Cronache da un altro mondo

Disquisizioni e orientamenti su questioni esistenziali, sia spirituali che materiali. In gran parte espressioni originate dal genuino punto di vista di un ragazzo particolare e interpretate fedelmente da chi ha avuto modo di conoscere profondamente le sue qualità speciali e si è assunto l'impegno d'assisterlo con precisione nello sviluppo e nell'esposizione delle sue idee e sentimenti, confidando in un esito piacevole e fruttuoso. [Leggere "PRESENTAZIONE" nell'archivio - 12/06/2006]

9.9.06

XIII° - SEGUITO di "IL DESIDERIO DI UN PADRE"






- Nebulosa gassosa Messier 17 nel Sagittario -
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IL DESIDERIO DI UN PADRE
- seconda parte -
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Osservo il cielo e penso che hanno consumato la Terra ed ora vorrebbero consumare le stelle. Per preservare l'integro splendore delle stelle, auguriamoci che quelle di certe bandiere si spengano al più presto.
Ad un tratto la mia mente mi suggerisce una similitudine vaga, che avverto come pertinente all'analisi particolare che sto portando avanti, sebbene non ne intuisca ancora il senso più profondo. Penso alle stelle. Alle giganti, supergiganti e alle nane. Il pensiero si sofferma sulle nane bianche: debole è la loro luminosità e altissima la loro temperatura. Certo, si potrà anche dire che sfigurano al confronto con lo splendore delle giganti, ma, comunque, anch'esse sono stelle. L'appartenenza a questa precisa categoria di corpi celesti non può essere loro negata o svalorizzata.
Capisco, ma la mia mente, o chi per essa, vuol dirmi qualcosa di più ed io, istantaneamente, ricordo, reminescenze scolastiche, che le stelle giganti hanno vita relativamente breve e sono destinate ad esplodere. Cosa accade ad esplosione avvenuta? Si forma una nana bianca, che la si può immaginare come l'essenza di valore dell'enorme massa esplosa. E ancora si può immaginare che il resto della massa, disintegratosi, fosse "superfluo" o, al massimo, "temporaneamente complementare" a tutto quanto ha concorso al raggiungimento di un traguardo più importante, alla formazione di "qualcosa di più adatto ad esistere con significato e funzione determinati". Il requisito di "essere più adatto, e quindi più necessario, all'Esistenza, lo si può liberamente arguire dal fatto che il "tempo di vita" delle nane bianche è in assoluto più lungo di quello di tutte le altre stelle.
Una volta, un mio amico mi domandò:
-Ma... in cosa consistono gli "attributi di valore" di una nana bianca che si trova lì, dov'è, per caso? Quali importanti "influenze" esercita? Insomma: qual è il suo "ruolo" rispetto al Tutto? Un "ruolo", intendo dire, che possa essere ritenuto "indispensabile" al Tutto.
-Non conosco una buona risposta alla tua domanda e neppure la scienza è riuscita ad averne una. Come non ne ha e mai ne avrà per qualsiasi interrogativo veramente importante. Comunque, quel che mi sento di dirti con sicurezza sufficiente consiste in due precisazioni: prima, ciò che all'uomo appare come casualità di uno stato di essere, quand'è "Casualità" Onnisciente e Onnipotente diventa "Disposizione Infinita"; seconda, non credo che certe conoscenze siano necessarie alle Finalità proprie dell'esistenza umana. Per essere più chiaro, ti faccio un esempio, il più semplice a riguardo: d'importanza fondamentale per l'esistenza di ogni uomo è che il Sole sorga e tramonti, mentre fondamentale non lo è affatto sapere che la Terra gira intorno al Sole, dando tuttavia l'impressione che sia quest'ultimo ad essere in movimento intorno alla Terra. E ti dirò di più: nel Creato è presente una molteplicità di "finzioni" che vanno tutte rispettate. Sono "finzioni" poste in essere, per l'appunto, con Onniscienza e Onnipotenza e, se così è stato stabilito che debbano apparire le Cose per il buon senso e la buona riuscita dell'Esistenza, indagare con lo scopo di ripudiare codeste "finzioni" può condurre soltanto ad errare ossessivamente per lande fredde e disadorne, ove lo stato di pericolo grave è permanente.
Giacomo Leopardi, con tono pacato, proprio della sua natura, ma al contempo con sicurezza decisa, illustra chiaramente quale sia il nocciolo dell'ennesimo problema originato dalla civiltà ideata dagli esseri umani con 46 cromosomi. Un problema che oggi è tra i più angosciosi ed esige una soluzione urgentissima, volendo sinceramente salvare quanto di salvabile è rimasto. Una soluzione che può essere trovata soltanto vagliando seriamente quali strade si possano percorrere per "tornare indietro" in tutta fretta. Per "regredire", piuttosto che "progredire" secondo le intenzioni dei folli che, in tempi relativamente brevi, hanno ammorbato il mondo intero.
(1)"Lasciamo stare che la civiltà fa gli uomini tutti simili gli uni agli altri, togliendo e perseguitando la singolarità, e distribuendo i lumi e le qualità buone non accresce la massa, ma la sparte, sì che ridotta in piccole porzioni fa piccoli effetti."
