XVI° - TERZA PARTE DI "IL DESIDERIO DI UN PADRE"
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IL DESIDERIO DI UN PADRE
- terza parte -
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Ed ecco che, come mi è successo più volte in precedenza, il mio pensiero è ritornato ad aggirarsi in prossimità dei temi "caldi" relativi a Senso e Finalità dell'Esistenza, che vanno trattati con riguardo massimo e altrettanta chiarezza. Però, durante la lunga notte che ho trascorso con la sola consolazione datami dalle stelle, poca cosa nel contesto del disastro attuale in cui sono costretto a vivere, mi ero ripromesso di riportare per iscritto i miei pensieri così come si erano presentati, senza doverli corredare con troppe delucidazioni concettuali. Vorrei mantenermi fedele a questa decisione presa istintivamente, poiché, infatti, è mio desiderio che questo scritto appaia simile a una collana che, spezzatasi, lascia cadere sul pavimento le sue tante perle, cosicché ogni singola perla, rimbalzando a suo modo, riesca ad emettere il proprio suono particolare e soltanto il suo. Così permettendo di meditare suono dopo suono. Tuttavia sono consapevole del fatto che non si può chiedere a un lettore di credere a dei concetti, presentati come verità inconfutabili, se costui ritiene che codeste verità necessitino di essere suffragate da precisazioni esaustive e se, col frastuono che gli è stato messo d'attorno, non riesce da solo ad impostare delle riflessioni che gli permettano di giungere a delle intime considerazioni convincenti. E allora, che dire al lettore, desiderando non dare la consistenza di un "trattato" a quanto sto scrivendo in questa circostanza?
Beh, posso garantire al lettore soltanto una cosa, per quel che può valere un'assicurazione di questo genere, fatta, per giunta, da qualcuno che ancora non si conosce bene: ogni qualvolta gli capiterà o gli è già capitato d'imbattersi, leggendo, in concetti direttamente prospicienti il campo del Senso e delle Finalità esistenziali, può star sicuro che tutti i corollari della Verità, suggeriti da questi concetti, sono stati scrupolosamente vagliati e ardentemente accettati da chiunque si sia interessato seriamente ad accertare la loro validità naturale e, quindi, Assoluta. Con gran beneficio di tutti coloro i quali hanno avvertito come urgenza la necessità di identificare la Verità una volta per tutte, vivendo in un mondo in cui il Sistema fa vere e proprie peripezie per mantenerla celata ai più: alle ingenti masse lavoratrici, ai tanti moderni schiavi. Infatti, con risultato stupefacente per la semplicità del relativo processo di trasformazione positiva, depressioni, nevrosi, endogene o esogene che fossero, e manie di ogni tipo hanno abbandonato chi ha compreso, con gran sollievo non solo delle menti, ma anche dei corpi, stremati dalla perpetua costrizione ad agire secondo i dettami della menzogna. La Verità è Una e Una soltanto: Quella del Creatore, ovvero Quella espressa dalla Natura. Natura, che è come Onniscienza e Onnipotenza hanno determinato che sia:l'Unica in grado d'indicare all'Uomo quali siano le Finalità Esistenziali. L'Entità Creatrice non detta libri mondani agli uomini, crea e con il creato s'esprime.
La Verità, nella forma ma non nella sostanza, può essere soggetta a impostazioni individuali, come è giusto che accada sotto l'egida della Diversità Infinita, ma, in ogni caso, i cardini su cui si articolano le diverse impostazioni sono invariabilmente i medesimi: gli Unici.
Diffidate, e molto, di tutti coloro i quali asseriscono di essere disposti a rispettare qualsiasi idea, per quanto strampalata espressione della menzogna essa sia. Costoro sono esseri che prosperano, e perciò ne propugnano l'espansione, nel fosco groviglio delle divergenze da ciò che è Vero con Valore Assoluto. Una universale presa di coscienza della Verità Esistenziale, Unica per tutti, ostacolerebbe non poco i cupi progetti di tali soggetti traboccanti civismo, ai quali, oramai, poiché hanno inaridito completamente il proprio spirito, non rimane altra aspirazione che l'effimero successo mondano. "Esiste un unico vero successo: essere in grado di vivere la vita a modo tuo.", ci ricorda Cristopher Morley, e con lui tanti altri saggi, ma questa è una Verità Assoluta che le persone invischiate nel Sistema sociale non sono più capaci d'interpretare in modo naturalmente corretto, ed anche questa drammatica impossibilità di addivenire a una comprensione senza difetti va enumerata tra i molteplici e tristi effetti dei successi parziali dell'azione del Male sull'Uomo. Questi spiriti inariditi continueranno imperterriti a predicare da ogni pulpito che la collettività va anteposta all'individualità, perché la collettività funge da anonimo sipario calato sulle dure afflizioni di ogni singolo individuo, le quali, a lungo andare potrebbero finire col gravare pesantemente perfino su degli spiriti completamente posseduti dal Male, mettendoli in fastidioso disagio mentre compiono le loro nefandezze quotidiane. E così, tirando in ballo il bene della collettività, priva di un preciso volto sofferente, e caldeggiando la diffusione di idee e volontà arbitrariamente attribuite ad essa, si può tiranneggiare impietosamente e anche assassinare un numero impressionante d'individui senza avvertire gli sgradevoli pungoli di una qualche specie di rimorso.
