altra parte, benché io non sia pentito di aver tentato, neanche posso dire che le convinzioni dei miei amici, ai quali i miei tanti travagli non sono sconosciuti, siano sbagliate, malgrado abbiano commesso l’errore di generalizzare gli aspetti negativi della questione Associazioni. Un errore comprensibile, del resto, dato che gli effetti negativi di una faccenda improntata male in origine, nonostante che alcune Associazioni cerchino volenterosamente di fare qualcosa, sono in realtà proprio generalizzati. Perfino le cose migliori che alcuni gruppi riescono a realizzare, come le strutture residenziali per… per quelli che si continua a definire “disabili” mentre sono semplicemente “down”, non riescono a fornire niente di meglio di una tristissima “vita di seconda mano” (se non di terza o anche quarta), proprio come Lei ha sostenuto fondatamente. Un’esistenza prestabilita nei particolari e indirizzata senza possibilità di diversioni, ad opera della volontà di qualcuno diverso da chi la deve, e la dovrà, vivere.
I miei amici devono aver pensato che all’interno delle Associazioni sia avvenuta una metamorfosi sul tipo di quella delineata in poesia da Bertolt Brecht:
“Quello che in te era altura
lo hanno spianato
e la tua valle
l’hanno interrata.
Sopra di te passa
una strada comoda.”
Un’autostrada, oggi, ove transitano soltanto auto blu, dalle quali, di tanto in tanto, viene gettato fuori qualche volantino di buon auspicio remoto.
C’è una frase idiomatica, non ricordo più dove io l’abbia letta, che puntualizza con drammatica precisione l’errore di fondo insito nella questione assistenziale dei “disabili”. Eccola: “Per un disabile, una famiglia sola non basta.”. Curioso, freudiano, che questa locuzione, così com’è stata scritta (probabilmente con la stessa leggerezza con cui viene affrontata la problematica in oggetto), si presti a una doppia interpretazione. Io, ricordando vagamente sotto quale immagine l’ho trovava scritta, capisco che il senso che le si voleva dare è questo: “per sostenere un disabile, occorre più di una famiglia”. Se il senso è questo, nel qual caso, però, l’autore avrebbe dovuto scrivere correttamente “Per un disabile, una sola famiglia non basta”, esso esprime appieno la consistenza dell’errore presente nel principio assistenziale che è stato messo in atto. Nessuno al mondo, neanche un disabile, necessita di aggiunte alla sua famiglia naturale. Una basta e, in taluni casi, avanza. Se, invece, si legge la frase come sta, si può anche pensare di trovarsi di fronte a questa verità che sembra proprio dal sen sfuggita: “Per un disabile, una famiglia lasciata sola, abbandonata, non basta.” Frase veritiera, che però, ha bisogno di un ben articolato distinguo. Non si tratta di solitudine, bensì di abbandono finanziario indecente, e io cercherò qui di esporre nella maniera più succinta possibile gli aspetti più vistosi di questa indecenza.
Un down, per esempio, se alla nascita si fosse venuto a trovare in un ambiente perfettamente naturale, non avrebbe avuto problema alcuno a trascorrere la sua esistenza in maniera soddisfacente e, soprattutto, sensata. In assenza di micidiali classificazioni scientifiche, nessuno gli avrebbe appioppato “etichette” squalificanti e insopportabili. Nel caso meno buono, sarebbe stato considerato una persona un po’ particolare, ma nulla di più.
Per quanto riguarda il deficit intellettivo (che non è deficit psichico) la questione non si sarebbe nemmeno proposta all’orizzonte. Preso Fabio come esempio, ho capito che l’handicap intellettivo diventa influente solo nell’ambito dell’apprendimento di quanto l’uomo ha inventato di propria iniziativa e dei metodi con cui propone l’acquisizione del sapere da lui stesso inventato. Nella sfera della comprensione naturale Fabio dimostra di non avere problemi di sorta e dovrà pur significare qualcosa il fatto grandioso che egli, fino ad oggi, non abbia mai commesso un solo errore comportamentale. Non può trattarsi di caso, di fatalità. Non è che io mi sia particolarmente impegnato ad inculcargli i canoni di una condotta ideale, tutto preso, come sono stato in realtà, ad apprendere, io da lui, un sacco di cose ed è quindi evidente che Fabio ha assimilato le regole di comportamento tramite l’osservazione attenta e costante di chi, in età molto più avanzata della sua, è riuscito con tanta fatica a far proprio un soddisfacente bagaglio di principi esistenziali che, ovviamente, si manifestano, e possono venir riscontrati, nel comportamento quotidiano. Insomma: è indubbio che Fabio abbia appreso moltissimo con lo stesso processo che permette all’anatroccolo d’imparare tutto l’essenziale per la propria esistenza osservando le azioni della propria madre. A conferma di ciò, posso dire che, ad un certo punto del suo iter scolastico, Fabio ha incominciato a fare progressi davvero notevoli allorquando delle insegnanti molto diligenti hanno approntato per lui un sistema di apprendimento visivo. Cosa di più naturale e valido dell’apprendere avvalendosi del senso affinato della vista? L’apprendimento vero, stabile, utile, non lo si deve tutto ai nostri cinque sensi? Alla vista, in primo luogo, e poi agli altri quattro? Se un Tizio mi volesse parlare della bellezza di un fiore che ha avuto modo di osservare, potrebbe descrivermi le fattezze del fiore per ore, per giorni e servendosi di una capacità espressiva eccelsa, ma io non riuscirei mai a farmi un’idea che corrispondesse con precisione al fiore che lui ha visto. L’udito, da solo, non mi sarebbe di grande aiuto. Se, invece, lui, il Tizio, mi accompagnasse a vedere il fiore che vuole farmi conoscere, ogni problema di comprensione e precisione svanirebbe. Nel caso in cui il Tizio continuasse a parlarmi del fiore senza mostrarmelo, nel mio sforzo di comprensione interverrebbero le qualità della mia mente ed esse potrebbero elaborarmi soltanto un dato approssimativo, quando non addirittura errato, da mettere in “archivio” . Accadesse, un domani, che io affiancassi a questo dato un altro ad esso correlato, verrei a trovarmi con una approssimazione allargata o, peggio, con un errore dilatato. E così via ad ogni ulteriore aggiunta e, non andando mai a vedere, continuando a basarmi su ciò che mi viene detto, finirei col trovarmi ad interpretare in maniera approssimativa o errata un ampio campo della conoscenza.
Non so se Lei, carissimo interlocutore, riuscirà ad intuire qualcosa d’interessante, di vitale, da quanto ho appena abbozzato d’impulso, in ogni caso Le comunico che mi sono inoltrato per un breve tratto in quella foresta artificiale oltre il limitare della quale la Verità Unica risplende con fulgore costante e imperituro.
Rimaniamo ancorati ancora per qualche riga all’argomento “cinque sensi” e ascoltiamo in merito la voce, molto semplice, di François-Marie Arouet, il cui pseudonimo è Voltaire.
“Chiunque voglia rendersi fedelmente conto di quanto è avvenuto nel proprio intelletto riconoscerà senza fatica che i suoi sensi gli hanno fornito tutte le sue idee.”
“Un uomo che nascesse privo dei cinque sensi sarebbe, qualora potesse vivere, privo di qualsiasi idea. Le nozioni metafisiche provengono anch’esse soltanto dai sensi; ed infatti come si potrebbe misurare un cerchio o un triangolo, se prima non si avesse visto o toccato un cerchio o un triangolo?”
“Non posseggo delle idee se non in quanto ho immagini nella testa.”
(Il pensiero vada agl’imbrogli combinati dalle religioni con l’ausilio delle immagini, i cui artefici avevano ben presente il valore effettivo del concetto qui espresso da Voltaire. Hanno dato un’immagine perfino a Ciò che non può avere immagine.)
“Ma alcuni filosofi, abusando della loro ragione, hanno preteso che gli uomini posseggano delle idee innate.”
(Nel momento in cui un individuo viene concepito – attenzione: nel momento del concepimento, non della nascita, – il suo spirito è tabula rasa. “Idee innate” non ne ha, né, ovviamente, può averne la materia all’inizio del proprio sviluppo. Lo spirito, ovvero l’energia creatrice, se così lo si vuol chiamare, è presente, ma ha in sé unicamente la regola direttiva volta a sviluppare l’individualità della materia, per l’esperienza nella quale esso E’. Questa precisazione diventa importate per altri discorsi, differenti da quello che stiamo facendo. Lo spirito c’è nel momento stesso del concepimento, con buona pace degli abortisti. Non si vede come possa essere plausibile il suo subentrare in un qualche momento successivo, a meno che non si voglia sostenere l’insostenibile e cioè che lo spirito è frutto dello sviluppo della materia. Menti meschine, pensieri meschini. Pensieri sostenuti da logiche relative, che finiscono con l’imbrigliare la mente, costringendola a “progredire” con presunzione sempre per la strada sbagliata.)
“Locke, - spiega Voltaire, suo estimatore – dopo aver mandato in rovina le idee innate, e dopo aver rinunciato alla vanità di credere che si pensi sempre, ha accettato che tutte le nostre idee derivino dai sensi, ha preso in esame le idee semplici e le idee complesse, ha seguito lo spirito umano in tutte le sue operazioni, mostrando quanto il linguaggio parlato dagli uomini sia imperfetto, e quale abuso di parole facciano ad ogni momento.”
Come potrebbe, Fabio, trovarsi a proprio agio nella comprensione di un “linguaggio imperfetto”, dovuto a quel fattore ansioso che troppo spesso fa parlare il “normodotato” prima che questi abbia avuto modo di riflettere su ciò che vuole dire? Fabio riflette, ha un “sacro” timore di dire sciocchezze, perché sa che su di lui verrebbe formulato un giudizio svilente, che di solito non viene espresso nei confronti di un qualsiasi “normodotato” che di sciocchezze ne abbia dette tante. Fabio riflette a lungo prima di parlare, così tanto a lungo che i “normodotati” non esitano a considerarlo puntualmente un suo difetto.
“Se c’è qualcosa di dimostrato al di fuori delle matematiche (c’è qualcosa d’interessante in questa affermazione di Voltaire, che si riallaccia al tema, troppo a lungo discusso dai filosofi, della validità dell’Intuizione e della Deduzione.), è che non vi sono idee innate nell’uomo.”
“E’ fuori dubbio che le nostre prime idee sono le nostre sensazioni.”
E qui mi piace puntualizzare un aspetto della personalità di Fabio: egli esprime, trasmette, allo stato puro le percezioni dei sensi e i moti del suo spirito. Non elabora le sue sensazioni, non le complica, né le adultera o le perverte con la mente e perciò comunica verità in maniera schietta. Fabio vive le proprie sensazioni (e il suo volto le esprime. Eccome!), ma non somma una sensazione ad un’altra per farne provare una terza, non reale, fasulla, alla propria mente e, di riflesso, a tutto il proprio corpo.