Quella, delle "classi sociali", delle "specializzazioni professionali" e dei "ruoli", tutte realizzazioni impastate con doveri, esigenze e punti di vista diversificati e diversificanti, e tutte naturalmente incompatibili rispetto alla questione esistenziale dell'Uomo, è la strategia regina con la quale i governanti si sono sempre garantiti l'immunità e l'incolumità della loro pellaccia o, più precisamente, con la quale hanno evitato l'insorgere di una qualche reazione compatta e risoluta ("grandi effetti", pericolosissimi per loro, che sanno controllare alla perfezione soltanto i "piccoli effetti") alle loro tante scelleratezze razionalizzate.
"Quindi l'avarizia, la lussuria (che sembra l'unico e ultimo "divertimento" rimasto all'uomo) e l'ignavia e da queste la barbarie che vien dopo l'eccesso d'incivilimento. E però non c'è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono la barbarie (e che altro è la scienza ai nostri giorni?! Quella scienza che si è permessa di oltraggiare Onniscienza e Onnipotenza spegnendo le Illusioni che Esse avevano posto in origine con Cognizione Esistenziale Suprema?!), e un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo, come sognano i filosofi del nostro tempo, ma barbaro: al che noi c'incamminiamo a grandi passi e quasi siamo arrivati. La più gran nemica della barbarie non è la ragione ma la Natura (seguita però a dovere): essa ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto giusto fanno un popolo veramente civile. Le illusioni sono in natura inerenti al sistema del mondo, tolte via affatto o quasi affatto, l'uomo è snaturato: ogni popolo diventa snaturato, non potendo più correre le cose come vuole il sistema del mondo. La ragione è un lume: la Natura vuol essere illuminata dalla ragione, non incendiata."
Grandioso Leopardi! Che linda esposizione di pensiero! Semplice, lineare e inattaccabile dalle confutazioni di chicchessia. E il premio Nobel Bertrand Russell, che il gran saggio Fromm descrive come "uno dei pochi che la situazione storica dell'Umanità ha trasformato da maestri in profeti", esprime il medesimo concetto con queste parole: "Se la scienza sottrae alla vita i momenti ai quali la vita stessa deve i propri valori, essa non meriterà ammirazione, per quanto intelligentemente e abilmente possa condurre gli uomini lungo la strada che porta alla disperazione." Nietzsche, invece, che dall'osservazione è solito trarre delle deduzioni ponderate per stabilire dei punti fermi a cui ancorare una ragione arditamente intenzionata a perlustrare la mostruosa entità dei danni provocati nell'uomo dal Male, dall'Entità avversa alla Creazione, formula questo appunto: (2)"Il fatto che la scienza sia possibile nel senso in cui oggi viene esercitata, dimostra che tutti gli istinti elementari, istinti di difesa legittima e di protezione della vita, non funzionano più." Angosciante, finanche terrificante, comprendere appieno quanta verità vi sia in questa modica quantità di parole, quanto preciso riscontro esse trovino nella realtà. Dedicare ad esse due volumi zeppi di meditazioni, non risulterebbe affatto come una manifestazione di fecondità pletorica. Tantomeno, se non si trascura di considerare che da quando queste parole sono state scritte è trascorso del tempo, durante il quale la realtà è peggiorata così tanto che si stenta a comprendere come ciò sia potuto succedere al cospetto dell'intelligenza.
Rivisitato Nietzsche, il mio pensiero, dalle stelle ritorna all'uomo, non trascurando di continuare a intravvederlo, in secondo piano, anche nella sua veste di genitore.
Dedito, oramai, esclusivamente allo shopping, sia per procacciarsi il cibo, consuetudine di per se stessa lentamente disgregante, sia per tutto il resto, necessario o superfluo che esso sia, "l'uomo - per dirla ancora con Nietzsche - ha incredibilmente perduto dignità ai suoi propri occhi". L'Uomo non può più trovare motivi di autostima osservando il proprio stato e il proprio operato, perché, se è vero che le cose, i vegetali e gli animali sono costretti a subire il devastante dominio delle macchine fabbricate dall'intelligenza dell'Uomo, è ancor più vero che l'Uomo subisce per primo il dominio delle macchine costruite proprio da lui stesso. Nel 1914 Albert Caraco scriveva nel suo Breviario del caos (libro da acquistare di corsa, se non lo si ha già inserito nella propria libreria, e da capire altrettanto in fretta): (3)"La bella fiducia dei nostri padri in un progresso illimitato, congiuntamente a una vita sempre più umana, è dunque svanita: noi giriamo in tondo e non riusciamo più nemmeno a capire le nostre opere. Il che significa che le nostre opere ci superano e che il mondo, trasformato dall'uomo, sfugge un'altra volta alla sua intelligenza." E un uomo, la cui esistenza può essere dominata, determinata, da delle sue stesse costruzioni, non si permetta di sentirsi grande né s'azzardi ad imbastire ragionamenti metafisici. Ed infatti, essendo solamente un "automa addetto alle macchine", nella realtà ha perfino delegato, con rassegnazione spiritualmente mortale, a delle astrazioni sociali ogni decisione sulla propria condotta esistenziale.