A questo punto, avendo appena rivolto al lettore un'assicurazione piuttosto vaga, per correttezza e a mo' di compensazione mi sento in obbligo di espormi in prima persona, dichiarando di essere disposto a qualsiasi confronto volto ad appurare l'affidabilità di quanto ho assicurato. L'eventuale interessato a un approfondimento serio si procuri pure il sostegno di tutti quei luminari che ritiene all'altezza del compito, a me basterà la presenza di una lavagna su cui segnare i "punti fermi", cioè tutti gli scalini che, uno dopo l'altro, permettono di risalire alla Verità e che per la loro consistenza, palese agli occhi e alla mente di chiunque abbia mente ed occhi funzionanti in maniera regolare, non possono essere scalfiti, neanche minimamente, dalle frecciate sofistiche scagliate dai mistificatori che sostengono le varie menzogne in auge, loro pane quotidiano. In caso di un fallimento evidente del mio impegno, prodigato nella piena convinzione che la Verità Naturale possa essere riesumata da dove l'ipocondria del Potere l'ha sepolta, non mi sottrarrò a qualsiasi forma di pubblico ludibrio che mi si vorrà infliggere.
Uhm, sì, sì, ne sono pienamente consapevole: queste mie ultime righe odorano di presunzione. Troppo, per poterle giustificare in assenza di dati di fatto inequivocabili. Perciò non dirò nulla oltre alla seguente puntualizzazione piuttosto semplice: all'età di sessantaquattro anni, è da un paio di decenni che ho acquisito la piena coscienza di me. Non solo come risultato di una tenace introspezione di carattere evolutivo, da considerarsi rigorosamente soggettiva (l'unica influenza accettata è stata quella della Natura), ma anche in virtù di quanto è emerso con aspetto chiaro, chiarissimo, dai numerosi impatti della mia soggettività con quella altrui. Un po' meno presuntuoso mi pare il fatto che io sia pronto, sempre pronto a mio rischio e pericolo, a dimostrare la validità di ciò che affermo. Correttezza che non mi sembra propria dei tanti "tuttologi" che infestano i luoghi in cui si appare e basta e dove nessuna verità viene stabilita in maniera ineccepibile. Tra l'altro: in tutto ciò che io sono solito affermare, di mio mio, c'è ben poco. Io riporto soltanto tutto quanto mi è stato suggerito benignamente dalla Natura.
Bene, ora posso riprendere la disordinata raccolta dei miei pensieri sentendomi un po' alleggerito di un certo peso che mi gravava addosso fastidiosamente.
Pur dolendosi per le tante povere vittime sacrificate alla convenienza sociale, ci dobbiamo dolere principalmente per tutto ciò che il Sistema impone per instaurare, viepiù stabilmente, il conclamato, solamente conclamato, stato di sicurezza pubblica.
Il Potere, sempre sollecito nell'autopreservarsi con una certa capacità di preveggenza, assai spesso di carattere marcatamente paranoico-ipocondriaco, ha capito da un bel po' di tempo che la faccenda della sicurezza sociale non funziona e che mai potrà funzionare. Riscontro che, lungo la Storia, si è consolidato fallimento dopo fallimento. Oggi più che ieri, per una protezione efficiente sarebbero necessari almeno due "angeli custodi" ben svegli per ogni svigorito cittadino "civile", senza neanche tener conto del fatto che coloro, i quali possono permettersi di mantenere un organico di difesa privata, pur avendo quattro, otto o più guardie del corpo, ancora non possono ritenersi del tutto al sicuro. Progetto irrealizzabile, dunque, sia per una questione numerica che sconfina nell'assurdo, sia per gli eventuali costi che risulterebbero smodatamente elevati e sia perché il Potere non riterrà mai il popolo meritevole di un dispendio così tanto consistente, e neanche di esborsi di gran lunga minori, se finalizzati senza un tornaconto preciso. Di popolo ce n'è tanto a disposizione ed è spronato adeguatamente a figliare. Il popolo è così tanto numeroso che manco si riesce a far lavorare tutti i suoi componenti. Una realtà che preoccupa non poco i governanti, poiché chi non è irretito dal lavoro, e quindi è poco impegnato dal pensare a come spendere i quatto soldi che saltuariamente si trova in tasca "per caso", può trovare il tempo per imparare a ragionare autonomamente. Che guaio, per il Sistema! Forse il maggiore. Ma il Potere che governa il Sistema mal sopporta le preoccupazioni. Se c'è qualcosa che paventa in continuazione, questa è l'eventualità della propria caduta che, ipotesi che lo angustia molto, si prospetta, per forza di Cose Maggiori, come definitiva. Prima o poi così dovrà essere e il pensiero autonomo sarà il fattore principale per l'avvento del tonfo finale.