“Qual è il potere che possediamo, con i nostri cinque sensi? – si domanda Voltaire – Noi sentiamo sempre involontariamente, e non già perché lo vogliamo: ci è impossibile non avere la sensazione che la nostra natura ha stabilito, quando l’oggetto ci colpisce. Il sentire è in noi, ma non può dipendere da noi. (grandiosità del Progetto Supremo, che "obbliga" a vivere, ad "assaporare" l'Esistenza. "Assaporare"! Tema principe della questione Verità Esistenziale.)”
Indubbiamente, le cose stanno proprio così, tuttavia un distinguo va fatto. E’ vero che noi percepiamo involontariamente con i nostri cinque sensi. Succede con l’olfatto, il tatto, il gusto e, ovviamente, anche con la vista e l’udito, due sensi che al giorno d’oggi vengono “casualmente” bombardati oltre ogni misura tollerabile dall’organismo umano. E la cosa non è priva di conseguenze gravi. Notizie ed immagini investono l’individuo il quale, per sua stessa natura, non può esimersi dall’avere reazioni. Le reazioni accumulano energia in previsione dell’azione conseguente, secondo la regola funzionale dell’organismo umano, consistente nel fatto che ad ogni reazione deve seguire un’azione appropriata che sfoghi, che consumi, l’energia accumulata in previsione dell’azione stessa. Se per ignavia o per paura o per qual si voglia altro motivo la reazione non è seguita dall’azione, l’energia accumulata genera squilibrio che inevitabilmente diventa anche squilibrio psichico. Non c’è via di scampo. Qualcuno potrebbe credere di riuscire a non ricever danno rendendosi insensibile agli stimoli che gli provengono dall’esterno, evitando così l’insorgere di reazioni richiedenti azioni di sfogo. Ma si tratta di una strategia che non funziona. In breve tempo, l’individuo che l’adottasse, diventerebbe insensibile a tutto l’esistente che agisce e quindi disumanizzerebbe se stesso. Il che lo porrebbe in una condizione di certo non migliore rispetto a uno stato di squilibrio psicosomatico.
Ma veniamo più direttamente al distinguo che desideravo fare.
“Il sentire è in noi, ma non può dipendere da noi.” Vero. Tuttavia, nella percezione tramite i nostri cinque sensi può intervenire un fattore molto importante che dipende da noi: prestare la dovuta attenzione a ciò che si percepisce. I “normodotati”, in genere, non lo fanno, perché confidano nella ricostruzione postuma della sensazione ad opera del loro cervello e finiscono sempre con l’elaborare le proprie sensazioni in maniera artificiosa e mantenendo relazioni troppo astratte con le fonti degli stimoli. In particolare, questa disattenzione nell’immediato è associata spesso al senso dell’udito: il “normodotato” ode, ma molto raramente ascolta.
Diversamente, Fabio ascolta, nell’immediato e prestando tutta la sua attenzione, ogni sensazione originata dalla stimolazione dei suoi sensi e poco niente la rivisita col pensiero, preferendo, piuttosto, tradurla in atti. In virtù di questo suo modo di essere, egli si muove con naturalezza autentica in un ambiente artificiale e il contrasto, purtroppo, evidenzia una disarmonia che viene interpretata come conseguenza di un difetto da tutti coloro i quali, assuefatti all’artificiale, ritengono, più o meno consciamente, che il loro mondo sia il migliore dei mondi possibili e che, quindi, sia l’unico da prendere in considerazione come modello. Viceversa, in un ambiente naturale l’armonia, tra il comportamento di Fabio e il mondo, risulterebbe perfetta o, quantomeno, non soggetta a critiche.
Dunque: Fabio, preso a campione di tutti i down, in un mondo che avesse presentato un ambiente naturalmente integro non avrebbe incontrato difficoltà particolari nel condurre la propria esistenza in maniera soddisfacente.
Purtroppo, quand’egli ha fatto la sua involontaria comparsa su questo nostro mondo martoriato, lo ha trovato tutto occupato e già devastato in precedenza da esseri che manco si sono sognati di mantenere integro l’ambiente naturale per il bene delle generazioni a venire. Esseri che si sono meritati lo stomachevole soprannome di “Prenditutto”, nonostante che nulla al mondo possa essere legittimamente ritenuto di loro esclusivo possesso generazionale. Un’invasione scriteriata che, comunque, non può invalidare i diritti naturali, spettanti a chiunque, sanciti da una nascita connotata dall’assenza assoluta di volontarietà: diritto ad aria e acqua incontaminate e a un territorio con terreno sano da cui trarre sostentamento (L’argomento “territorio” va trattato in maniera esaustiva, poiché è una delle questioni fondamentali conglobate nella dimostrazione della Verità Esistenziale. Vedremo se in un prossimo futuro si presenterà l’occasione, e le circostanze favorevoli, per parlarne compiutamente).
Diritti naturali disonorati e violati, quantunque siano stati posti in essere da Onniscienza e Onnipotenza, e a questa violazione spropositata s’accompagna quotidianamente la maligna violenza che ha pervertito la Libertà individuale in libertà finanziaria universale, vantaggiosa unicamente per chi tiene in pugno le fila del Sistema sociale. Un Sistema in cui ancor oggi la frase “L’uomo nasce libero e ovunque è in catene”, scritta da Rousseau nel 1760, conserva tutto il suo valore di realtà stabile (aggravata dal concetto infernale di “tolleranza zero”, rivolto contro tutti e tutto, fuorché i reggitori del perverso Sistema globalizzato. Quanta tolleranza smodata e sguaiata sta venendo usata nei confronti di Bush! Si pensi un po’ a cosa sarebbe piombato addosso a un individuo qualunque che fosse stato ritenuto responsabile di un milionesimo degli efferati eccidi commissionati da Bush.) E, prima di dare faticoso compimento a “Il contratto sociale”, – pio tentativo, intrapreso da uno spirito fondamentalmente buono ed onesto, di trovare nell’Ordine Naturale delle Cose un assetto ragionevole per la struttura della società, quando, invece, avrebbe dovuto capire con una certa facilità che l’Ordine delle Cose è assolutamente refrattario alla costituzione di qualsiasi aggregazione estesa oltre i limiti della famiglia naturale – Rousseau aveva scritto dell’altro, idoneo a far supporre che egli stesse percorrendo la strada buona, piuttosto che quella, impercorribile per chiunque voglia rimanere integro, del “contratto sociale”. Le tre frasi icastiche, che sono in procinto di citare, sono sue:
“La società corrompe e perverte gli uomini… Più si radunano, più si corrompono.”
“La maggior parte dei nostri mali è opera nostra e noi li avremmo quasi tutti evitati conservando il modo di vivere semplice, uniforme e solitario che ci era prescritto dalla natura.”
“Finché un popolo è costretto ad obbedire ed obbedisce, fa bene; non appena può scuotere il giogo e lo scuote, fa ancor meglio: poiché, ricuperando la sua libertà con lo stesso diritto con cui gli è stata tolta (il “diritto” della violenza esercitata dalle divise, ce l’ha tolta), o è giusto che egli la riprenda, o non era nemmeno giusto che altri gliela togliesse (infatti!).”
In questo stato indecente di corruzione e d’ingiustizia fondamentali si è venuto a trovare Fabio quand’è nato e non ha potuto reperire da qualche parte un luogo in cui potersi rifugiare per vivere la sua esistenza mantenendosi ligio alle Regole Naturali. Un contesto ambientale, che rende parecchio difficoltoso l’adattamento finanche per i “normodotati”, ma che per Fabio, e per ogni altro down, rappresenta la forzatura più disumana che, con tutta la sua realtà artificiale, lo obbliga a rinunciare di fatto alla propria esistenza.
Delineato alla meno peggio il profilo dell’indecenza che soffoca l’anelito di vita (non solo nei down), desidero trarre una conclusione, per adesso frettolosa, ma che confido di riuscire ad esporre in maniera più dettagliata nell’ultima parte dello scritto “Il desiderio di un padre”, già in parte pubblicato in codesto blog.
Fabio è stato privato dei suoi diritti naturali e, in questo suo essere vittima del sopruso più odioso, egli è più o meno uguale a qualche miliardo di altri esseri umani. La differenza, invece, comincia ad essere marcata laddove s’intraprenda il confronto tra Fabio e i “normodotati” considerando la capacità di elaborazione della sofferenza e di adattamento artificioso allo stato di privazione dell’essenziale. Il “normodotato” è solito mettere in atto dei tatticismi, più o meno intelligenti, volti a mitigare l’insopportabilità dello stato di insoddisfazione in cui è venuto a trovarsi suo malgrado; Fabio subisce.
Il “normale”, nel migliore dei casi, s’inventa un astratto mondo interiore e in esso si ritira cercandovi protezione e lenimento; Fabio non può liberarsi dell’impulso a voler vivere secondo natura nella realtà del quotidiano.
Il “normale” riesce a sopperire all’assenza dell’essenziale distraendosi con il superfluo; Fabio non riuscirà mai, neanche parzialmente, a sostituire l’essenziale con il superfluo traendone soddisfazione compensatrice.
Il “normale” riesce in qualche modo, sebbene con grado assai differente da individuo a individuo, a comprendere (non ad approvare o ad accettare) il disastro del mondo in cui vive, poiché il disastro è stato provocato dai suoi simili, e fors’anche lui stesso vi ha contribuito; Fabio, questa devastazione non la comprende e finisce col porsi delle domande piuttosto ispide, alle quali né lui né altri possono fornire una risposta soddisfacente, e quindi gli originano un brutto vuoto che va dilatandosi con il progredire dell’età. Per lui, l’interrogativo sensato: “Chi ha compiuto questo scempio?” riceve una risposta insensata: “L’uomo”. “No! Non è possibile.”, decide lui e rimane irremovibile nella sua testarda convinzione. La sua fiducia nell’uomo è a prova di scalfittura.