"Siamo ciechi per dovere e ci affidiamo all'ordine, più cieco di noi e persuaso di essere chiaroveggente: è un raggiro a partita doppia e oramai nessuno sfugge al fallimento che tale operazione prepara in egual misura a tutti i popoli." Parola di Albert Caraco. "Oggi siamo rimasti ancora talmente ciechi da nutrire un vero amore per coloro che persistono a fuorviarci, continueremo a perdonarli nonostante i loro crimini e i loro errori, aderiamo immancabilmente al loro insegnamento assurdo e marciamo sotto il loro bastone come se essi fossero pastori e noi spregevoli animali. Eppure ci condurranno al precipizio, questi uomini infallibili che noi reputiamo divini, da generazioni prendono abbagli e noi ci rifiutiamo di capirlo, sacrifichiamo loro i nostri interessi e perfino il nostro onore, presto immoleremo loro il nostro futuro, la Storia conosce poche follie così accese."
In questo stato di degradazione della propria dignità, nella "forza di resistenza" dell'uomo avviene una "rottura" e, attraverso questa breccia, alla dignità subentrano senza sforzo, si potrebbe dire "istituzionalmente", due miserie morbose e seriamente epidemiche che Nietzsche identifica nelle loro precise sembianze: "la rassegnazione e l'umiltà di fronte al nemico". Un nemico che l'uomo, che ha delegato ad altri pure la difesa di se stesso, non sa più riconoscere. Eppure si tratta di un nemico tremendo che da molto tempo sta mietendo vittime a iosa, ovunque faccia sventolare la sua bandiera vittoriosa, ed è viepiù intenzionato a consolidare, a rendere angosciosamente stabile, uno stato esistenziale universale che dovrebbe allarmare molto ogni spirito ancora sano.
Risulta piuttosto incomprensibile che l'intelligenza possa essere valutata come un qualcosa degno di magnificazione, considerato che l'uomo "civile", cioè colui che ritiene di aver sviluppato in maniera ottimale quella sua presunta qualità che ha chiamato intelligenza, si è ridotto a vivere, si fa per dire, in uno stato individuale e ambientale del tipo sinteticamente così ben descritto da Norman O. Brown, in completa sintonia col pensiero di Hegel: "L'essenza della società consiste nella repressione dell'individuo e l'essenza dell'individuo consiste nella repressione di se stesso." Uno stato esistenziale davvero esaltante! Che annulla completamente ogni valore dell'Esistenza, cioè dell'unica, irripetibile, occasione d'immortalità data allo Spirito con le modalità di esperienza nella Materia, nella Carne. "Ancora oggi l'Umanità crea la storia senza essere assolutamente consapevole di ciò che vuole realmente o di quali condizioni sarebbero necessarie per porre fine alla sua infelicità; di fatto, ciò che sta facendo sembra che la renda sempre più infelice, e che tale infelicità la chiami progresso."
Lo stesso Freud, che pur sosteneva l'efficacia sociale della "sublimazione", cioè della capacità, tra l'altro per niente collettiva e tantomeno universale, d'incanalare verso altre destinazioni l'energia sprigionata dalle pulsioni orientate verso realizzazioni non tollerate dalla società, ha infine dovuto convenire "che vi è un limite al di là del quale la costituzione dell'uomo non può adeguarsi alla richiesta repressiva della civiltà", alle pressanti pretese del nemico, di un nemico che, imponendo un arbitrario valore determinante a delle parole come "civiltà" e "progresso", che in ogni caso restano soltanto termini linguistici di cui nessuno saprebbe delucidare con precisione il senso, sviluppa unicamente la "repressione".
Comunque, anche senza arrivare al limite, sebbene che, da quanto vedo oggidì, mi sembri che ogni limite decente sia stato abbondantemente oltrepassato, quale senso esistenziale può essere fornito da una consuetudine di vita che tende a minare la stessa costituzione psicosomatica di ogni individuo? Nessuno, ovviamente. E, colmo dei colmi di certo non collegabile all'intelligenza, questa perniciosa mancanza di senso fa sì che negli uomini tutti sia presente un potente impulso ad evadere dalla consuetudine di vita che essi stessi si sono inventati o hanno accettato di buon grado. Taluni, una moltitudine in aumento continuo, pur di poter continuare a sperare che una possibilità di evasione ci sia effettivamente, affidano spirito e corpo alla droga e all'alcool. E qui non è affatto fuori luogo rammentare che, persuadere un down a drogarsi o a bere un sorso di alcool è impresa impossibile. Essi sanno istintivamente, grazie a un istinto forte non corrotto dalla tradizione, che tentare di evadere da una prigione opprimente infilandosi in un tunnel ancor più angusto e privo di sbocco, è una mossa poco astuta, stupida, molto cretina, ancorché dannosa. Mi sembra che dovrebbe essere interesse doveroso di chiunque meditare su codesta questione nel suo complesso, fino a giungere a delle buone conclusioni che modellino dei concetti precisi su cui lo spirito possa fare affidamento, in quanto si è riusciti a formularli senza farsi contagiare e fuorviare dalla mistificazione universale in atto e per la conferma della loro validità si è saputo raffrontarli diligentemente con i Valori Naturali Assoluti. Meditazione da iniziare, magari, nel momento stesso in cui si ha appena afferato la familiare confezione di un psicofarmaco. Ci sono buone probabilità che, dopo un breve lasso di tempo dedicato a una buona pratica meditativa, non ci sia più bisogno di presentarsi in farmacia con la solita ricetta, per ottenere un certo tipo di consolazione effimera.