Quindi, avendo avvertito che la Sicurezza Assoluta è uno stato di cose che non può verificarsi in questo nostro mondo, poiché è uno stato esistenziale estraneo al Concetto d'Esistenza, così com'è stato "formulato" dall'Entità Creatrice, il Potere ha pensato bene di premunirsi per quanto materialmente possibile e ha introdotto nel Sistema la Prevenzione. Prevenzione, che nel campo della tutela dell'ordine pubblico risulta una mossa assai più avversa all'Esistenza di quanto non lo sia nel campo sociale della Sanità. Che traguardi tremendi può raggiungere il Male! Se nell'ambito della Sanità "prevenzione" significa in effetti che un essere umano sano deve vivere i suoi giorni pressoché con le medesime attenzioni e preoccupazioni di un malato (e... addio vita!), nell'ambito della sicurezza sociale la "prevenzione", perfidamente associata a "tolleranza zero", mette in essere il disastro esistenziale completo: un individuo, in origine instradato verso la più integra libertà d'azione da una Concezione Esistenziale Onnisciente e Onnipotente, viene costretto a vivere come la tessera di un unico puzzle (e... addio diversità! Garante naturale della Libertà, in quanto non può, assolutamente, essere irregimentata. Perciò il Male si dà un gran da fare per eliminarla e con la globalizzazione sembra che ci stia riuscendo in pieno. Quanti uomini buttati via!). Incastrato là. Guai, se si arrischia a sconfinare dallo spazio sociale assegnatogli (che, talvolta, ha l'illusione di esserselo conquistato), insorge il sospetto e interviene la prevenzione. Esistenzialmente parlando, da morto che era a causa del ruolo paralizzante lo spirito, l'individuo diventa un morto perseguitato e vessato oltre ogni dire e, oggi, anche oltre ogni più fervida immaginazione coadiuvata da una spiccata inclinazione al tragico. Ma l'apice di follia paranoico-ipocondriaca, raggiunto da questa mossa decisamente avversa all'Esistenza, diventa dolorosamente manifesto allorché il Potere, riconoscendo la sua incapacità nel saper individuare i sospettabili, "sospettabili" sempre e soltanto secondo i suoi discutibilissimi criteri malsani, per sua sicurezza esclusiva decide che tutti vengano posti sotto stretta sorveglianza. Ed è come se dichiarasse ufficialmente: "Per me siete tutti dei potenziali criminali." Quanti possono accettate tutto questo? Pochi? Tanti? Tantissimi? Davvero hanno "incredibilmente perso ogni dignità ai loro propri occhi"? Davvero vogliono continuare a vivere (si fa per dire) "dove è virtuoso essere uno zero"? Davvero c'è qualcuno che accetta di permanere in un luogo ove "l'essenza della società consiste nella repressione dell'individuo e l'essenza dell'individuo consiste nella repressione di se stesso."? In tanti (è possibile?!) hanno dimenticato che "i valori e le loro variazioni stanno in rapporto con l'aumento di potenza di coloro che fissano i valori"?
E qui, come ho preannunciato dianzi, c'è da dolersi molto. Per instaurare il "metodo prevenzione", infatti, occorre ottenere il consenso di chi dovrà sopportare le conseguenze dell'applicazione del metodo, poiché la "prevenzione" è una pratica decisamente invasiva e, quindi, come succede usualmente in campo medico per la diagnostica invasiva, necessita di una qualche sorta di firma d'accettazione rilasciata dal paziente, onde evitare in seguito eventuali rimostranze, fastidiose più che spiacevoli, e magari da dover spazzar via con l'intervento della forza pubblica, spettacolo che non è mai un bel vedere e che, immancabilmente, si trascina dietro pericolosi strascichi di ogni genere, che talvolta s'ingrossano in maniera minacciosa per la stabilità del Potere stesso.
D'accordo, le mandrie sociali si trovano con meningi notevolmente svigorite dalla menzogna che martella i loro timpani provenendo da tutti e quattro i punti cardinali. Menzogna che sembra imperitura e che è riuscita ad intossicare una vasta area dei loro cervelli. E' altrettanto vero che, come se n'era accorto Nietzsche già un secolo fa, l'uomo in genere ha perduto di dignità ai suoi propri occhi. Tuttavia, appare come poco plausibile una realtà che presenta un essere umano sempre pronto a dare il proprio libero assenso alla degradazione più completa della sua stessa natura, già abbrutita a tal punto da accettare ogni sorta di umiliazione inferta dal Potere con gradualità costantemente in ascesa. E' molto difficile credere che uomini con facoltà intellettuali integre e libere non abbiano avuto determinati pensieri onorevoli dopo aver assistito, ad esempio, alla proliferazione delle telecamere di vigilanza. Pensieri di questo tenore: "Non permetto che la mia immagine sia trattata come un oggetto comune che, se non presenta qualche anomalia rispetto alla condotta imposta, scorre via sotto gli occhi degli scrutatori al servizio del Potere come cosa di nessuna importanza.".
Capisco che il risentimento per essere trattati come un oggetto sia una finezza della sensibilità rara da reperire tra le masse dedite esclusivamente al possesso delle cose terrene, ma essere presi in giro con l’espediente tragicamente puerile della causa-pretesto, imputata fraudolentemente alla vittima predestinata, che sorte l’effetto voluto dagli artefici stessi della pretesto, dovrebbe offendere nel profondo chiunque conservi ancora un pizzico di rispetto per la propria persona.
Ora il mio pensiero, libero come sempre, torna a riallacciarsi al filo di un discorso interrotto nella prima parte di questo mio scritto particolare.
Ora il mio pensiero, libero come sempre, torna a riallacciarsi al filo di un discorso interrotto nella prima parte di questo mio scritto particolare.