Un “normodotato”, constatato che si trova costretto a vivere tra malfattori sempre pronti a sfruttarlo in qualsiasi modo, si fa scaltro e si mette a rivaleggiare con i malfattori, per vedere se è più lui a far fessi loro o più loro a far fesso lui e neanche s’accorge di essere diventato a sua volta un malfattore; Fabio non potrebbe mai diventare scaltro, non concepisce che si debba raggirare qualcuno per il proprio tornaconto. E nemmeno concepisce il “tornaconto”. Né si rende conto che il mondo brulica di malfattori. Secondo lui, le esigenze dell’uomo dovrebbero essere tutte soddisfatte dalla Natura. Senza pretendere più di quanto Essa può dare senza guastarsi. (Bisognava averci pensato fin dall’inizio, senza dare ascolto, senza farsi irretire, dai malfattori.) Come dargli torto? Dato che la nascita non è un atto della volontà individuale…
Fabio non potrà mai accettare il consiglio suggerito da questa locuzione di Brecht: “Davanti a questo mondo socialmente disonesto bisogna sfoderare tutta la propria cattiveria, anzi aumentarla.”, né potrebbe assimilare il concetto esistenziale espresso da questa poesia, sempre del medesimo autore:
“Voi che alla retta via ci esortate
e ad evitare il fango del peccato
prima di tutto fateci mangiare
e poi parlate pure a perdifiato.
Voi che alla vostra ciccia tenete e al nostro onore,
date ascolto, sappiatelo, è così:
solo saziato l’uomo può farsi migliore!
Pochi discorsi, il punto è tutto qui.
Della gran forma di pane, una fetta
anche ai reietti e ai poverelli spetta.
Ahimè, di cosa vive l’uomo? Solo assaltando
gli uomini, torturando, depredando, sbranando.
Nel mondo l’uomo è vivo solo a un patto:
se può scordar che a guisa d’uomo è fatto.
Signori, fate a meno d’imposture:
l’uomo vive d’infamie e di brutture!”
E del resto, se questa non fosse la realtà, certi figuri non potrebbero diventare personaggi di primo piano nella scena politica internazionale. Quel che stupisce, infatti, non è che certi malfattori noti, di cui si sa con quali nefandezze siano arrivati alla ricchezza (in una democrazia nessuno può diventare più ricco di altri onestamente. Il successo finanziario smodato non è mai una questione di “bravura”, bensì di un alto grado di disonestà e di una democrazia finta.), si presentino per ottenere le massime cariche istituzionali di un Paese. Stupisce molto che costoro trovino spesso il consenso della maggioranza degli elettori.
No, Fabio non potrebbe mai rassegnarsi a vivere “d’infamie e di brutture”!
La fiducia che Fabio ripone nell’uomo (normodotato o no che sia), però, non gli giova, in alcun modo, nel tentativo di soddisfare le sue esigenze naturali. Sempre più pressanti.
Prima fra tutte: l’esigenza sessuale.
«Che ne devo fare, di questo qua?», s’è azzardato a domandare Fabio. Una sola volta, a sua madre. Con me non s’azzarda, né m’azzardo io con lui. Confesso il mio handicap: con i miei figli non riesco proprio ad intavolare un qualche discorso sulla sessualità. Non soltanto io, in famiglia: neanche mia moglie ha saputo dargli una risposta valida. A detta delle psicologhe da me interpellate, ci sarebbe un’unica soluzione per questo problema pesantissimo e, del resto, nemmeno io riesco ad inquadrare un’alternativa che escluda il ricorso alla prostituzione. Ma anche in questo bacino artificiale ci sono degli scogli contro i quali s’infrange la fragile imbarcazione che vorrebbe far giungere fino a noi il suo misero carico di speranza. Tralasciando di parlare degli scogli minori, il maggiore è questo: Fabio non concepisce la sessualità disgiunta dall’affettività. Il suo concetto fondamentale è (stavo per scrivere “sarebbe”, tanto poca è la speranza che alberga nel mio cuore) quello di “famiglia naturale”, e di questo argomento parla spesso e volentieri. Sogna. Quindi, un’ipotetica prostituta dovrebbe recitare con lui la parte di “fidanzata”, per fargli sperimentare qualcosa di gratificante. Non occorre essere degli esperti del settore per quantificare, magari approssimativamente, il costo di una prestazione di questo tipo particolare.
Seconda esigenza: l’amicizia. Problema cruciale, per Fabio, in quanto bisogno mai soddisfatto. Il che la dice lunga sull’integrazione tanto sbandierata: tutta apparenza formale e niente sostanza. “E’ buono e bravo, ma è senza futuro sociale.” “Allacciare un’amicizia con lui è tempo sprecato. Un domani, non potrà esserti di nessun aiuto per la tua carriera.” Queste le voci dei cattolici più raffinati. Si figuri Lei le altre! E chi se ne frega della banalità temporale del “futuro sociale”! Tanto: l’Esistenza consiste di tutto ciò che non è “roba” sociale (discorso da svolgere in maniera dettagliata, altrimenti risulta di non facile comprensione per le menti degli integrati sociali. E’ consigliabile iniziare la comprensione valutando in primis che le Finalità Esistenziali esistono in funzione dell’individuo e della sua unicità particolare e non riguardano affatto le aggregazioni. Non si accede all’Universo Spirituale in virtù delle qualità di una massa di esseri umani né vi si accede per il fatto di essere stati apprezzati da una massa né vi si accede in massa.).
Ciò che ha importanza davvero essenziale consiste nel comprendere che sono molti, troppi, i comportamenti sociali indotti che sviliscono il già abbastanza compromesso Senso dell’Esistenza e che conducono innumerevoli persone alla morte spirituale. Anche rendere impossibile per un essere umano qualsiasi rapporto d’amicizia, dopo averlo privato di quella moltitudine naturale di animali che avrebbe potuto rimpiazzare egregiamente l’assenza dell’uomo, è un comportamento che di certo non esalta il Senso dell’Esistenza e fa capire che molti, troppi, neanche sanno cosa sia questo Senso per cui tutto il Creato E’.
Comunque, nel disastro ideologico-comportamentale in cui sono costretto ad agire, non mi resta altro da fare se non ricorrere, in qualità di “normodotato”, all’acquisita capacità di escogitare artifizi e volgerla a fin di bene per quel tanto che riuscirò, se voglio sperare che il cuore di mio figlio possa un giorno (Oh, cielo! Quando?! Allorché la sua esistenza sarà agli sgoccioli?! O… neanche allora?) assaporare una briciola di gioia per il fatto astruso di essere capitato in un mondo così tanto scombinato rispetto a quanto determinato con precisione assoluta dal concetto naturale di “nascita”.
Quindi, anche per risolvere la questione “amicizia” in maniera realistica, al di là di un’integrazione impossibile da ottenere tramite l’opera, misera e fredda, delle istituzioni sociali (opera volta più all’imposizione che alla persuasione), è necessario approntare uno stato di cose pseudonaturale in un ambiente artificiale. Bisogna che un accompagnatore (coetaneo di Fabio) reciti (io confido che la conoscenza riesca a mutare quest’azione in qualcosa di più spontaneo, poiché so che Fabio sa dare molto e sono del parere che questa del “dare molto”, del “donare molto”, sia una qualità comune a tutti i down.) saltuariamente, ma con perseveranza, la parte di “amico”. Va da sé comprendere che per l’accompagnatore si tratterebbe di un vero e proprio impiego, da retribuire adeguatamente. E, così, ci troviamo ancora una volta in presenza di un costo.
E il problema del costo si ripresenta ad ogni angolo del sociale, in quanto tutto è governato esclusivamente dalla libertà monetaria, e nel caso di Fabio (credo che oramai sia chiaro che, quando dico “Fabio”, intendo sempre riferirmi più in generale a tutti i down) il costo aumenta parecchio, poiché si tratta di mutare un po’ un radicato stato di cose per permettere a una folata di felicità di entrare nella sua vita. Vita, che i “normodotati” non si preoccupano di lasciare avvolta nell’infelicità più nera. La più nera, perché in essa è assente la capacità di elaborare il lutto. (Se la mia vita non è degna di essere vissuta, è perfettamente inutile che io elabori una rassegnazione all’indegnità. Lo facessi, avrei ridotto la mia esistenza a un’agonia che attende una morte definitiva, a suggello di quella già avvenuta, che annullerà perfino il senso della mia nascita. Non solo il senso, ma anche l’evento. - Avviso: “Concetto difficile”. - Chi è natura non conosce la rassegnazione all’artificiale, perché ha ben presenti in sé le Finalità Esistenziali.) Lutto, che si configura nella situazione stessa in cui Fabio si è venuto a trovare.
Tanto per fare un altro esempio della miriade di costi che si abbattono sulle spalle di chiunque “viva” immerso nel sociale e che, nel caso di Fabio, si presentano con una consistenza esasperata, prendo in esame per un attimo la questione “trasporti”.
I “normodotati” hanno improntato tutto il loro vivere “civile” sul movimento permesso dalle ruote, loro invenzione, e non su quello naturale delle loro gambe. A parte il disastro multiforme che lo sviluppo in sé di questo moto innaturale ha innescato (se veramente ci fosse nel “normodotato” un qualcosa che si potesse equiparare al vero significato e alla vera sostanza del termine “intelligenza”, il disastro in corso sarebbe stato previsto con facilità e volitivamente evitato. I non folli avrebbero costretto con ogni mezzo i folli a desistere. Anche perché, se ci fosse dell’intelligenza nell’uomo, i folli sarebbero stati una minoranza piuttosto esigua. Invece...), il fatto che anche la soddisfazione delle esigenze più naturali sia condizionata dall’uso di un mezzo, che permetta di muoversi in questo modo artificioso, determina una serie di problemi, che, per chi non è provvisto di un mezzo adeguato al moto imposto, diventa una sequenza di disagi e frustrazioni.
Il mezzo decisamente più usato per usufruire di codesto moto, coartato quantunque sia mortalmente asfissiante, è l’automobile e Fabio non potrà mai guidare un’automobile, neanche dimostrando di saperlo fare con destrezza superiore a quella di certi “normodotati” che pur circolano liberamente. Nemmeno un motorino, gli sarà permesso di usare. Dovrà rassegnarsi a rimanere a bocca aperta guardando le “imprese” dei suoi coetanei motorizzati. Pazienza? Uhm. I negozi “sotto casa” sono scomparsi e le riserve di cibo si trovano dislocate in supermercati che in genere distano chilometri da casa. I mezzi del trasporto pubblico non risolvono il problema, a meno che non si sia disposti a sprecare alcune ore della propria giornata. C’è il vincolo degli orari e, per giunta, raramente le fermate di autobus e corriere si trovano a distanze ragionevoli dai supermercati che s’intende frequentare per ragioni di “convenienza”. Inoltre, non è che “a mano” si possa trasportare un granché, di certo non quanto si può caricare in un’autovettura, e questa difficoltà moltiplica i viaggi “spreca tempo”, così equiparando i costi del trasporto pubblico a quelli per l’utilizzo, assai più sporadico, di un’automobile.