"Di fatto, - continua Freud - l'uomo primitivo stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale." E io evidenzio, per chi è avvezzo a capire molto anche da poche parole, che l'uomo primitivo non è venuto al mondo da "luoghi" diversi da "quello" da cui hanno continuato a provenire tutti gli altri uomini. "L'uomo civile ha barattato buona parte della sua possibilità di felicità per un po' di sicurezza", ed ora sta male, molto male, tuttavia non sembra intenzionato a ravvedersi. Urla in maniera ripetitiva, ossessiva, ma non per invocare la Libertà e la Felicità, intese come pienezza della vita veramente vissuta, bensì per pretendere maggior protezione per la sua esistenza da malato cronico. Ben poca sicurezza ha ricevuto in cambio di ciò che ha perso e, più ne richiederà, sempre meno ne otterrà, dato che la sicurezza non potrà mai essere cosa di questo mondo, in quanto, se ci fosse, invaliderebbe il senso stesso dell'Esistenza, che si rapporta in tutto all'ineluttabilità della Morte. Un concetto facile da comprendere, anche nel suo enunciato più semplice, tuttavia le masse confuse, invece di riflettere, magari proprio sulle seguenti parole di Spinoza: "l'uomo, per essere uomo, per avere la coscienza, è già, rispetto all'asino o al gambero, un animale malato. La coscienza è malattia.", non smettono di pretendere, a gran voce, sempre maggior sicurezza, e a qualsiasi costo, e per ottenerla delegano viepiù ad altri quella vigilanza che, invece, dovrebbe essere capacità individuale in perpetuo sviluppo e perfezionamento. Ma questa delega, che si dilata sempre più smodatamente ed è del tutto avversa all'Ordine delle Cose, in principio consigliata da una paura che non si è saputo dominare, lungi dall'accrescere la sicurezza ha sortito una molteplicità di effetti maligni che sono ricaduti tutti proprio sulle spalle di chi ha praticamente accettato i principi sostanziali contemplati nella delega. Senza approfondire troppo l'argomento in questo contesto di riflessioni sbrigliate, menziono, come guaio conseguente alla delega, solamente il fatto che gli addetti alla vigilanza e alla protezione sono uomini, più o meno come quelli che compongono le masse, e pertanto inclini a prendersi cura in primo luogo di se stessi e dei propri interessi (non possono snaturarsi fino al punto di non occuparsi di ciò con priorità) e la posizione sociale, in cui si trovano grazie alla delega, agevola non poco il loro compito e invoglia parecchio a svolgerlo col maggior profitto possibile, il che mal s'accorda col concetto di protezione rivolta alla collettività. La loro opera di salvaguardia, assicurata alle masse, quindi, si riduce in pratica alla sola protezione del potere che li mantiene. Per il resto, ci si affida più che altro all'azione deterrente della punizione e chi vuole uccidere vi riesce con discreta facilità. Con molta più facilità di quanta se ne potrebbe trovare in un mondo abitato da individui naturali, ognuno avvezzo a provvedere da sé alla propria sicurezza. Con sensi ed istinti allenati, non appassiti nel disuso. Le norme di convivenza sociale, invece e per giunta, permettono a qualsiasi tipo di malintenzionato di avvicinarsi, in tutta tranquillità e con tutta la sua pericolosità, alla vittima da lui prescelta e senza che quest'ultima abbia la possibilità reale di premunirsi in qualche modo. Inoltre, appare chiaro che più viene ricercata la sicurezza nell'ambito di una aggregazione retta da norme, regole e leggi, che esigono la presenza di controllori la cui quantità sia opportunamente in continuo aumento ("chi controlla i controllori?" Questo è il problema dei problemi! Insolubile!), più lievita la pericolosità del vivere quotidiano. Possono considerarsi "normali", nel più naturale senso della parola, tutti coloro i quali invocano uno stato di cose di questo genere?! Eppure dovrebbero essersi accorti da un bel pezzo di tempo che anche nel quotidiano succede ciò che avviene nel campo scientifico e cioè, come chiarisce Fromm, "una volta risolto un problema, il risultato non è che lo scienziato sia più sicuro o più certo, ma che dieci altri problemi nuovi nascono al posto del problema risolto." Ma nella vita di tutti i giorni si verifica un fatto ben più grave, che va oltre ogni più pavida preoccupazione per la sicurezza. La decuplicazione, o più, dei problemi e il tentativo di risolverli da parte di un potere principalmente intento alla propria conservazione, porta inesorabilmente allo schiacciamento e quindi alla dissoluzione della dignità umana. "Meglio lasciarsi derubare che avere intorno a sé degli spaventapasseri.", ha detto una volta Nietzsche, ma ritengo che questo sia un concetto di dignità troppo profondo, troppo intelligente, per chi ha fatto dell'avere una ragione di vita. Nel proprio codice esistenziale egli senz'altro non contempla il giusto concetto di "avere dignità". Egli è fermamente, intimamente, convinto che la dignità gli derivi da quanto possiede. Quanto si sbaglia! E se ne accorgerà. Per la "frazione di un attimo", mentre la sua individualità si dissolverà per sempre, ma se ne accorgerà. E, in quell'attimo, avrà come unica compagna una sorta di disperazione inconcepibile per i viventi. E, di botto, sarà come non fosse mai nato.