Tenendo presente che le analisi psicologiche di Adler e Freud, dianzi citate, sono state formulate all’incirca un secolo fa, oggi non meraviglia affatto che il termine “disadattato” abbia acquisito il sicuro valore di attestato d’intelligenza accesa e vitale. Infatti, basta una breve meditazione sul quotidiano stato di cose per comprendere quanto inumana, e soprattutto insulsa, risulti la prassi d’adattamento all’attuale cloaca ambientale infetta, per giunta regolata in maniera scriteriatamente disumana. Uno sguardo, una meditazione, e nella testa di chi ha fatto i salti mortali per rimanere fedele a se stesso in un mondo pesantemente irregimentato riecheggiano subito le parole di quel centinaio di uomini e donne che nei secoli hanno parlato, inascoltati, e scritto, ignorati, per il bene dell’Umanità, servendosi di una mente coadiuvata da una vista libera e precisa. Pensatori puri, con i loro ragionamenti scevri di dogmi e presupposti errati, che hanno saputo seguire fedelmente la Logica Naturale delle Cose e non altre logiche, magari ineccepibili, ma del tutto relative, che, invece di prendere in considerazione la realtà nel suo insieme, la triturano in tanti pezzettini, da esaminare al microscopio, ma indossando il paraocchi. E’ così che i mistificatori generalizzano secondo i propri intenti una logica che sembra adattarsi perfettamente a un pezzettino, ma che già per due pezzettini non vale più e tantomeno per l’insieme.
“A ogni passo la vista è offesa, l’orecchio assordato e l’olfatto messo a dura prova, presto ci chiederemo: «A che serve l’ordine?»”
Dagli anni ’50, all’incirca il tempo in cui Albert Caraco ha posto questa domanda per iscritto nel suo stupendo libro “Breviario del caos”, fino ad oggi un buon numero di persone ha meditato seriamente sul medesimo interrogativo e, stando a quanto ho potuto conoscere per mia esperienza diretta, credo che tutti quanti siano giunti alle stesse conclusioni espresse da Caraco, pur non essendo a conoscenza dell’esistenza di codesto scrittore superbamente icastico, e nonostante l’assidua opera di mistificazione dei vari media.
“L’ordine è sempre stato disumano, e l’ordine morale il più disumano di tutti.”
Dagli anni ’50, all’incirca il tempo in cui Albert Caraco ha posto questa domanda per iscritto nel suo stupendo libro “Breviario del caos”, fino ad oggi un buon numero di persone ha meditato seriamente sul medesimo interrogativo e, stando a quanto ho potuto conoscere per mia esperienza diretta, credo che tutti quanti siano giunti alle stesse conclusioni espresse da Caraco, pur non essendo a conoscenza dell’esistenza di codesto scrittore superbamente icastico, e nonostante l’assidua opera di mistificazione dei vari media.
“L’ordine è sempre stato disumano, e l’ordine morale il più disumano di tutti.”
“L’ordine futuro sarà di gran lunga il più disumano che mai si sia visto, il più bravo a mentirci e il più infallibile nell’ingannarci (il “fai da te” che ha demolito il World Trade Center è stato una sensazionale dimostrazione delle colossali e altrettanto ciniche capacità di mistificazione e prestidigitazione dell’ordine costituito, ancorché gli artefici – gli eletti, i rappresentanti del popolo! Sic! – non siano riusciti a mantenere occulto il trucco abietto di cui si sono serviti), un mostro tiepido e metodicamente informe, misterioso e piatto, sfuggente e dispotico, che divora in continuazione senza cessare di essere inafferrabile. Il peggio è che, dopo averci illusi, non c’impedirà di andare in rovina, giacché se pur può abusare di noi, esso è altresì la debolezza stessa. L’ordine è fragile e anzi lo è sempre di più, perché riflette la sua dismisura e non supera la sua incoerenza, l’ordine è gravido della sua morte, perché riflette la sua soggettività sempre più caotica e sempre più destituita di qualsiasi ragione d’essere.”
Beh, non mi sembra che Caraco abbia sbagliato o esagerato di un ette nell’informarci, più di cinquant’anni fa, su una certa realtà che oggi riusciamo a vedere chiaramente anche con i nostri occhi, parecchio annebbiati dalla comodità e dal consumismo, tant’è smaccata. Una brutta realtà che si sta smodatamente sviluppando sotto la nuova egida “Tolleranza zero!” Che sembra nuova, ma in verità è l’antichissimo vessillo sventolato con arroganza da qualsiasi potere, del passato, del presente e, nel caso in cui l’errore perdurasse oltre ogni buon senso naturale gonfio d’ira, anche del futuro. Inutile aggiungere l’aggettivo “oppressivo”, dato che ogni potere lo è per la sua stessa struttura sostanziale. “Sono infatti crimine e piacere del possesso fondamenti di ogni potere.”, dice Nissia a Gige, istigandolo all’assassinio del marito, il mite re Candaule, che, in quanto mite, era poco adatto a regnare.