Ma c’è dell’altro, e molto, che riguarda l’auto e la sua funzione, resa indispensabile da un ambiente allestito non in funzione delle forze e delle capacità dell’individuo, bensì in funzione delle “macchine” fabbricate da una forza composita non accettata dalla Natura: quella espressa dalle aggregazioni d’individui. Tra il “molto d’altro” c’è, ad esempio, la possibilità o meno di raggiungere un luogo in cui la Natura conservi ancora un po’ della sua capacità di affascinare con effetti benefici. Questa è un’esigenza la cui soddisfazione va oggi considerata vitale. Almeno per spirito e mente, se non per tutto il corpo. Non potendo soddisfarla, il ricordo dell’incanto di un bosco, di un fiore o di un animale selvaticamente libero svanisce col tempo e negli occhi e nella mente rimane soltanto l’incantesimo maligno delle fredde opere dell’uomo. Lo spirito finirà col chiudersi in un silenzio assoluto, da museo delle cose morte, e non comunicherà mai più, la mente verrà completamente intossicata dall’assuefazione all’artificiale e… addio capacità d’individuare la Verità Naturale!
Purtroppo, i luoghi ove la Natura è ancora regina, magari malconcia ma comunque regina, si fanno sempre più rari e distanti e la loro ricerca è forzatamente vincolata al moto meccanico. Non son più tempi che consentano d’indossare le sagge vesti del viandante: l’antica ospitalità è scomparsa senza lasciare traccia di sé; si arrischia di essere insultati e malmenati durante un fermo per vagabondaggio; lungo il percorso risulterebbe “severamente vietato” piantare una tenda dove sarebbe vantaggioso piantarla. Si è, di fatto, obbligati a servirsi del moto artificiale, esempio perfetto dell’amalgama preferito dal progresso: “spesa”, “consumo” e “inquinamento”. Un moto, dunque, che è un costo e che, non volendo emarginare l’esistenza di Fabio in uno stato d’impossibilità e di immobilità perenne, diventa un costo di una certa consistenza. Infatti, per Fabio è necessario il supporto di un autista, ruolo che potrebbe essere assolto dalla stessa persona che funge da accompagnatore e “amico”.
Carissimo Signor X, se Lei avrà avuto la pazienza di seguire il filo del mio discorso, avrà già intuito dove esso voglia andare a parare e quindi si sarà già fatto un’idea sull’ampiezza della gamma dei problemi che devono essere risolti per non azzerare le opportunità di vita di Fabio, ovvero di chiunque si trovi nelle sue stesse condizioni. Problemi, che, invece di essere risolti con semplicità, come Natura vorrebbe, devono obbligatoriamente essere superati ricorrendo all’uso del denaro, entità a cui è stata conferita dal Male un’onnipotenza mondana che ha sottomesso l’Umanità intera e ha svalutato senso e valore di qualsiasi opera umana che con essa abbia una qualche connessione. Di codesto deprezzamento avremo modo, spero, di parlarne compiutamente in occasioni future, ma credo che, anche senza tante parole, debba apparire chiaro a chiunque che nei termini “comprare” e “acquistare” non c’è nulla che possa avere attinenza significativa con le naturali Finalità Esistenziali.
L’uso del denaro è stata una calamità a cui nessuno ha potuto sottrarsi. Il processo di sottomissione si è svolto in una miriade di modi subdoli, cinici, ma nella loro pessima sostanza tutti molto similari a quello analizzato da J. Reader nella sua opera intitolata “Africa”, di cui io riporto qui una buona sintesi tratta dallo scritto di Massimo Fini “Il vizio oscuro dell’Occidente”.
“Quando i primi colonizzatori europei arrivarono nel Continente Nero, gli agricoltori africani, che vivevano di autoconsumo e di baratto (ottima condotta di vita e, forse, l’unica veramente sensata.) non volevano saperne di entrare nell’economia monetaria, volevano continuare a vivere come avevano sempre vissuto. Allora i conquistatori misero una tassa in contanti su ogni capanna (paragonabile all’odierno e odioso balzello dell’ICI), costringendoli così a entrare nel gioco del denaro, il loro gioco.”
Eh già, dismessa ogni dignità, propria dell’essere umano vero, libero e reattivo, anche noi siamo costretti a fare il loro gioco. Anche noi siamo stati conquistati, ugualmente a quanto è accaduto agli indigeni dell’Africa e del mondo intero, e non siamo più padroni nemmeno di noi stessi. Tutto appartiene al Potere, mentre noi siamo costretti a pagare un tributo perfino per il sol fatto naturalissimo di possedere (con grande incertezza stabile nel cuore e nella mente) un’abitazione.
Comunque, ora, benché sia vero che un essere umano privato anche della possibilità di scegliere il proprio cibo, ultimo legame rimasto oggi con la complessa e multiforme faccenda esistenziale dell’alimentazione, si riduce ad essere semplicemente un animale all’ingrasso, più o meno; benché sia vero che, non avendo stabilmente negli occhi lo spettacolo proteiforme offerto dalla Natura, lo spirito s’inaridisce presto; benché sia vero che, per chi non riesca o non possa conoscere e sviluppare la propria sessualità, la parabola della vita risulti sfocata ed insipida; benché sia vero che, in assenza di un dialogo con un amico, la libertà d’espressione del proprio intimo risulti crudelmente soffocata (il dialogo con i famigliari non è sufficiente a stimolare e perfezionare l’esternazione dei sentimenti più intimi), ora, nonostante che tutto ciò, da me appena elencato, appartenga alle normali esigenze naturali, che assolutamente non possono essere eluse, c’è una motivazione più sottile che ci spinge a considerare l’insoddisfazione di codeste esigenze, e di tante altre, non come singole avversità a se stanti, bensì come sintomi di un malanno più grave. E, siccome è risaputo quanto sia più ragionevole, più conveniente, eliminare il malanno piuttosto che solamente la sua sindrome, pronta a ripresentarsi in qualsiasi momento fintantoché il malanno persiste, io ritengo che sia di massima urgenza interrompere la disumana consuetudine con la quale si perpetua lo strazio derivante dal fatto che le scelte di una maggioranza diventano, immancabilmente, disagi e avvilimenti per una minoranza.
Si tratta di una maggioranza che, guarda caso, dev’essere diretta da una minoranza, esigua rispetto all’enorme massa che deve governare. Perché? Perché, come scrive Pino Aprile nel suo ottimo libro “Elogio dell’imbecille”, è regola confermata dall’esperienza che “quando gli uomini si mettono assieme, diventano più scemi” e più si aggregano e più scemi diventano (a questo punto una riflessione disintossicante sulle religioni e la loro funzione sarebbe quasi obbligatoria, ma… per ora…). E la Verità Esistenziale che codesta regola sottintende è questa: “L’unione di molti individui è sempre più elementare di ciò che può essere un individuo da solo.” … “Quando vogliamo ragionare di cose importanti, cerchiamo la compagnia di pochi.” … “Due persone possono discutere con senso e risultato, centomila no: forse riescono a urlare uno slogan, ma non a esprimere un concetto, a riferire in modo comprensibile una frase articolata. Per riflettere e ragionare bisogna essere da soli o in pochi.” … “Lo stare assieme, in società, ha un effetto deprimente sullo sviluppo e persino sul semplice esercizio delle facoltà mentali.” E io non mi stancherò mai di richiamare l’attenzione su quale sia il punto fondamentale da cui partire per giungere agevolmente alla comprensione perfetta della Verità Esistenziale: l’esistenza E’ in funzione esclusiva dell’individuo singolo e non riguarda mai le aggregazioni. Tutto ciò che vorrebbe collegare artificialmente le aggregazioni al valore dell’Esistenza è miserabile falsità instaurata dall’uomo condizionato dal Male. Una falsità pienamente avversa al Progetto Supremo della Creazione.
Che, poi, una maggioranza di “scemi” sia legittimata ad eleggere la minoranza che li dovrà governare e che questa minoranza sia considerata “cosa buona”, resta un mistero sociale. Oppure si tratta di un giochetto di prestigio con il quale si finge di attribuire un valore alto a una cosa che valore non ha?
Certo è che, constatazione inevitabile e sconsolante per molti, Pino Aprile compreso, “in democrazia ogni testa vale un voto, anche una testa vuota.” E, per l’appunto, le “teste vuote” sono una maggioranza cospicua, poiché lo “svuotamento” è socialmente strutturato e pochi sono coloro i quali riescono a sottrarsi all’accurato “trattamento”.
Governare “masse di scemi”, però, di certo non risulta una faccenda gratificante. A ben vedere, anzi, è una faccenda che assesta un duro colpo all’autostima ed è anche per questo che i governanti preferiscono di gran lunga dedicarsi precipuamente ai propri interessi, piuttosto che a quelli delle masse. Così, almeno, possono dimostrare a se stessi di non appartenere affatto alle schiere che vengono gabbate. Caspita! Almeno questa distinzione sia fatta! Siamo o non siamo “superiori”?! Ed è d’importanza vitale per il Potere che il Sistema sappia mantenere le masse in uno stato d’inferiorità poco perspicace. Altrimenti le masse si accorgerebbero che tutti coloro i quali partecipano in qualche modo alla gestione del Potere considerano la Nazione “casa propria”, “cosa loro”, insomma, con annessi giardini e dependance, luoghi in cui lavora alacremente uno stuolo di domestici. Sarebbe molto pericoloso per il Potere, che le masse prendessero coscienza di questo stato di cose ignobilmente artefatto. Di certo, i governanti non potrebbero più spendere patrimoni ingenti per far fare “bella figura” alla loro “casa” o "cosa" nello “scacchiere” internazionale, mentre innumerevoli famiglie si trovano costrette a trascorrere la propria esistenza collezionando solamente sofferenze. Ogni giorno, da quando aprono gli occhi, dopo un sonno agitato, fino al momento in cui li richiudono, sempre che ci riescano. Ma le sofferenze dei domestici non turbano il sonno dei padroni, poiché i padroni non conoscono, neanche lontanamente, le sofferenze dei domestici. Ne parlano pubblicamente dando la parvenza di conoscerle bene e di preoccuparsene, è una tattica che rende, ma in verità neanche le immaginano. Sono sofferenze che non fanno parte del vissuto dei padroni della “casa”, e, senza esperienza diretta, non vi può essere vera conoscenza, ma soltanto presunzione o, addirittura, falsità.
Chi può provare sincero interesse per la “bella figura” della propria Nazione presso le altre, mentre in cuor suo maledice d’esser nato? Vien detto che la “bella figura” porterà benefici futuri, ma l’esperienza ci ha fatto vedere a sufficienza che… quanti sono morti tra gli stenti aspettando! Bah. Io credo che la vera “bella figura” per un Paese potrebbe essere soltanto quella di sentir dire da altri che “in quella Nazione nessuno piange a causa della sua struttura sociale.” Altro che “missioni di pace”! Che si portano appresso i robusti germi dell’aggressione e del sopruso, poiché sono composte da esseri addestrati alla guerra, non alla pace.