Certe norme, in verità, hanno delle finalità sottaciute che vanno ben oltre una onesta preoccupazione per la convivenza "civile". Per chi è avvezzo, a risalire dagli effetti reali alle parole che li hanno originati, non è problematico captare il sussurrio sotterraneo, assolutamente non ufficiale, di talune norme, regole, leggi. Alcune neanche sussurrano, per chi sa udire sembra che gridino: "Sudditi, non potete diventare tanto forti e accorti da essere in grado di difendervi autonomamente, perché lo scontento potrebbe farvi venire il ghiribizzo di volgere la potenza acquisita contro chi vi comanda. Questa è una regola importantissima di "civile" condotta sociale. Siete entrati nel castello turrito per farvi proteggere, accettate le regole del castello senza fiatare e i nostri armigeri saranno presso di voi su tutto il territorio dominato dai signori del castello." Ma, se qualche avo è entrato più o meno volontariamente nel castello, sospinto dalla paura incalzante, ciò non vincola affatto i suoi discendenti a fare altrettanto, caro Rousseau! Jean-Jacques: tutto sommato un idealista che auspicava uno stretto connubio tra società e Natura, senza comprendere la profondità dell'antitesi che rende irrealizzabile codesta unione o fusione che dir si voglia. Egli, dopo aver scritto pagine su pagine sulla bontà del "Contratto sociale", si dimostra, in fondo, puro quanto basta a sentirsi in obbligo morale (potenza della Moralità Naturale! Che nulla ha a che fare con la "moralità sociale". Occulta, silenziosa, ma sempre presente negli animi integri o non del tutto corrotti.) di aggiungere una breve postilla che, in sostanza e di fatto, invalida tutto ciò che egli ha sostenuto in precedenza. Una postilla parecchio significante, questa: "Sotto i cattivi governi..." E dove vai a trovarli, quelli buoni?! Cribbio! Stiamo parlando di uomini a 46 cromosomi, non di angeli senza corpo! Prima di tutto viene il loro interesse, poi quello dei parenti, quello degli amici ed infine il più pernicioso: quello degli amici degli amici. Un certo interesse, e fiumi di denaro "pubblico" e di agevolazioni varie, viene indirizzato anche verso i "pilastri sociali" dell'economia, in quanto producono ricchezza, ma tutti abbiamo visto di quali malefatte siano capaci codesti "pilastri" e in che "buchi neri" vada a finire la maggior parte della ricchezza che producono sfruttando il lavoro degli zeri. "Pilastri sociali", spesso additati come fulgido esempio di rispettabile affermazione in seno alla comunità, che, fin quando ci riescono, incamerano quattrini spolpando ogni sorta di risorse pubbliche e poi falliscono bellamente o, peggio, attuano quanto avevano programmato mentre la cassaintegrazione li assisteva nello sfoltimento degli zeri, in esubero secondo le loro losche intenzioni egoistiche. Talvolta, ma solo molto raramente, certe intenzioni portano alcuni di loro a subire condanne che variano dai quattro a i sei anni di reclusione, ma non si riesce mai a capire in che modo e dove scontino il periodo di detenzione che è stato loro comminato. In tempo brevissimo riprendono ad aggirarsi, benacetti, negli strati "alti", "buoni", della società e ad esternare boriosamente, e seriamente ascoltati, le loro opinioni su tutto. Opinioni spesso richieste e divulgate con sussiego dai media. E mai che ci sia qualcuno che s'azzardi a dire: -Signor pregiudicato, mi parli un po' di questo e quest'altro.- E i tanti pregiudicati che si trovano in parlamento? Onorevoli! Un povero cristo qualsiasi, invece, dopo due anni di carcere stenta a trovare accettazione perfino presso i suoi stessi famigliari e, se qualche media s'interessa a lui, è, esclusivamente, per via della sua qualifica di pregiudicato. In questo stato di cose, sorprende davvero tanto che costui riprenda a delinquere, ammesso e non concesso che in precedenza abbia commesso un reato? I giornali traboccano quotidianamente di cronache riguardanti le tante scelleratezze economiche compiute dai "pilastri della società" ed è assai duro, difficilmente sopportabile, aver coscienza che tutta l'immondizia che affiora è soltanto, come si suol dire, la "punta di un iceberg" immenso, che neanche si riesce a ben immaginare quanto sia espanso nei cupi abissi dell'economia di una società civile. Si deduce approssimativamente la sua grandezza complessiva da quanto emerge casualmente, ma sono deduzioni che scuotono troppo violentemente la materia grigia di chi non ce la fa o stenta ad "arrivare a fine mese". E il popolo? E la "somma degli zeri"? Un'entità di consistenza pressoché astratta, che a scadenze fisse va vezzeggiata e lusingata affinché partecipi di buon grado al trito giochetto finalizzato con scaltrezza alla legittimazione del potere. Un giochetto con esito piuttosto bizzarro, se vogliamo considerarne un particolare per niente trascurabile, sebbene sia considerato ininfluente dai fruitori dell'esito. Dopo ogni elezione si verifica puntualmente che il partito di maggioranza relativa è quello formato dalla coalizione dei non votanti associati a tutti quelli che imbucano nell'urna schede bianche o rese nulle. Il che, secondo regole correttamente democratiche, rende esplicito il fatto che nessun governo è sostanzialmente legittimato a governare. Certamente no, almeno, con quegli stessi soggetti che sono stati sottoposti alla preferenza degli elettori e sono stati rifiutati. Nonostante ciò, la sfrontatezza politica non si cura minimamente di cambiare il processo di "investitura" che riesce a presentare all'elettorato soltanto soggetti che vengono scartati dalla maggioranza relativa stabilita dagli elettori. E tra un giochetto e l'altro, se il popolo si lamenta pubblicamente con toni accesi, va randellato di santa ragione. "Un comportamento "civile", devono mantenere gli zeri! Che diamine! Per manifestare le loro lamentele devono servirsi unicamente del dialogo pacato, così noi capi, nel frattempo che loro dialogano con i nostri rappresentanti, possiamo realizzare bellamente tutto ciò che vogliamo. E poi: quando una cosa è fatta, è fatta. Nessuno zero avrà l'ardire di distruggerla. (4)"Sotto i cattivi governi questa uguaglianza sociale non è che apparente e illusoria; essa non serve che a mantenere il povero nella sua miseria e il ricco nella sua usurpazione. Di fatto, le leggi sono sempre utili a coloro che possiedono e dannose per quelli che non hanno niente; da ciò deriva che lo stato sociale è vantaggioso agli uomini solo in quanto essi abbiano tutti qualche cosa e nessuno di loro abbia troppo."