E mite in maniera eccellente è Fabio. Come reagirà Fabio al dilagare dell’irreggimentazione globale che annullerà l’Uomo imponendo le sciagurate formule “Globalizzazione” e “Tolleranza Zero”? Come reagirà, venendosi a trovare coinvolto in “un sistema defunto, oramai fallito, ma il cui prolungamento artificiale consente di esercitare surrettiziamente soprusi e tirannie di buona lega, pur conservando la coesione sociale?” E, volendo continuare a raffigurare l’ambiente assurdo, in cui siamo costretti a vivere per la paura incussa dalle divise dei guardiani, con altre parole di Viviane Forrester (tratte dal suo acutissimo libro “L’orrore economico”, traboccante verità e vincitore in Francia del prestigioso premio Médicis), ecco che c’imbattiamo in due interrogativi decisivi, che lei si pone, che io mi pongo e che molti, giorno dopo giorno in aumento, si pongono angosciati: “Continueremo ancora a lungo ad accettare di essere imbrogliati, e a considerare come nostri nemici solo quelli che ci vengono indicati come tali? Resteremo ciechi di fronte ai pericoli in corso, agli scogli reali della nostra esistenza? La nave (sociale) ha oramai fatto naufragio, ma preferiamo (e vi siamo continuamente incoraggiati) non ammetterlo e restare a bordo, affondare al riparo di uno scenario che ci è familiare, piuttosto che tentare di trovare, forse invano a questo punto, una qualche maniera di salvarci.” Ci sono anche tante altre domande che, se vogliamo semplificare la ricerca esistenziale, hanno tutte origine da un’unica constatazione: “Milioni di destini sono sconvolti, annientati da questo anacronismo (la persistenza nell’attribuire un’importanza vitale al lavoro mentre il lavoro stesso, nella sua accezione sociale, ha dimostrato abbondantemente non solo la sua inadeguatezza esistenziale ma anche la sua potenza distruttiva), frutto di ostinati stratagemmi rivolti a consacrare come imperituro il più sacro dei nostri tabù: quello del lavoro. Sul lavoro, stravolto sotto la forma perversa di impiego, si fonda in effetti la civiltà occidentale, che a sua volta domina l’intero pianeta. Sono confusi a tal punto l’uno con l’altra che nel momento stesso in cui il lavoro si volatilizza, il suo radicamento, la sua evidenza non vengono mai ufficialmente messi in discussione e tanto meno viene discussa la sua necessità.” … “Ora, questo lavoro – da sempre ritenuto il nostro motore naturale, la regola del gioco adatta al nostro passaggio in quegli strani luoghi in cui ognuno di noi ha la vocazione (inculcata in ognuno fin dall’asilo) di annullarsi e sparire – oggi non è più che un’entità priva di qualsiasi sostanza.”
E, dunque, come reagirà Fabio nell’impatto con il fallimento sociale? Non reagirà. E voglio sperare che, in seguito, il “perché” appaia sempre più chiaro. Il suo essere è testimonianza esistenziale priva di moti di aggressività. Non è un compito naturale dei down salvaguardare il mondo con il contrattacco risoluto. Questo compito, esistenzialmente primario, spetta ai padri di figli “normali” che per loro stessa natura corrono il grave rischio di essere irreggimentati tramite la loro stessa ragione. I down non corrono questo rischio, giacché essi seguono i dettami dei loro istinti prima di quelli della ragione. Istinti puri, collocati in ogni essere vivente, umano o no, con Onniscienza ed Onnipotenza Creatrici e, nella fattispecie dei down, non pervertibili da una razionalità che si estrinseca esclusivamente secondo dei discutibilissimi canoni imposti dalla presuntuosa arroganza dell’Uomo, diventato scienziato con le medesime ottusità e ossessione che in precedenza lo contraddistinguevano come religioso.
A proposito di artificiosi canoni imposti, contro i quali, però, i governanti si sono sempre premuniti per non assoggettarvisi mai, mi ritorna alla mente una singolare conversazione intercorsa tra me e mio figlio Fabio, mentre stavamo tranquillamente guardando un telegiornale. No, non tranquillamente. Io no, di certo.
― Perché… perché c’è tanta paura nel mondo? ― mi domanda Fabio, dopo un lasso di tempo in cui era rimasto in silenzio e con gli occhi fissi sul teleschermo.
― Per via dei terroristi. ― gli rispondo io.
A proposito di artificiosi canoni imposti, contro i quali, però, i governanti si sono sempre premuniti per non assoggettarvisi mai, mi ritorna alla mente una singolare conversazione intercorsa tra me e mio figlio Fabio, mentre stavamo tranquillamente guardando un telegiornale. No, non tranquillamente. Io no, di certo.
― Perché… perché c’è tanta paura nel mondo? ― mi domanda Fabio, dopo un lasso di tempo in cui era rimasto in silenzio e con gli occhi fissi sul teleschermo.
― Per via dei terroristi. ― gli rispondo io.
― Parli di quegli uomini… quelli che… dopo la guerra in Iraq… accoppano gli americani?
― Non gli americani in genere. Ammazzano gli statunitensi, non gli abitanti degli altri Stati delle Americhe. Ammazzano anche gl’inglesi. E, per essere più precisi, bisogna dire che ammazzano anche i fiancheggiatori, “i compagni di merende”, laute “merende”!, degli statunitensi e degli inglesi.
Non era mia intenzione coinvolgerlo in disquisizioni di questo tipo osceno e perciò gli dico:
― Comunque, il terrorismo che oggi sta dilagando non è nato dalla guerra in Iraq. Ti spiegherò in un altro momento.
― E quando è nato, allora? ― mi domanda Fabio, perfino un po’ stizzito, come se con le mie parole avessi contestato drasticamente una sua convinzione ben radicata. Va precisato che, per quanto lo riguarda, il termine “stizzito” sta ad indicare unicamente l’assenza del sorriso sul suo volto e due rughette, quasi impercettibili, sulla fronte, appena sopra il naso.