Per riprendere l’interessante discorso “aumento aggregazione uguale aumento imbecillità”, aperto citando uno scritto di Pino Aprile, ritorniamo a lui per sentire cosa ha da dirci a proposito di una certa caratteristica della struttura sociale. Un particolare, che io credo si debba tenere sempre ben presente ogni qualvolta si discorre delle società concepite dagli umani.
Dopo aver proposto, con sintesi apprezzabili, gli studi e i pareri di svariati scienziati, Aprile conclude:
“Esiste dunque un numero, compreso fra sette e undici, che gli esseri umani tendono a raggiungere nel formare sottogruppi all’interno di organizzazioni più grandi.” … “Quanto alla funzione dei sottogruppi “di dieci” o “gruppi nucleici”, non dovrebbero esserci dubbi: essi sono il nerbo delle gerarchie, perché non le indeboliscono ma, al contrario, ne assicurano l’efficienza. Il “gruppo di dieci” o “nucleico” rappresenta, allora, l’unità minima per ottenere il rincitrullimento di chi ne fa parte; permette una sufficiente distinzione dei compiti e il controllo reciproco. In questo modo, ognuno ha poche regole e mansioni specifiche, con relativi comportamenti obbligati, cui attenersi (sotto sorveglianza).”
Così, chi è preposto alla vigilanza di una decina d’individui ha un compito facile e può rendere il controllo più sicuro sollecitando nel gruppo la delazione con promesse di agevolazioni e vantaggi economici. In fin dei conti, si tratta di sorvegliare un insieme d’individui che, non conoscendo la Verità, trovano grande difficoltà nel riuscire ad assumere una condotta unitaria, volta al raggiungimento del conveniente benessere esistenziale naturalmente comune e necessario a tutti i membri del gruppo, e di conseguenza la “decina” può essere tranquillamente considerata un sezione del Sistema assai poco proclive alla ribellione compatta. E se per i componenti di una “decina” è assai difficoltoso addivenire alla consonanza d’intenti, sia per fattori naturali (la Natura non sopporta le aggregazioni e non le agevola in alcun modo) sia per fattori culturali, figuriamoci quanto possa risultare inarrivabile la coesione tra più “decine”. Ed è proprio sulla base di queste difficoltà che, ad un certo punto, è sorto un nuovo potere sociale: il sindacato, cosicché il groviglio delle ambigue prassi sociali, anziché più sottile, s’è fatto più spesso e il controllo ha potuto accrescere la sua capacità di prevenzione, ovvero di limitare lo sfogo delle turbolenze sociali a qualche folcloristica manifestazione di piazza. Chi s’è impadronito di tutto, col pretesto che l’uomo sia un “animale sociale” che va governato, può dormire sonni tranquilli, senza temere sorprese sgradite, che sotto un punto di vista diverso da quello dei padroni, e quindi molto più serio, naturale, sarebbero giudicate gradite. Foss’anche che, per caso straordinario, si ribellassero contemporaneamente due o tre “decine”, fitte schiere di divise sarebbero pronte a farle rientrare nei loro tristi ranghi a suon di randellate o di altri strumenti ancor più persuasivi, talvolta persuasivi finanche in via definitiva.
La struttura gerarchica basata sulla “decina” è di ideazione molto antica e, manco a dirlo, la sua funzionalità nel controllo degli uomini non sfuggì alle scaltre menti della casta sacerdotale.
“Mosè dunque scelse in tutto Israele uomini capaci e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.”(Es. 18, 25)
Ma, benché la struttura gerarchica sia consigliata da un libro spacciato per “divino” (se un ipotetico Creatore avesse voluto realmente dettare qualcosa da dover scrivere in un libro, avrebbe commesso un’ingiustizia imperdonabile nei confronti dei primi uomini, i capostipiti dell’Umanità, che non avevano ancora inventato un qualche tipo di alfabeto. Per iniziare a dettare, ha forse aspettato che venisse formato l’alfabeto ebraico? Onniscienza e Onnipotenza non potrebbero mai commettere una scorrettezza di questo pessimo genere. E, difatti, non l’hanno mai commessa.), qualsivoglia gerarchia non è mai cosa buona, mai lo è stata e mai lo sarà, e, quindi, nulla di buono può generare.
“Sorge, allora, la necessità di una vera struttura gerarchica, - continua Pino Aprile - in cui non solo ognuno sappia cosa fare e quando farlo, ma anche qual è la sua posizione rispetto agli altri. La conseguenza è che, indipendentemente dai talenti personali, in una burocrazia, per convenzione (per regola culturale, quindi), chi occupa un posto inferiore è inferiore.”
No, l’ordine gerarchico non può generare nulla che sia accettabile come cosa buona. Anche il triste fatto, che la stragrande maggioranza degli esseri umani (non si può definirli “uomini” nel vero senso del termine) accetti di essere considerata ufficialmente “inferiore”, ci dà un’idea di come e quanto l’essere umano sia stato svuotato della sua propria dignità naturale per mezzo di mille e mille artifizi culturali. Le pessime conseguenze di ciò sono molteplici, ma una di queste è drammatica in senso assoluto, se rapportata alle Finalità Esistenziali. Senza addentrarmi troppo nell’argomento, io credo che tutta la drammaticità del caso possa essere da Lei intuita meditando sul fatto che uno spirito, “nutrito” da azioni e pensieri originati da un’esistenza improntata su un vissuto condizionato da un persistente rapporto d’inferiorità con altri esseri umani, non può raggiungere quella completezza di maturità necessaria per essere ritenuto idoneo all’accesso nell’Universo Spirituale Eterno. Vorrei aggiungere dell’altro, per chiarire meglio la considerazione appena espressa, ma per adesso mi limiterò a richiamare l’attenzione sul suo rovescio: anche uno spirito, “nutrito” da azioni e pensieri originati da un’esistenza improntata su un vissuto condizionato da un persistente rapporto di superiorità con altri esseri umani, non può raggiungere quella completezza di maturità necessaria per essere ritenuto idoneo all’accesso nell’Universo Spirituale Eterno. Quindi… quanti esseri umani buttati via!
Come può succedere che così tanti individui operino sconsideratamente, e in maniera continuativa, a proprio danno? E che danno! Avviene, perché alle teste vuote, mantenute ben lontane dalla Verità, tutta la struttura del Sistema sembra razionale e consequenziali a codesta razionalità apparente sembrano essere anche le disposizioni interne alla struttura stessa.
“Nelle “gerarchie di potere” tutto è chiaro (sostituzione della Verità Naturale con pseudoverità che, per giunta, sono state fatte derivare sempre dal relativo, mai dall’Assoluto). Lo stesso ordine burocratico, che spegne creatività e originalità, stabilisce la scala dei “meriti presunti”, dalla quale non si può derogare, senza sconvolgere il fondamento stesso della società. La struttura gerarchica elimina il bisogno di distinguere gli esseri umani in base alle loro qualità, ai talenti.
In una burocrazia, il capo è il capo perché occupa tale posizione, non perché sia il migliore. E può benissimo essere più scemo dell’ultimo fattorino: non vuol dire nulla, è lui che comanda; perché lui è il capo.”
Sebbene questo primo approccio al dialogo con Lei, caro signor “X”, non sia il più confacente alle precisazioni esaustive (come ho ripetuto già troppe volte a mo’ d’invito e stimolo futuri), qui, adesso, non posso esimermi dal ribadire di sfuggita una puntualizzazione importantissima. L’uomo non E’ in questo mondo con la finalità di sottostare alle regole imposte dai suoi simili. Non c’è “democrazia”, o altra forma di governo, che possa rappresentare una deroga valida a questo Principio Naturale, che è il perno stesso del Progetto Supremo che ha concepito l’Esistenza. Se lo s’infrange, ogni Cosa va storta, senza possibilità di rimedi. Anzi: ogni tentativo di rimediare alle storture le incrementa e le ingigantisce.
La realtà odierna sta dando testimonianza terrificante di codesta Verità.
E’ chiaro, lampante, che ogni atto avverso al Progetto Supremo è opera del Male, che odia la Creazione con le medesime potenzialità con cui il Bene la ama. E non vi è dubbio che sia stato il Male a “suggerire” all’uomo d’imboccare la via del dominio dell’uomo sull’uomo e, quindi, sulla Natura tutta. Arrivando perfino a fomentare la devastante illusione che l’uomo possa diventare un giorno, che non arriverà mai, il dominatore dell’Universo intero. Affinché questa strada maligna fosse percorsa stabilmente dall’uomo, per evitare deragliamenti, che in questo caso sarebbero stati auspicabili, andava trovato un binario a cui agganciare stabilmente il convoglio “Umanità”, per farlo scivolare inesorabilmente verso l’autodistruzione. All’uopo, il Male ha escogitato il Potere e ne ha instillato la brama in ogni uomo che per accidia non abbia ricercato la Verità Esistenziale manifestata dal Creato.
(L’antica stampa, che ho pubblicato nell’Angolo della meditazione, in cui si vede il diavolo incoronare il papa che a sua volta incorona l’imperatore, illustra mirabilmente come sia avvenuta la trasmissione del Potere lungo un periodo di tempo assai lungo. I mistificatori di professione, ovviamente, hanno chiamato “dio” il “diavolo” ovvero, per dire meglio, dato che “dio” e “diavolo” sono simboli concepiti dalla Grande Menzogna, hanno dato ad intendere che operasse il Bene laddove, invece, imperversava il Male.)
Come ogni uomo integro, cioè sano di mente in quanto non corrotto da un’interpretazione di comodo delle Cose del Mondo, ha potuto constatare personalmente, il Potere è in grado di mantenere rigidamente l’Umanità sul binario maligno del progresso voluto dal Male e il Male, dall’origine fino ad oggi, non ha mai smesso di servirsene per portare a termine il suo progetto distruttivo. Se il Male riuscirà nel suo intento, avrà assestato un colpo fatale al Progetto Supremo, ma io non credo nel trionfo del Male e quindi sono del parere che la Natura riuscirà a mettere in atto un rimedio che vanificherà la maligna offensiva. Probabilmente, pur premettendo che nessun essere umano ha la capacità di scrutare il futuro e può confidare soltanto nella deduzione basata su uno stato di cose che potrebbe anche modificarsi nel tempo, molto probabilmente la Natura ridurrà l’Umanità a uno sparuto gruppo di superstiti, constatato che il Male agisce precipuamente tramite l’uomo, e, come abbiamo appreso rivisitando lo scritto di Pino Aprile, in pochi si ragiona meglio. Ragionando meglio, i superstiti potranno individuare facilmente tutti gli errori commessi, così evitando di riproporre quelle stesse condotte esistenziali che avranno condotto l’Umanità alla catastrofe. Avvenisse così, il Progetto Supremo non ne risentirebbe minimamente. Diversamente, come si potrebbe ipotizzare il fallimento di un Progetto concepito da Onniscienza e Onnipotenza? E’, quindi, davvero ipotizzabile un successo definitivo del Male? Non credo proprio! La sua stessa affermazione, che oggi sembra oltremodo diffusa e radicata in maniera inestirpabile, si regge su un fattore piuttosto labile, che potrebbe essere eliminato da un momento all’altro: l’imbecillità. Non sto prendendo in esame l’idiozia, ovvero quel deficit intellettivo congenito che esercita scarsissima influenza in una società. Sto parlando della cretineria che s’instaura nell’essere umano durante la sua educazione sociale e che nella struttura di una società ha influenza determinante (un’influenza pressoché totalitaria che, stranamente, viene esercitata tramite la “non-influenza”, o “passività” che dir si voglia, e “l’acquiescenza”. Questa “influenza”, che funziona a rovescio, è propria delle “masse di perdizione”, meravigliosa definizione, forgiata da Albert Caraco, che sta ad indicare quella moltitudine di persone che, oltre ad essere artefici della loro massima disgrazia, in questa coinvolgono altri che potrebbero salvarsi, se non fossero una minoranza sparuta.).