E quando mai degli esseri umani a 46 cromosomi, pervenuti ai posti di comando, s'accontenterebbero di avere tanto quanto i loro sottoposti?! Abbiamo assistito perfino al fallimento colossale del comunismo, per il fatto che, pur essendo in teoria una dottrina ineccepibile per una società (ma per nient'altro), ha dovuto per forza fare i conti con l'essere messa in pratica da degli uomini. Conti che non tornano mai, specialmente per quanto riguarda il potere in sé, ma non credo che Rousseau sia arrivato a pensare così tanto da valutare per bene anche quest'aspetto, determinante per la strutturazione di un concetto chiaro e fermo sull'irraggiungibile uguaglianza sociale. Perfino un usciere, in una società che con la sua struttura inibisce ogni gratificazione derivante dall'Essere, cerca in ogni modo di esercitare un po' di potere su qualcuno per dare un misero senso posticcio alla sua esistenza. E che dire degli addetti alla giustizia sociale, che nell'assetto di un'aggregazione ci debbono essere per forza di cose?! Mi succede spesso d'interrogarmi su quali pensieri intimi circolino sotto le toghe che amministrano le leggi che sono sempre utili a coloro che possiedono e dannose per quelli che non hanno niente e, quando termino di formulare ipotesi, mi si presenta sempre la medesima domanda retorica: "Alla fine dei loro giorni, non pretenderanno mica il paradiso?!" A meno che non sia motivo di merito spirituale strappare i figli agl'indigenti, invece di eliminare l'indigenza, o di condannare chi ruba per fame, dopo che è stato ridotto alla fame. C'è una realtà naturale di valore e significato immensi che cozza violentemente contro l'istituzione della giustizia sociale. In natura ogni nato si presenta al mondo come destinatario della seguente garanzia, indissolubilmente legata all'involontarietà della sua stessa nascita: ha il diritto naturale di avere a disposizione ("gratuitamente", occorre precisare, specialmente al giorno d'oggi) aria pulita, acqua incontaminata e terreno sano da cui trarre il proprio sostentamento. Se un individuo viene privato di tutto ciò, che gli è stato garantito da un'Entità di superiorità incommensurabile rispetto all'uomo, se viene derubato di tutto ciò da altri uomini, che si comportano secondo un concetto di esistenza profondamente pervertito nel corso dei secoli, come ci si può permettere di giudicare i comportamenti suoi, che sono tutti fatalmente conseguenti a questa obbrobriosa privazione? Un diritto di giudizio conferito da uno Stato? Non c'è nulla di sacro nel concetto di Stato. Anzi! E' un concetto sorto da feroci massacri per la spartizione della Terra.
E, parlando di Stato, val la pena di puntualizzare che, per chi ne è stato l'autore, neanche anteporre dei semplici rapporti diplomatici tra Nazioni alla scelta affettiva manifestata con intensità estrema da un'orfana di dieci anni, mi sembra un atto che peserà sul piatto buono della bilancia alla fine dei giorni terreni di costui. "Ho soltanto applicato le leggi dello Stato.", non è una scusante accettata nell'Universo Spirituale, che considera esclusivamente l'individualità di pensieri ed azioni. Qualcosa di simile, sebbene lontanamente, a quanto intuito dalla stessa Giurisprudenza nel contemplare "l'individualità penale", a cui è collegata l'aggravante, si badi bene: l'aggravante!, della aggregazione, dell'associazione. Ma poi, quando si tratta di giustificare lo Stato e le sue istituzioni, la Giurisprudenza ne prevede a iosa di "giustificazioni" e di "attenuanti". Ordini e comandi, superiori e subalterni, obblighi e doveri, e via così per una lunga sfilza. Invece, per ciò che conta nell'Universo Spirituale, esiste una sola parola, che annulla ogni pretesto giustificativo: Disubbidienza.