Questa domanda non me l’aspettavo: non l’avevo mai visto desideroso di approfondire un argomento che non fosse strettamente legato a una questione sentimentale chiara e molto tonda, cioè nient’affatto spigolosa, e quasi sempre di carattere famigliare.
Decido di recitare la parte del padre scolasticamente erudito, nella speranza di distrarlo o annoiarlo con una sfilza arrangiata di aridi scampoli storici, così facendogli perdere la voglia di continuare il discorso che, se prolungato, avrebbe finito col presentargli troppi aspetti orrendi dell’animo umano guasto, ovvero traviato dalla cupidigia e ossessionato dall’idea di una sicurezza terrena in realtà assolutamente irraggiungibile, secondo Predisposizione Naturale Originaria. L’alternativa sarebbe stata quella di mentirgli, ma mi sarei trovato in pieno conflitto con i miei principi e per la prima volta avrei incrinato il profondo rispetto che nutro per la sua persona.
― Ritengo che sia spuntato molto tempo fa. Non so dirti in quale preciso momento della Storia dell’Uomo, ma io penso che il terrorismo sia nato come reazione imbastita alla bene e meglio allorché degli uomini si sono raggruppati per sopraffare i loro limitrofi e sottoporli alla propria tirannia. Vuoi che diamo un’occhiata al dizionario per vedere che definizione esso dia del termine “terrorista”?
― Non gli americani in genere. Ammazzano gli statunitensi, non gli abitanti degli altri Stati delle Americhe. Ammazzano anche gl’inglesi. E, per essere più precisi, bisogna dire che ammazzano anche i fiancheggiatori, “i compagni di merende”, laute “merende”!, degli statunitensi e degli inglesi.
Non era mia intenzione coinvolgerlo in disquisizioni di questo tipo osceno e perciò gli dico:
― Comunque, il terrorismo che oggi sta dilagando non è nato dalla guerra in Iraq. Ti spiegherò in un altro momento.
― E quando è nato, allora? ― mi domanda Fabio, perfino un po’ stizzito, come se con le mie parole avessi contestato drasticamente una sua convinzione ben radicata. Va precisato che, per quanto lo riguarda, il termine “stizzito” sta ad indicare unicamente l’assenza del sorriso sul suo volto e due rughette, quasi impercettibili, sulla fronte, appena sopra il naso.
Questa domanda non me l’aspettavo: non l’avevo mai visto desideroso di approfondire un argomento che non fosse strettamente legato a una questione sentimentale chiara e molto tonda, cioè nient’affatto spigolosa, e quasi sempre di carattere famigliare.
Decido di recitare la parte del padre scolasticamente erudito, nella speranza di distrarlo o annoiarlo con una sfilza arrangiata di aridi scampoli storici, così facendogli perdere la voglia di continuare il discorso che, se prolungato, avrebbe finito col presentargli troppi aspetti orrendi dell’animo umano guasto, ovvero traviato dalla cupidigia e ossessionato dall’idea di una sicurezza terrena in realtà assolutamente irraggiungibile, secondo Predisposizione Naturale Originaria. L’alternativa sarebbe stata quella di mentirgli, ma mi sarei trovato in pieno conflitto con i miei principi e per la prima volta avrei incrinato il profondo rispetto che nutro per la sua persona.
― Ritengo che sia spuntato molto tempo fa. Non so dirti in quale preciso momento della Storia dell’Uomo, ma io penso che il terrorismo sia nato come reazione imbastita alla bene e meglio allorché degli uomini si sono raggruppati per sopraffare i loro limitrofi e sottoporli alla propria tirannia. Vuoi che diamo un’occhiata al dizionario per vedere che definizione esso dia del termine “terrorista”?
Fabio mi fa un cenno d’assenso, in maniera non entusiastica, però, e io prendo il dizionario e leggo:
― Terrorista… dunque: “Chi appartiene a gruppi od organizzazioni che fanno uso della violenza contro persone o cose con l’intento di operare radicali trasformazioni politiche e sociali o di rivendicare l’indipendenza di uno stato o una regione.” Ecco. Be’, tralasciando di cercare tracce di terrorismo tra Assiri, Egizi, Persiani, Greci e tanti altri, ti posso dire, e magari farti ricordare, magari, eh?!, che Catilina e compagni, tra i quali anche Giulio Cesare, erano terroristi; poi, quando lo stesso Cesare diventa tiranno, Bruto e Cassio, assieme ad altri congiurati, diventano terroristi; i carbonari erano terroristi; i fautori della rivoluzione francese e di quella russa erano terroristi, che eccezionalmente avevano conquistato un ampio consenso di popolo. I francesi, a quel tempo, instaurarono addirittura il “governo del terrore”. I partigiani della seconda Guerra Mondiale erano terroristi; i palestinesi sono diventati terroristi, per liberare le loro terre dalla maligna oppressione israeliana. E tanti altri in tutto il mondo. In particolare, il terrorismo di matrice irachena è stato originato dal duro e lunghissimo embargo, che ha decimato la popolazione con i patimenti più strazianti, decretato ai danni dell’Iraq per volontà degli USA che avevano già pianificato da lungo tempo le provocazioni e le vessazioni atte a permettere di allungare le loro avide grinfie sui territori di un Paese ricchissimo di petrolio. Un terrorismo, quello iracheno, che, dopo la devastante invasione anglostatunitense nel territorio, si fonde con un movimento di liberazione più vasto, intenzionato a sottrarre i territori arabi, e tutti quelli con una popolazione a maggioranza musulmana, al rapace e cinico dominio politico-economico degli Stati Uniti d’America. Il nome di questo movimento terroristico mondiale è Al Qaeda. Ah, stavo dimenticandomi di menzionare l’intrepido terrorismo messo in atto dai ceceni che da più di vent’anni tentano disperatamente di ottenere l’indipendenza del loro Stato dall’inammissibile dominazione russa. Insomma: sono stati e sono terroristi tutti coloro i quali, stanchi del fatto che l’ordine costituito, stabile che sia oppure “provvisorio” in quanto imposto da invasori, abbia reso la loro esistenza non degna di essere vissuta, si danno da fare per abbattere l’oppressione e, non potendo per ovvie ragioni costituire un esercito regolare, si servono di qualsiasi mezzo e sono pronti a sacrificare anche la propria vita. Vita che, per l’appunto, non presenta più alcuna ragione di mantenimento.