Il Male, dunque, ha necessità assoluta della cretineria. Questa, e solo questa, permette la sussistenza del Potere e il Potere è il solo fattore capace di mantenere saldamente l’Umanità sul binario che conduce alla perdizione, sia individuale che collettiva. Ed è principalmente per questo motivo che tutte le istituzioni, di qualsivoglia tipo d’aggregazione, devono avere la cretineria come componente maggioritaria, prevalente.
Pino Aprile ha scritto:
“Il potere opera a beneficio di se stesso, tende a imprimere la propria immagine sul mondo circostante e a moltiplicare la stupidità, da cui trae la sua ragione d’essere. L’imbecillità è al potere. E il potere non ha bisogno del genio.”
Volendo commentare per bene queste due frasi, si potrebbe scrivere un libro con un buon numero di pagine utili.
Che il Potere, essendo creatura del Male, sia sempre mosso dall’egoismo assoluto, non è cosa di difficile comprensione. Mantenere in sicurezza se stesso è la prima delle sue preoccupazioni. Poco gl’importa, se ciò avviene a discapito delle popolazioni che finge di voler governare a guisa di un “buon padre di famiglia”. Il Potere stenta parecchio, a far qualcosa di buono per la popolazione sottoposta al suo dominio, perfino quando la popolazione arriva a uno scontento tale da mettere in crisi la compagine che lo detiene temporaneamente. E abbiamo già parlato del fatto che perfino far “bella figura” gl’interessa di più della disperazione di chi è stato reso un derelitto.
La questione della “bella figura” è parecchio indicativa della vera essenza del Potere. Da tutti i detentori di potere viene sprecata una quantità ingente di denaro, e quindi di libertà monetaria (la “libertà monetaria” non è un granché, ma è pur sempre l’unica forma di libertà che oggi può essere praticata e ognuno, finanche chi sa perfettamente quale sia la vera e unica Libertà, i conti con la realtà e, a meno che non sia pazzo, anche con la propria impotenza deve farli per forza), per ottenere il plauso reciproco, ma, se con onestà intellettuale giudichiamo ciò che suscita il plauso dei poteri internazionali, dobbiamo convenire che si tratta sempre di azioni che fanno il gioco impostato dal Male. Invariabilmente, sia che si tratti di azioni militari, sia che si tratti di atti politici o economici.
Tanto per portare un esempio tratto dalla realtà odierna, e quindi verificabile in ripetute occasioni, La invito a meditare su questo: ogni qualvolta il governo degli Stati Uniti d’America si congratula con il governo di qualche Nazione è sempre per il fatto che quest’ultimo ha appena commesso una mala azione, se non addirittura un eccidio. Ma chi ha gli occhi ancora puri, e, stando ad alcuni passi della sua e-mail, mi sembra che Lei sia tra questi, chi non è pervaso dalla malafede o dall’opportunismo di parteggiare sempre per il più forte o dall’ignoranza più gretta sa vedere e capire. Purtroppo, ci sono anche quelli che non sono in malafede, non sono opportunisti, non sono gretti, ma vedono e non capiscono. Costoro sono le tante vittime innocenti dell’educazione, che li ha privati per sempre della capacità d’intuire l’Assoluto e di dedurre dall’Assoluto (le capacità sublimi del pensiero astratto), condannandoli a dibattersi costantemente nell’infida rete del relativo.
Anche l’inutile Thomas Stearns Eliot vede e scrive:
“Quando i vostri padri fissarono il luogo di Dio,
E posero tutti i santi scomodi, gli apostoli e i martiri,
In una specie di Giardino Zoologico,
Soltanto allora furono in grado di dare inizio
All’espansione imperiale e allo sviluppo industriale.
Esportarono ferro, carbone e manufatti di cotone
E illuminazione intellettuale
E ogni cosa, compreso il capitale
E numerose versioni del Verbo di Dio:
Convinta di avere una missione, la razza inglese
La portò a termine, ma cose malferme lasciò in patria.
Di tutto ciò che fu fatto in passato voi mangiate il
frutto, marcio o maturo che sia.”
Detto tra me e Lei, dato che Lei risiede a Londra… la Fatalità mi tenga sempre alla larga da ogni razza o Nazione che sia “convinta di avere una missione”! Da compiere, magari, coinvolgendo tragicamente altri popoli. La “razza inglese”, con la sua “missione”, non ha lasciato “cose malferme” soltanto nella sua “patria”. In un periodo di tempo relativamente breve, ne ha lasciate dappertutto! E ancor oggi è ingente il numero degli esseri umani che patiscono disperatamente a causa di codeste “cose malferme”. Ma questo è un altro discorso, che per il momento non deve distoglierci dall’inutile Eliot, che merita attenzione in quanto troppo spesso gl’inutili sono le stampelle più robuste su cui si regge la Mistificazione. E noi vogliamo smascherarla il più possibile, no? E’ in gioco la nostra unica occasione di esistere per il vantaggio eterno del nostro spirito, no?
Individua l’opera del Male, Eliot, ma non comprende da dove abbia origine. Stanco, assillato dalla paura della morte, si abbandona alla fede in… proprio in tutto quello che è l’opera maggiore del Male ed infatti dai suoi scritti si evince distintamente che egli considera, ahimè, quest’opera maligna non il “frutto marcio”, bensì quello “maturo”.
Scorge, Eliot, dove sta il male e come abbia ridotto l’uomo:
“E ora vivete dispersi su strade che si snodano come nastri
E nessuno conosce il suo vicino o si interessa a lui
A meno che il suo vicino non gli arrechi troppo disturbo,
Ma tutti corrono su e giù con le automobili,
Familiari con le vie ma senza un luogo in cui
risiedere.
E nemmeno la famiglia si muove tutta unita,
Poiché ogni figlio vorrebbe la sua motocicletta,
E le figlie cavalcano sellini casuali.
Molto da abbattere, molto da costruire, molto da
sistemare di nuovo;
Fate che l’opera non venga ritardata, che il tempo e il
braccio non siano inutili.”
E vede un po' anche più in là, ma non sembra anche a Lei che egli rovini tutto assumendo un tono… “biblico”? Giudichi un po’ Lei.
“Il Verbo del Signore mi giunse, dicendo:
O città miserabili d’uomini intriganti,
O sciagurata generazione d’uomini colti,
Traditi nei dedali del vostro stesso ingegno,
Venduti dai profitti delle vostre invenzioni:
Vi ho dato mani che distogliete dall’adorazione,
Vi ho dato la parola, e voi l’usate in infinite chiacchiere,
Vi ho dato la mia Legge, e voi fate contratti,
Vi ho dato labbra, per esprimere sentimenti amichevoli.
Vi ho dato cuori, e voi li usate per sospettarvi.
Vi ho dato il libero arbitrio, e voi non fate altro che
alternarvi
Fra la speculazione futile e l’azione sconsiderata.”
Non è un granché, vero? Come scritto, intendo dire. Leggendo , però, il fatto più triste è dato dalla scorante sensazione che origina questo pensiero: no, costui non poteva proprio comprendere ciò che vedeva. Infatti egli ha scritto:
“Che vita è la vostra se non avete vita in comune?
Non esiste vita se non nella comunità.”
e manco s’è accorto di aver esaltato proprio la causa prima dei mali che lui stesso ha individuato. “Svista”, o “effetto ottica difettosa”, che si ripresenta di sovente in tutta la sua opera poetica.
Bah. Tutto sommato: un canto fiacco, il suo. Alquanto gregoriano. Non infonde la sensazione di trovarsi tra persone che comprendono appieno i problemi di un’Esistenza regolata da chi dovrebbe viverla e basta.
Di tono ben diverso, alto e sicuro, è la voce di quegli uomini che hanno visto e capito quel che hanno visto. Come Theodor Wiesengrund Adorno, per esempio:
“Il potere conosce gli uomini in quanto è in grado di manipolarli.”
Nulla di più!
Stupenda espressione di verità! Intramontabile Adorno!
Eh, già: “L’imbecillità è al potere. E il potere non ha bisogno del genio.”
Vorrei ben vedere, che i detentori del Potere non fossero degl’imbecilli! Chi, con un pizzico d’intelligenza vera nella zucca, si giocherebbe l’eternità del proprio spirito per l’effimero privilegio di governare i propri simili?! Supremazia, prestigio, ricchezza, vanto ed altro, è tutta “roba” troppo precaria per giustificare una condotta di vita da imbecille: spiritualmente autolesionistica al massimo grado. L’esistenza è un venticello dell’Aurora, che con un rapido balzo salta il Giorno e giunge presto alla Sera. Questa è la realtà, evocativa ed esplicativa, che, chiunque sia consapevole di essere uomo, vede e comprende. Perfino Eliot l’ha vista e, a suo modo, ce l’ha comunicata:
“Perché io so, e così voi dovreste,
Come presto quel verme intento a curiosare
La nostra ben difesa presunzione andrà a saggiare.”