(5)"Per secoli re, sacerdoti, signori feudali, magnati dell'industria e genitori hanno proclamato che l'obbedienza è una virtù e che la disobbedienza è un vizio. - così Erich Fromm, uno dei grandi saggi del secolo scorso, inizia la sua ineccepibile ed esaustiva dissertazione sulla "Disobbedienza" - La storia dell'Umanità è cominciata con un atto di disobbedienza, ed è tutt'altro che improbabile che si concluda con un atto di obbedienza. Se l'Umanità si suiciderà, sarà perché si obbedirà a coloro che ordineranno di premere i fatali bottoni; perché si obbedirà alle arcaiche passioni della paura, dell'odio, della brama di possesso; perché si obbedirà agli obsoleti cliché della sovranità statale e dell'onore nazionale." ... "Qualora i principi ai quali si obbedisce e quelli ai quali si disobbedisce siano inconciliabili, un atto di obbedienza a un principio costituirà di necessità un atto di disobbedienza al suo opposto, e viceversa. Antigone costituisce l'esempio classico di questa dicotomia. Obbedendo alle inumane leggi dello Stato, Antigone per forza di cose disobbedirebbe alle leggi dell'umanità; obbedendo a queste, non può non disobbedire a quelle."
E da qui in poi il discorso, assieme alla lista dei demeriti dei "normodotati, s'ingrossa troppo per le mie intenzioni attuali. Comunque, ricordo che il mio pensiero, nella lunga nottata iniziata il 10 agosto, è ritornato a visitare Fromm. Vedremo se ci ritornerò anche scrivendo quanto mi ricordo delle mie meditazioni.
Quanti valori artificiali sono stati anteposti ai Valori Naturali da parte dell'uomo "normodotato"! Così tanti, che l'essere umano ha finito con l'ingannare se stesso completamente. Giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Un down, in nessun caso si farebbe afferrare da una simile smania di stravolgimento. Perché non è abbastanza intelligente? Oppure perché rappresenta un aspetto essenziale dell'esistere, che "l'intelligente sofisticato" non riesce più a vedere? Vogliamo suppore che sia perché in lui non c'è alcun desiderio di prevaricazione e quindi il potere non gl'interessa? Servendoci di una perentoria locuzione di Nietzsche, vogliamo ricordare, e tener ben presente in noi, sempre, che "i valori e le loro variazioni stanno in rapporto con l'aumento di potenza di coloro che fissano i valori"? Mi sembra estremamente importante, vitale, non incorrere in certe dimenticanze o amnesie. Altrimenti, come si fa a districarsi nel groviglio fitto di fole e panzane in cui ci hanno deposto alla nascita? Quindi, vi prego, vi supplico, non scordate mai questa locuzione, se amate la Libertà:"i valori e le loro variazioni stanno in rapporto con l'aumento di potenza di coloro che fissano i valori."
Affinché non vi siano fraintendimenti, specifico che non intendo dire che dovrebbe essere conferita ai soggetti down, piuttosto che ai "normodotati", la prerogativa d'impartire le direttive per una soddisfacente organizzazione del mondo. Affermo, molto più semplicemente, molto più naturalmente, che nessun uomo nato da donna può dare direttive di vita ad un altro uomo nato da donna. E in questo scritto, se si vuole interpretare la mia lunga meditazione da un punto di vista superficiale, si può dire che io stia facendo una cernita, sbrigativa e incompleta, tra i tanti mali che si sono scatenati in seno all'Umanità dal momento in cui s'è voluta staccare dal Contesto Naturale, al quale è stata indissolubilmente legata da Onniscienza e Onnipotenza. Ancorata saldamente da Onniscienza e Onnipotenza, non da una qual si voglia forma d'intelligenza umana, perciò, con immediatezza avrebbe dovuto essere facilmente prevedibile fin da principio, se ci fosse nell'uomo qualcosa che almeno abbia un po' a che fare con il concetto astratto d'intelligenza, che dal tentativo di frattura non sarebbero potuti derivarne che guai. Guai grossi e tanta infelicità. Non ricordo più quando, dove e da chi ho sentito pronunciare la seguente frase che giudico, per esperienza diretta, quasi del tutto precisa: "La maggioranza degli uomini vive in silenziosa disperazione." Quasi, del tutto esatta, perché, secondo me, in realtà la vera maggioranza è un'altra, formata da quelli che neanche si disperano, perché neanche sanno cosa significhi vivere, nel senso di esistere con delle Finalità certe. Maggioranza, che quotidianamente mette in scena uno spettacolo impressionante. E in effetti, se vogliamo essere dei critici attenti, quel che impressiona di più anche nel breve scritto di Rousseau, è la presenza solitaria dell'avere, che denota una noncuranza totale nei confronti dell'essere. Altre esigenze ha l'uomo, quello vero, genuino e veramente vivo! Ben diverse dall'avere qualche cosa! E qualsiasi forma di governo dell'uomo sull'uomo le soffoca con una stretta mortale. Immancabilmente! Non s'è ancora verificata un'eccezione in tutta la Storia dell'Uomo. Dal momento della prima aggregazione organizzata in poi.
Che pena! Che sbalorditiva limitatezza nella comprensione delle Cose! Di tal fatta sono i padri del "Contratto sociale"! Tali e quali ai tanti maestri che ci sono stati assegnati per indicarci la strada da percorrere. (sic!) E, come effetto di queste molteplici indicazioni... quanti uomini buttati via!