“In questo mondo non è difficile morire. Vivere, questo sì che è difficile.”, ha puntualizzato un certo Vladimir Majakovskij. Prole che sintetizzano una realtà sterilmente complessa e mi rammentano che, sì, è abbastanza facile rinunciare ad una vita priva di consistenza e di finalità alte e tuttavia difficile, penosa, da portare avanti. Perciò non mi meraviglio affatto dell’esistenza dei kamikaze. In effetti, oggi essi hanno motivazioni assai più valide di quelle che spinsero al suicidio i piloti giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Mentre scrivo, mi vengono alla mente la parole pronunciate da Giulio Andreotti a Palazzo Madama, senz’altro come corollario fortuito alla spiegazione data dal vocabolario al termine “terrorista”: “Credo che ognuno di noi. Se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da 50 anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe diventato un terrorista.”
“Magari dopo aver visto assassinare tutti i membri della propria famiglia.”, aggiungo io.
“Nel ’68, l’ONU (leggi Occidente) ha creato in territorio arabo lo Stato di Israele e lo Stato palestinese. Lo Stato di Israele esiste, lo Stato palestinese no.”
Mentre scrivo, mi vengono alla mente la parole pronunciate da Giulio Andreotti a Palazzo Madama, senz’altro come corollario fortuito alla spiegazione data dal vocabolario al termine “terrorista”: “Credo che ognuno di noi. Se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da 50 anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe diventato un terrorista.”
“Magari dopo aver visto assassinare tutti i membri della propria famiglia.”, aggiungo io.
“Nel ’68, l’ONU (leggi Occidente) ha creato in territorio arabo lo Stato di Israele e lo Stato palestinese. Lo Stato di Israele esiste, lo Stato palestinese no.”
Non ci possono essere obiezioni a queste parole del senatore. Si può solamente specificare che la situazione attuale era già bel che programmata fin dall’inizio: “Intanto accontentatevi di questo lembo di terra, grande più o meno quanto la Puglia, poi, quando vi sarete irrobustiti…” D’altronde, nella Torah sta scritto: “Il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate (Iraq ), al Mar Mediterraneo. Nessuno potrà resistere a voi; Il Signore vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore – terrorismo divino! – di voi su tutta la terra che voi calpesterete.” (Deut. 11, 23-25) E, come dice bene Jacob Neusner (direttore di ricerca, emerito in studi religiosi presso la University of South Florida. Ha pubblicato più di cinquecento libri sull’ebraismo), “Gli ebrei non sono un popolo, sono una religione.” “Non hanno una lingua comune, per quanto l’ebraico sia la lingua ufficiale di tutte le sinagoghe. Non hanno tratti etnici, sociali, economici o politici in comune, sebbene le Scritture attribuiscano loro una comune identità. E per assurdo nemmeno derivano da una storia comune e unitaria, per quanto, attraverso le Scritture, essi contemplino un passato e un futuro comune. Perciò l’ebraismo descrive una realtà che poi non si riscontra, e cioè quella di un solo popolo, con una sola terra, una sola lingua, un solo destino. Nel contrasto tra la prospettiva dell’ebraismo e le circostanze del quotidiano ebraico afferriamo in quale Ebraismo gli ebrei si sentono realizzati, quello che fa loro vedere non la realtà com’è ma come dovrebbe essere, che modifica la loro visione in modo che i fatti di ogni giorno, quali essi siano, in qualsiasi luogo, si conformino con la struttura della fede. L’ebraismo fa vedere agli ebrei cose che nessun altro vede, e le fa loro vedere in un modo che essi soltanto trovano irrefutabile.”
Insomma, immersi fino ai capelli, anzi: ben oltre, in una falsità immensa, universale, da loro stessi imbastita. Falsità tendente a garantire loro molte cose, in massima parte assai poco gradevoli per tutte le altre popolazioni del mondo.
― Comunque, ― dico a Fabio ― ci sono anche forme abbiette di terrorismo, nient’affatto messe in essere da ideali rispettabili. In particolare, due forme davvero perfide: il terrorismo di Stato e l’ancor più infido terrorismo che si serve di pretesti e inganni per compiere un massacro a scopo d’occupazione territoriale per impossessarsi delle ricchezze altrui. Del secondo, voglio darti un esempio, un antico esempio, e perciò ti leggerò una storia dal Vecchio Testamento che, di atti così particolarmente eclatanti, è pieno zeppo. Ma il fatto di cui ti leggerò è davvero singolare e molto significativo.