Non è che, per chi esercita il potere dell’uomo sull’uomo, la sua aspettativa di eternità spirituale sia messa in forse. E’ intuizione assolutamente certa, che non può aspettarsi nient’altro di diverso dalla morte eterna, fisica e spirituale al contempo. Questa è una delle non numerose certezze che l’uomo saggio può avere. Il “dominio dell’uomo sull’uomo” è il “peccato” massimo, perché va direttamente contro il Progetto Supremo, in quanto impedisce la libera esperienza individuale dello spirito nella materia e non permette la libera formazione di entità spirituali così sufficientemente marcate e ben distinte secondo se stesse da risultare, infine, idonee all’accesso nell’Universo Spirituale Eterno. Non basta la confessione a cancellare questa “colpa”. Anzi: la confessione non serve proprio e neanche il pentimento. L’esistenza è una “cosa seria”. Principalmente per il fatto che essa è breve, ma non di breve durata sono le conseguenze dei suoi atti. Non vi è “errore” che si cancelli, che smetta di gravare sullo spirito, fino a quando non vi sia stato posto effettivo rimedio, ovvero fintantoché le conseguenze dell’atto sbagliato non siano state convertite sostanzialmente da dannose in benefiche. Ecco perché l’omicidio marchia lo spirito con impronta indelebile di “colpa”: è un “errore” irreparabile. E, se è la Legge a commetterlo “a freddo”, mantenendosi ligia a un concetto di giustizia davvero imbecille, l’errore s’appesantisce di risvolti ancor più gravi. Anche in questo caso, precise intuizioni e deduzioni ci assicurano, senza l’ausilio di “magie” che s’intrufolano nel metafisico soltanto per “inquinarlo”, che nessuno tra tutti quegli esseri umani, in qualche modo collegati alle svariate prassi che infliggono la pena capitale, può ragionevolmente confidare in un risultato d’idoneità del proprio spirito all’Eternità. Nessuno: dal legislatore che per dovere legifera sulla morte altrui al boia che preme il bottone o abbassa la leva per dovere. Nessuno! E sono tanti i coinvolti, ugualmente colpevoli. E per il passato? Miriadi! Quanti esseri umani buttati via! Per loro fu, è stato, è e sarà come non fossero mai nati. E per molti, la loro rovina si è completata senza che ne avessero consapevolezza. Nello Stato della Virginia, ad esempio, qualche tempo fa è stato indetto un referendum sulla “pena di morte” e la maggioranza è risultata favorevole al mantenimento di questa “punizione estrema”. Crede, Lei, che codesta maggioranza si sia accorta di essere diventata decisamente “colpevole” nei confronti di Ciò Che Conta? Ed è un peccato, perché si tratta di un “errore” a cui si potrebbe mettere rimedio. O, almeno, potrebbero correggerlo tutti coloro i quali non fossero scomparsi nel frattempo. Basterebbe reclamare a gran voce un altro referendum e fare in modo che un plebiscito annullasse l’esito del precedente. Eh, sì, l’esistenza è una cosa molto seria, ma sembra che pochi se ne avvedano. Purtroppo, se la legge degli uomini “non ammette l’ignoranza”, la Natura, assai più decifrabile della legge degli uomini, è, a ragione, intransigente in misura maggiore.
(Con quest’ultimo paragrafo, le cui parole mi sono sfuggite dalle dita che talvolta battono la tastiera con andamento quasi autonomo, ho involontariamente lambito con una certa insistenza il nucleo del tema “Verità Esistenziale”. Pur rammaricandomi di lasciar fluttuare nel vago l’argomento più importante, assolutamente il più importante, per un essere umano che non sia stato ancora ridotto allo stato di zombie dalle quotidiane pratiche sociali, non andrò oltre quel poco che ho già esposto. Ho ripreso il controllo delle mie dita, consapevole che l’esposizione particolareggiata di un argomento di tal portata debba confrontarsi con un agguerrito e plurimo contraddittorio, affinché l’esposizione stessa abbia l’opportunità di essere definitivamente accettata come vera e valida oltre ogni ragionevole dubbio. E anche oltre ogni dubbio irragionevole, superstizioso.)
Il Potere, lo si sa, essendo un imbroglio del Male è soggetto ad essere sbugiardato in ciò che dice e fa. E, a forza di essere sbugiardato, corre il rischio di essere smascherato completamente, ovvero che le sue radici maligne, piene di bubboni in cui proliferano principi, valori, norme, regole e leggi che marciscono presto, vengano di prepotenza trascinate alla luce e osservate scrupolosamente per quello che sono in realtà. Perfino la “saggezza” popolare sa che “il diavolo (come simbolo del Male, dato che la figura del “diavolo” non esiste) sa fare le pentole, ma non i coperchi”. Per la sua stessa tranquillità, quindi, il Potere si trova nella necessità costante di strutturare le istituzioni, che sono alle sue dipendenze, discriminando la genialità e privilegiando l’imbecillità.
“I giudizi di valore sono del tutto assenti dai sistemi burocratici, perché la struttura gerarchica li ha resi inutili e ha così sancito la fine del vantaggio costituito dall’intelligenza.”
Questa osservazione di Pino Aprile trova il suo puntuale riscontro ogni qualvolta uno decide che bisogna pur muoversi un po’ in questo nostro “pianeta-prigione”. Magari soltanto per non ingrassare, dato che fare qualcosa di buono si presenta oltremodo problematico, con le direttive impartite dai portavoce del Potere che ha in gestione la prigione per mandato di chissà chi.
Non mi si parli di “elettori”, poiché, se non fosse per la presenza dinamica di un inghippo predisposto, il risultato di ogni consultazione elettorale darebbe – come in realtà ha sempre dato - la maggioranza relativa al numero formato da tutti coloro i quali si rifiutano di legittimare i candidati al potere presentati nelle liste elettorali dai partiti. Un’astensione che oscilla invariabilmente tra il 30 e il 40 per cento. Hanno poco da blaterare, i leader di partito – “La stragrande maggioranza del Paese è con noi!”. “No! La maggioranza del Paese è con noialtri!”–. Se ogni compagine che s’insedia al governo facesse i conti con onestà intellettuale (è chiaro che sto articolando un’ipotesi che non appartiene a questo mondo), e cioè se sommasse ai voti ottenuti dall’opposizione quelli degli astenuti, dovrebbe ammettere con correttezza che circa il 70% del Paese è avverso a loro. Ed è una percentuale che si ripresenta in ogni Paese democratico indipendentemente dalla casualità che il governo in carica sia di sinistra, destra o centro. Sembra proprio che ad ogni tornata elettorale si formi puntualmente, in virtù di una silenziosa e incontrollabile forza naturale, uno schieramento che fa precisa testimonianza del fatto che l’uomo non nasce per essere governato dai suoi simili. E su questo punto non ci può neanche essere contraddittorio da parte di nessuno, a meno che non si tratti di qualcuno così tanto imbecille da negare non solo ogni evidenza naturale, ma anche tutte quelle sociali. Certo, che quelli espressi dagli astenuti sono voti! Senz’altro i più ponderati. E voti tonanti sono anche quelli di chi, ancora influenzato dal fatto che per il passato votare era considerato un dovere da non poter eludere senza qualche spiacevole conseguenza, va alle urne per depositare una scheda bianca o resa nulla. A questo punto, se si considera che le percentuali di voti spettanti ai partiti vengono ricavate soltanto dall’insieme dei voti effettivi, si può capire che la percentuale di 70 ha una consistenza che supera il valore della cifra. Hai voglia a gridare: “Il Paese è con noi!”.
Comunque, oltre alla sottile questione della sua non corretta interpretazione, ci sono decine e decine di altri fattori che sviliscono, quando non l’azzerano, l’importanza democratica del voto. Ora non starò qui a parlare dei voti comprati e di quelli di scambio, né mi soffermerò a specificare come non ci sia scelta democratica laddove sono esclusivamente i partiti a presentare le liste dei candidati al potere. Potere detenuto dai partiti in una forma ereditaria ancor più rigida di quella monarchica vista e subita in passato. Sarei tentato, invece, di stilare la lista delle scelleratezze compiute nelle e dalle Nazioni democratiche. Dalle Grandi Democrazie! Ma siccome mi si rivolta lo stomaco a ricordare le innumerevoli stragi di Stato, le sciagurate guerre di occupazione, le sobillazioni al colpo di Stato o alla guerra civile nei paesi che le Grandi Democrazie hanno voluto controllare per i propri interessi, e siccome mi irrita fortemente il piloro anche richiamare alla memoria l’indifferenza “democratica” con cui si è accettato come Presidente un Kennedy dopo i brogli di Chicago e un Bush dopo quelli in Florida, reprimo il desiderio e mi limito alla citazione di un concetto ugualmente espresso da Winston Churchill, prima, e, poi, da Lech Walesa: “La democrazia non è una cosa buona, ma è la miglior forma di governo che conosciamo.” Parole che non giustificano proprio un bel nulla.
Perché, nell’ambito di un sistema sociale, si è sempre costretti a scegliere il minore dei mali? Perché non si sceglie mai il bene? Magari il bene minore, dopo aver scartato ogni male. Impossibile?! Ma allora… non è un buon indizio, questo, da cui incominciare a pensare che, forse, è proprio il Sistema ad essere maligna fonte soltanto di mali? Certo! Ogni Sistema ha bisogno di un Potere che lo governi e l’uomo, lo ripeto, non è nato per essere governato dal potere di altri uomini. Tantomeno da un Potere che, per forza di cose storte, diventerà sempre più imbecille.
“Il potere conosce gli uomini in quanto è in grado di manipolarli.”
Questa locuzione suscita all'istante l’idea dello spessore dell’ignoranza che caratterizza il Potere (vera e propria incapacità strutturale a poter conoscere e comprendere) e delle tristissime conseguenze che codesta ignoranza comporta.
Il Potere, lungi dall’essere informato su ogni individuo e le sue particolarità, - una conoscenza il cui approfondimento dovrebbe essere dovere imprescindibile per chi s’è arrogato perfino il “diritto” (sic!) di giudicare i propri simili originando conseguenze - non conosce nemmeno l’essenza universale dell’Uomo. Di ogni uomo, conosce solamente ciò che gli ha fatto imparare nelle scuole al fine di manipolarlo e renderlo suddito. In sostanza, il Potere conosce unicamente le espressioni del proprio volere in ogni settore dell’esistenza, le sue imposizioni, che ha violentemente trasferito nell’uomo per mezzo dell’educazione elaborata all’uopo. Violenza definibile, come minimo, “spropositata” nella sua manifesta vigliaccheria, assodato che non si esita ad esercitarla sugl’infanti. Iniziando a violentare gli animi da quando sono ancora “tabula rasa”, il Potere e i suoi collaboratori lautamente stipendiati s’aspettano che l’uomo sia il risultato dell’educazione impartitagli e su questa base, solo su questa, pretendono di conoscerlo. Constatato che l’inghippo funziona nella stragrande maggioranza dei casi, il Potere continua a servirsene e i suoi collaboratori non smettono mai di perfezionarlo. E, se funziona, è anche per merito del solerte aiuto apportato da un’enorme massa, inebetita dalla “caccia al soldo”, che generando acquisisce una subdola “patria potestà”, troppo spesso avversa agli interessi naturali dei nuovi nati.