Povero figlio mio! In che mondo pessimo ti ho fatto venire! Come farai a cavartela in un ambiente dominato da un'Intelligenza che produce Falsità e Ipocrisia fino al limite dell'inverosimile, e sembra intenzionata a spingersi oltre, mentre quando si tratta di riprendere un minimo di contatto con la Verità s'abbandona completamente all'Ignavia? Della Naturalezza, poi, non ce più nemmeno il ricordo. Scomparsa dalla memoria. E io son qui ad impegnarmi seriamente, con la mente sollecitata dal cuore, per far capire che l'uomo a 46 cromosomi una cosa, che sia una, di giusta e buona non l'ha mai fatta. Sicuramente no dal momento in cui ha smesso di fare esclusivamente secondo la forza e la capacità del singolo e ha iniziato a produrre avvalendosi di una forza nuova, mal sopportata (fino a quando?) dalla Natura, scaturita da aggregazioni viepiù numerose e frenetiche. Ancora una volta per far intendere molto con poche parole, dico che perfino una delle più semplici, e apparentemente innocue, invenzioni dell'uomo, la bicicletta, nuoce alla spina dorsale e agli organi genitali. E, se il "fare" si è dimostrato deleterio tanto quanto ognuno può oggi constatare con i propri occhi, il "pensare" è stato, com'è giusto che sia per lo spirito che affronta l'esperienza della materia, completamente influenzato dall'azione abnorme, con produzione e scempio relativi, e a sua volta non ha congegnato nulla di apprezzabile. Anzi: s'è adeguato alle malsane peculiarità dell'azione snaturata e le ha dato impulso. S'è inventato perfino l'Economia e, come al solito, ha arbitrariamente impregnato d'importanza una misera parola da lui stesso inventata.
Comunque, continuando a ragionare secondo Verità, che quand'è espressione della Natura ha tutti i crismi a Lei dati dal Creatore e va accettata come Verità Assoluta, si può essere certi che nessun "contratto sociale" può essere stato sottoscritto da chi è venuto al mondo involontariamente.
Disgraziatamente, però, da un certo momento in poi i nascituri sono stati partoriti, salvo rare eccezioni, in famiglie i cui componenti avevano già accettato pedissequamente ogni clausola del "contratto sociale", inclusa quella riguardante l'accettazione anticipata di eventuali aggiunte e modifiche da parte del potere in auge, perché educati, fin dal primo minuto di vita, a credere che esista solamente quest'unico contratto, quest'unico codice comportamentale, a garanzia della loro esistenza. Senza alternative! Alternative che, invece, in una Natura che non fosse stata sottomessa dall'Uomo (sottomessa fino a quando?), reggerebbero in numero infinito la magnificenza maggiore della Libertà Esistenziale: la Diversità. Diversità di forma, di sostanza e, principalmente, di comportamento. Altro, che la formazione di armenti, prescrive la Natura! Ma quando tornerà ad essere Lei la guida dell'Esistenza, in generale, e in particolare di quella dell'Uomo? Intanto, con il contributo attivo degli individui da essa stessa raggirati, la tradizione perpetua l'annullamento di ogni significato dell'esistere. Il Male ha escogitato una tattica davvero micidiale per invalidare la Creazione, a cui è per sua stessa "natura" tenacemente avverso.
Marie Curie ebbe a dire: "Niente nelle vita va temuto, deve essere solamente capito.
Non mi è dato sapere se madame Curie intendesse riferirsi anche alla Morte, ma mi è chiaro e certo che molti, sfuggendo alla tradizione e alle sue discipline, potrebbero essere in grado di dominare la paura, di comprenderne le ragioni esistenziali, come Natura vuole (paura che, tra l'altro, è la migliore, la massima, istitutrice che ci sia stata fornita). Potrebbero, ma, trovando disgraziatamente il mondo tutto occupato e già disposto dagl'impauriti, impauriti ma ossessionati Prenditutto, non riescono ad esprimersi secondo se stessi e quindi si trovano impediti a vivere appieno, con soddisfacente senso compiuto, la propria esistenza. Esistenze sprecate, bel guaio e, soprattutto, che oltraggio enorme scagliato contro il Creatore! Creatore che ha concepito un'Esistenza libera in senso assoluto, affinché ognuno possa esprimere la propria essenza e non quella di regole, norme e leggi scritte ed imposte dall'uomo, che nell'Universo Spirituale hanno valore nullo.
Bertrand Russell ha detto: "Una percezione razionale dei pericoli è necessaria; la paura non lo è." Spetta ad ogni individuo comprendere il significato profondo di queste parole. In esse c'è la formula per conquistare, o riconquistare, la Libertà e con la Libertà la Salvezza.
Ed ecco che...
Lorenzo Lombardi
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- LA CONTINUAZIONE IN UNO DEI PROSSIMI POST -
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BIBLIOGRAFIA
(1) - "Zibaldone" di Giacomo Leopardi - pag. 20 - a cura di Lucio Felici
(© 1997 Newton & Compton editori s. r. l. - ROMA)
(2) - "La volontà di potenza" di Friedrih Nietzsche - pag. 73 - a cura di C. Papini
(© 1996 Libritalia)
(3) - "Breviario del caos" di Albert Caraco - pag. 12,65 - traduzione di Tea Turolla
(© 1998 Adelphi Edizioni S. p. A. - MILANO)
(4) "Il contratto sociale" di Jean-Jacques Rousseau - pag. 34 - traduzione di Valentino Gerratana
(Edizione Mondolibri S. p. A. - MILANO - su licenza © 1994 Giulio Einaudi Editore S. p. A.)
(5) "La disobbedienza e altri saggi" di Erich Fromm - pag. 11 - traduzione di Francesco Saba Sardi
(Edizione Club del Libro - su licenza © 1982 Arnoldo Mondadori Editore S. p. A.)
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