XIX° - LE NUBI DELL'UOMO
LE NUBI DELL'UOMO
Mercoledì 18 aprile 2007: una splendida giornata, a Treviso. Cielo completamente terso e sole con raggi di calore estivo.
Verso le 12 e 45, terminata la mia mattinata di stage presso la ditta EMME SPORT, mi sono avviato, come al solito, verso la fermata dell’autobus per rincasare. Ero particolarmente contento, perché il proprietario della ditta s’era congratulato con me per la dimestichezza raggiunta nello “spellicolare” le scritte da applicare con il termoriscaldatore sulle tute dei calciatori. Un lavoro delicato, che richiede attenzione, precisione e una fine abilità manuale. Non pensavo ad altro che a quei complimenti e sono salito sull’autobus automaticamente. Ho smesso di crogiolarmi nei ricordi dell’attività svolta quel mattino soltanto quando il mezzo pubblico ha fatto la sua consueta fermata davanti alla grande fabbrica di elettrodomestici De Longhi e durante il breve tempo della sosta ho pensato: «Non so se mi piacerebbe lavorare in questa fabbrica. Troppo grande e con troppi dipendenti, per il mio gusto.»
Arrivato a casa, ho abbandonato ogni pensiero, perché le vivande preparate quotidianamente da Tina, la mia mamma, meritano tutta l’attenzione possibile. Laura, mia sorella, stava già portando i piatti in tavola e io avevo un languorino che richiedeva di essere soddisfarlo adeguatamente.
Ad un certo punto del pranzo mio papà mi ha detto:
― Sai, Fabio, che avevo pensato di tirar fuori oggi le nostre biciclette e di andare a fare un giretto di allenamento per future scampagnate?
― Ci sto volentieri. ― ho accettato io ― Oggi è davvero una giornata stupenda.
Ma… perché mio papà mi sembrava perplesso?
Aveva diretto lo sguardo verso la finestra alle mie spalle e non aveva detto più niente in merito al programma ciclistico.
― E’ bel tempo, papà! E’ bel tempo! ― ho esclamato io, per fargli intendere che, se aveva cambiato idea, se per qualche motivo gli era passata la voglia di montare in sella, non doveva cercare scuse di tipo climatico. E, invece, ecco che lui si è messo a dire proprio così:
― E’ venuto su un nuvolone grosso e nero che non promette nulla di buono. Mi sembra perfino impossibile che si sia formato di botto in un cielo fino a poco fa del tutto terso. E’ nero in maniera pazzesca!
Io mi sono girato e ho guardato: in lontananza un ammasso nuvoloso stava effettivamente coprendo uno spazio di cielo. Abbastanza ampio. Era una nube molto strana, di un nero mai visto prima. Nel tratto, che sembrava quello che la innalzava al cielo, era di forma piuttosto affusolata, mentre più in alto si stava espandendo come una grossa macchia d’inchiostro su una carta assorbente di un bel azzurro chiaro.
Noi, tutti e quattro, ci siamo alzati da tavola e siamo usciti sul balcone. Su balconi e terrazze degli edifici limitrofi al nostro tante altre persone stavano osservando quella nube insolita e il loro vociferare giungeva a noi indistinto. I segni del loro gesticolare, però, esprimevano un interrogativo comprensibile: “Cosa significa questa nube?”
La signora del piano sopra al nostro, sporgendosi oltre la ringhiera e rivolgendosi a noi, ha detto:
― Cosa mai starà succedendo? Sembra un cumulo di fumo originato da un incendio grandioso. Non starà mica andando a fuoco mezza Treviso?! Voi, che ne dite?
Oramai, in ognuno s’era affermata la convinzione che non si trattasse di una nube di origine naturale, sebbene il fitto assiepamento degli edifici non permettesse l’individuazione del luogo da cui si stava sprigionando quel fumo preoccupante. Intanto, la luce del sole cominciava ad essere offuscata e tutte le cose stavano diventando tristi a causa di un grigiore malsano che andava ricoprendole interamente.
Poi il telefono s’è messo a squillare. Un amico di mio papà si stava premurando di fornire notizie precise: alle 13 e un quarto, dopo tre o quattro deflagrazioni, era scoppiato un tremendo incendio negli stabilimenti della De Longhi, fabbrica situata, rispetto alla nostra posizione, dall’altro capo della città. I vigili del fuoco si trovavano in grave difficoltà nel tentativo di domare lo spaventoso incendio che, mentre stava devastando officine e depositi, minacciava di propagarsi anche agli uffici direzionali. L’amico consigliava a mio papà di sintonizzare la tivù sul canale di “Antenna 3”, che aveva aperto un’edizione straordinaria per seguire l’evolversi della drammatica situazione.