Per dare un saggio parziale (le “catene di montaggio” sono parecchie) di come vengono “prodotte” le “teste vuote”, che servono al Potere per compensare la propria ignoranza irremovibile, torno a consultare brevemente Pino Aprile. Leggere ciò che egli scrive è sempre un appagamento per la mente.
“La scuola, infatti, è uno strumento potentissimo per livellare le doti intellettuali verso il basso.” … “Ashley Montagu ha esposto queste idee nel suo appassionato libro sulla neotenia (l’insieme dei caratteri infantili che conserviamo anche da adulti). In quelle pagine racconta che l’istruzione di massa rappresenta, di fatto, una delle ultime forme di stragi rituali, perché indebolisce l’attitudine a pensare. La genialità, egli sostiene, è soffocata progressivamente, dalle elementari all’università, fino a che il bambino diventa un adulto capace solo di uniformarsi a comportamenti “socialmente accettati”. La scuola, così, anziché essere una palestra dell’intelligenza, è una macelleria del genio.”
Carissimo Signor X, sono certo che non sarò stato io con questa e-mail a farle comprendere cose che presuppongo Lei conosca già, e cioè che stiamo vivendo (si fa per dire) in un mondo completamente sbagliato, in una realtà così tanto fuori dalla Natura che non permette all’uomo di compiere nemmeno gli atti (e spesso neanche di formulare pensieri coerenti col significato della nostra presenza terrena) richiesti dalle Finalità Esistenziali. Siamo costretti da un Ordine maligno, imposto da uomini sostanzialmente già morti, a sciupare anche noi le nostre esistenze e a dovercene dolere disperatamente in quell’attimo immediatamente successivo alla nostra fatale dipartita dall’asfittica miseria di questo mondo. Bisogna ammetterlo: il Male ha escogitato una trappola funzionante a meraviglia e che regge nel tempo. Non saprei dire fino a quando l’assetto societario potrà durare, ma ho il presentimento che avrà una fine assai spiacevole. Intanto, però… quanti uomini buttati via!
Io cerco di fare del mio meglio per non essere coinvolto nel disastro spirituale che sembra aver raggiunto dimensioni universali, ma sono consapevole, ahimè, che più delle parole valgono le azioni. E io, trovandomi da solo al cospetto di aggregazioni, poco posso confidare nella possibilità di portare a compimento azioni valide.
Già: “Pochi saranno gli eletti”, verrebbe da dire. Una locuzione-monito che sembra adattarsi sapientemente a tutte le epoche, e in particolare alla nostra, ed invece è anche questa un’espressione tra le tante che tradiscono la loro volgare ispirazione terrena. A noi, uomini indissolubilmente legati alla terra e al tempo, può sembrare che siano pochi quelli che hanno qualche probabilità di accedere all’Universo Spirituale Eterno. In effetti, chi conosce la Verità Esistenziale, se richiesto, oggi non se la sentirebbe di fare una previsione statistica che andasse oltre le centinaia, pur tenendo presente che la popolazione mondiale ammonta a più di 6 miliardi d’individui, e la riterrebbe ottimistica. Ma, in verità, il Progetto Supremo non si “preoccupa” affatto della consistenza dell’afflusso nell’Universo Spirituale, in quanto non è soggetto al Tempo. Il Progetto Supremo non ne risente, non s’incrina, se oggi gli “eletti” sono centinaia e se domani, con 12 miliardi di esseri umani, sono (no “saranno”) decine. In verità, neanche si può parlare di “afflusso” (che comporta la presenza del Tempo) nel senso terreno del termine. “Ove” il Tempo non E’, neanche ieri, oggi e domani (ci) sono. Tutto E’ e, se aggiungo il termine “istantaneamente” per cercare di farmi capire, inserisco il Tempo “ove” il Tempo non E’.
Le Cose non stanno come la Menzogna vorrebbe far credere. Non ci sarà un Giudizio Universale, per il quale si ripresenteranno i cadaveri di tutti i nati e alcuni (pochi) saranno scelti e altri scartati. Il Progetto Supremo messo in essere da Onniscienza e Onnipotenza è, per definirlo con termini mondani, un automatismo perfetto in assenza di Tempo. Quindi, gli “eletti”, ovvero quell’insieme che noi, legati al tempo, chiameremmo “somma”, non sono (“saranno” è un pacchiano errore terreno, indice di tante menzogne) pochi e, siccome là fuori c’è l’Infinito, neanche possono essere troppi. Sono quanti sono, e, in assenza del Tempo, ovviamente sono non per effetto di predestinazione, ma per effetto di una prova che a noi sembra svolgersi nel tempo. Un ristretto tempo determinato si addice a una prova, ma noi partecipanti, per capire quel tanto che basta per la nostra esistenza (un di più, oltre a non essere acquisibile da chi ha lo spirito limitato dalla materia, non è necessario, e la conferma del suo non essere necessario è data proprio dal fatto che non è acquisibile) non dobbiamo scordarci mai che tutto “avviene” (meglio sarebbe dire E’) nell’Infinito senza Tempo.
La Grandiosità del Progetto Supremo (che non può essere inferiore alla Grandiosità Assoluta, poiché ha origine da Onniscienza e Onnipotenza) è davvero imperniata sul Fattore Tempo. Sia sulla sua assenza sia sulla sua presenza. Ed è proprio grazie a questa assenza/presenza che il Male non può prevalere sul Progetto Supremo. Il Male, come del resto il Bene, agisce nel Tempo, durante la prova (poiché la “prova” E’ possibile solo con la partecipazione del Bene e del Male, dal cui contrasto ha origine la Vita. Se ci fosse soltanto il Bene, la Vita non sarebbe. Ci sarebbe unicamente la “fotografia”, assolutamente statica del Bene. Inoltre non ci sarebbero gli elementi fondamentali della prova e in loro assenza l’Esistenza, oltre che statica, sarebbe priva di Valore.). Il Male, quantunque il suo unico scopo sia quello di compromettere il Progetto Supremo, che però E’ “ove” il Tempo non E’, in verità non può nemmeno “rallentarlo”, sebbene che, trovandosi ad agire nel Tempo, abbia l’illusione di poterci riuscire.
Per carità, signor X, non mi dica nulla! Sono consapevole di aver scritto tre paragrafi pressoché incomprensibili. Ovvero: per chi già sa, non riservano particolari difficoltà di comprensione, ma, a chi ancora non sa, si presentano come una lettura alquanto oscura. E, siccome non è supponibile che io scriva rivolgendomi a chi sa, al lettore non resta che interrogarsi sul perché io abbia scritto tre paragrafi confusi ed oscuri. Per agevolare la risposta all’interrogativo io potrei dire che le mie dita hanno ripreso autonomia e hanno battuto sulla tastiera in maniera indipendente dai miei pensieri, ma, poiché fin dall’età di diciott’anni ho deciso di dire sempre il vero, ora affermo che li ho scritti nella speranza di suscitare domande a iosa, che mi aiutino a portare avanti un discorso che, ultimamente, mi sta molto a cuore. Mi va benissimo perfino che qualcuno s’impegni ad ampliare il discorso pensando: “Questo imbecille ce lo impacchettiamo in quattro e quattr’otto.” Anche da partenze di questo tipo si possono raggiungere mete ottime. Purché ci sia seria volontà di chiarezza. E’ la mancanza di chiarezza, in altre parole la volontà imbrogliona di non permettere la separazione netta e pubblica di ciò che è Verità da ciò che è Menzogna, il fattore primo che sta logorando il Senso dell’Esistenza Umana.
Il sociale sottobosco letterario, in particolare, è fitto di esseri abbietti che, col pretesto di divulgare la Verità, speculano sulla Menzogna per produrre altra menzogna da spacciare per Verità, nella sola speranza intima d’irretire un numero di gonzi sufficientemente alto, tanto da poterlo considerare “remunerativo”. Mondanamente remunerativo! Scrivono libri a iosa, trattando argomenti già di per se stessi saturi di menzogne, nei quali, però, questi “scrittori” asseriscono di aver scovato la Verità Unica. Il loro stato d’insania è così marcato da far sì che non provino vergogna alcuna nel sostenere teorie che non reggono, in maniera evidente, nemmeno a una prima e modesta confutazione. Il tutto farcito di esoterismo, ovvero tutto marcato col marchio stesso della negazione della Verità, in quanto la Verità non può essere una dottrina e tantomeno una dottrina riservata a pochi “eletti”. La Verità è una constatazione. Può succedere, ahimè, che venga individuata da pochi, tra le molteplici e fitte nebbie originate dalle tante menzogne tendenti con astio e perseveranza ad occultarla, ma la sua natura è quella di essere manifesta, esplicita, solare. Mai templare! Mai settaria! Lasciamo l’esoterismo alle dottrine filosofiche aspiranti al potere settario, per carità!, o, meglio ancora, releghiamolo ad appartenere esclusivamente a quei quattro antichi greci che lo hanno coniato come termine.
Lei crede che un consiglio dato in nome della Verità, a chi asserisce d’aver trovato la verità agghindata di esoterismo, venga ascoltato? Macché! Continuano a scrivere roba che quasi sempre pubblicano a proprie spese confidando in un tornaconto futuro e, siccome il mondo è stato reso stracolmo di gonzi, talvolta lo ottengono. E magari, dopo il danno fatto, si sentono anche soddisfatti del successo riscosso dalle loro balle.
Eh, sì, purtroppo: quanti uomini buttati via!
Nessuna commozione nell’Universo per questi esseri vissuti invano, nulla si scompone nell’Infinito. Sono esclusivamente affari nostri e noi soltanto dovremmo piangere, se in mezzo agli uomini potesse esprimersi quella specie di solidarietà legata alla situazione comune, ma non c’è solidarietà esistenziale tra gli uomini e forse è stato stabilito che proprio così debba essere. Infatti non si tratta di quel tipo di solidarietà che invia aiuti ai popoli terremotati e ad altri decreta l’embargo, che più del terremoto stermina ed assai più atrocemente. Questa non serve, mentre la solidarietà esistenzialmente valida oramai non l’ha più in testa quasi nessuno, perché essa non può manifestarsi e stenta ad esistere disgiunta dalla Libertà. Se allontanata dal suo ambiente naturale, appassisce.
Che fare in cotanta desolazione? Per ora, a un esame di realtà risulta che, trovandoci rigidamente tutelati, fatalmente ogni nostra buona intenzione si esaurisce di fatto in una delega, volontaria o estorta, mortale e vanamente imperativa: «Provveda il tutore!»
(continua)
Lavoro di "spellicolatura" fatto da Fabio durante quest'anno (2007) di stage presso la ditta "Emme Sport" - Lavoro che richiede capacità di "manualità fine" -