― Santo cielo, Fabio! ― ha esclamato mia mamma, dopo aver appreso cos’era successo ― L’incendio è scoppiato non più di cinque minuti dopo che tu sei passato in autobus davanti alla fabbrica!
Accesa la televisione, anche in noi comincia a sorgere una certa preoccupazione. La giornalista, che sta conducendo la trasmissione straordinaria non nasconde affatto lo stato di apprensione che la rende visibilmente agitata. Apprendiamo che non si prevede di spegnere l’incendio in tempi brevi e che la nube è tossica. Le fiamme hanno bruciato tutto l’enorme quantitativo di plastica e vernici che si trovava nei depositi e la combustione ha sprigionato diossina. Il Prefetto, in collegamento telefonico, consiglia alla cittadinanza di non uscire dalle abitazioni e di serrare per bene porte e finestre. Le attività sportive all’aperto devono essere sospese immediatamente. Se per qualche impellenza si è costretti ad uscire da casa, è consigliabile indossare una mascherina o, in caso di emergenza, mettere un fazzoletto umido davanti a naso e bocca. In attesa di precisazioni, che verranno presto fornite dagli esami chimici in corso, la Protezione Civile ha organizzato dei posti di accoglienza per chi decidesse di abbandonare le proprie abitazioni, in quanto troppo vicine alla zona dell’incendio. Ancora non è possibile stabilire se ci siano vittime tra gli operai. Una dozzina di persone, tra le quali due vigili del fuoco, sono state ricoverate con sintomi di intossicazione lieve.
Alla tivù si susseguono le immagini dell’incendio che, per quanto riprese da una certa distanza, a me sembrano infernali. Ci saranno degli uomini là, in mezzo a quell’inferno che sembra sia stato scatenato da un semplice errore umano, durante un lavoro di ordinaria manutenzione della fabbrica? Ci saranno, anche questa volta, delle famiglie che, al posto di un sostegno per la loro vita, si vedranno recapitare a casa un cadavere che le getterà nella disperazione?
Io, più che guardare la trasmissione, l’ascolto, standomene accanto alla finestra con il naso incollato al vetro. La nube originata dall’attività umana si è estesa così tanto nel cielo da sembrare ora un telo funerario allargato per far sparire il sole. Il nero, oramai, è giunto sopra la nostra casa, sopra le nostre teste. Più che un telo, mi sembra un pavimento che si è screpolato vistosamente non appena è stato fatto e i raggi del sole, che a mala pena riescono a illuminare i bordi delle numerose screpolature, danno al cielo un aspetto di qualcosa che sta marcendo.
Ad un certo punto, mi sorprendo per ciò che sto dicendo a mio papà:
― La morte può arrivare così?
Lui smette di guardare la televisione e mi fissa. Sembra sorpreso.
― Col moltiplicarsi delle opere del progresso, anche la Morte ha reso più numeroso il suo abbigliamento per le grandi occasioni. Oggi siamo fortunati a trovarci in una giornata di alta pressione e solo leggermente ventilata. La nube di fumo va verso l’alto e in alto rimane. Non so cosa sarebbe successo, se si fosse dilatata a bassa quota, magari avvolgendo le abitazioni con l’impeto di un forte vento. Se adesso, per qualche causa improvvisa, la nube precipitasse qui…
Io mi domando se questa sia stata la prima volta che ho pensato alla morte e continuo a fissare il nero che non è più nube umana ma cielo. Dalla piazzetta, antistante casa nostra, alcune automobili vengono messe in moto e se ne vanno con il loro carico di timori. Noi, invece, rimaniamo chiusi nel nostro appartamento, nonostante che mia zia Silvana ci abbia telefonato per proporci di andare a dormire da lei a Valdobbiadene.
Chissà, dove andrà a posarsi tutto questo marciume che ha imbrattato il cielo? Sono curioso di vedere come si presenterà il cielo domani e sono sicuro che molte persone abbiano sperimentato una paura che, prima di questo drammatico incidente, non conoscevano. Una paura in più, anche in una cittadina tranquilla come Treviso.
Il telegiornale della sera comunica che per il momento non ci sono pericoli di intossicazione acuta, tuttavia, viene precisato, a lungo termine non si possono escludere spiacevoli conseguenze per la salute. La diossina è altamente cancerogena e quindi viene consigliato di prendere delle precauzioni. Ad esempio: non frequentare i parchi per un buon periodo di tempo. Poveri bambini! Già scriteriatamente privati di spazi naturali su cui giocare liberamente.
Quando scende la notte, non vedo stelle in cielo e neanche la luna. Speriamo che domani riappaiano per darci conforto, sebbene poco possano fare contro chi sta riducendo la Terra alla stregua di una “serra infetta”.
Fabio Lombardi
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