Non impiego molto a trovare ciò che desidero leggergli e inizio con una specie di premessa:
― Comunque, ― dico a Fabio ― ci sono anche forme abbiette di terrorismo, nient’affatto messe in essere da ideali rispettabili. In particolare, due forme davvero perfide: il terrorismo di Stato e l’ancor più infido terrorismo che si serve di pretesti e inganni per compiere un massacro a scopo d’occupazione territoriale per impossessarsi delle ricchezze altrui. Del secondo, voglio darti un esempio, un antico esempio, e perciò ti leggerò una storia dal Vecchio Testamento che, di atti così particolarmente eclatanti, è pieno zeppo. Ma il fatto di cui ti leggerò è davvero singolare e molto significativo.
Non impiego molto a trovare ciò che desidero leggergli e inizio con una specie di premessa:
― Il concetto che ti voglio far comprendere è essenzialmente compendiato dalle parole dette al mitico Mosé da un certo dio ideato per ben determinati scopi. E precisamente queste parole: “Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai la pace. Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. Ma se non vuol far pace allora l’assedierai.” Hai capito a quali umilianti condizioni di schiavitù un popolo, attaccato arbitrariamente da stranieri, da invasori avidi, potrebbe evitare una guerra che manco si sognava di sentirla bussare alle sue porte? Un aut-aut maligno, ancor oggi imposto con frequenza impressionante, segno che il Male è più che mai in solerte attività tra gli uomini. «O accetti di sottostare alle regole della mia democrazia, con le quali posso fotterti quando e come mi pare e che mi permettono bellamente di controllare il tuo territorio e i tuoi beni, o ti distruggo.» Un dio buono, per quanto di fattura umana, avrebbe detto:«Mai ti lascerai vincere dall’arroganza di avvicinarti ad un’altra città per attaccarla.» Invece, la voce del dio delineato da certa gente alza il proprio livello di prepotenza agghiacciante: “Nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità non lascerai in vita alcun essere che respiri.” ( Deut. 19, 10-17) Che gran bel dio, eh? Veramente “divino”, non ti pare? Fortunatamente – questo “fortunatamente”, beh, mi sono sentito obbligato a dirlo a Fabio, nonostante che non rispecchi in modo veritiero la ben più cruda realtà – si tratta soltanto di favole. Quando, più tardi, Gesù parlò di pace e fratellanza tra la gente che credeva in questo dio, lo crocifissero. E adesso ascolta il racconto di una gran bella impresa. “Dina, la figlia che Lia aveva partorito a Giacobbe, uscì per vedere le ragazze del paese. Ma la vide Sichem, figlio di Camor l’Eveo, principe di quel paese, e la rapì, si unì a lei e le fece violenza. Egli rimase legato a Dina, figlia di Giacobbe; amò la fanciulla e le rivolse parole di conforto. Poi disse a Camor suo padre: «Prendimi in moglie questa ragazza.» Venne dunque Camor, padre di Sichem, da Giacobbe per parlare con lui. Quando i figli di Giacobbe tornarono dalla campagna, sentito l’accaduto, ne furono addolorati e s’indignarono molto, perché quegli aveva commesso un’infamia in Israele, unendosi alla figlia di Giacobbe: così non si doveva fare! - concetto espresso in perfetta parlata mafiosa - Camor disse loro: «Sichem, mio figlio, è innamorato di vostra figlia; dategliela in moglie! Anzi, alleatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete le nostre. Abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione; risiedetevi, percorretelo in lungo e in largo e acquistate proprietà.» Sichem disse ancora al padre e ai fratelli di Dina: «Possa io trovare grazia agli occhi vostri; vi darò quel che mi direte. Alzate pure molto a mio carico il prezzo nuziale e il valore del regalo; vi darò quanto mi chiederete, ma datemi la giovane in moglie.»
Allora i figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con inganno – d’acchito, queste sembrerebbero parole di biasimo, ma sono subito seguite da una giustificazione formulata per specificare che proprio così dovevano comportarsi –, perché quegli aveva disonorato la loro sorella Dina. Dissero loro: «Non possiamo fare questo, dare cioè nostra sorella ad un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi. Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio. Allora noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se voi non ci ascoltate a proposito della vostra circoncisione, prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo.»
Allora i figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con inganno – d’acchito, queste sembrerebbero parole di biasimo, ma sono subito seguite da una giustificazione formulata per specificare che proprio così dovevano comportarsi –, perché quegli aveva disonorato la loro sorella Dina. Dissero loro: «Non possiamo fare questo, dare cioè nostra sorella ad un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi. Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio. Allora noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se voi non ci ascoltate a proposito della vostra circoncisione, prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo.»
Le loro parole piacquero a Camor e a Sichem. Il giovane non indugiò ad eseguire la cosa, perché amava la figlia di Giacobbe; d’altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre. Vennero dunque Camor e il figlio Sichem alla porta della loro città e parlarono agli uomini della città: «Questi uomini sono gente pacifica: abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio per loro in ogni direzione. Noi potremo prendere per mogli le loro figlie e potremo dare a loro le nostre. Ma solo a una condizione questi uomini acconsentiranno a diventare un sol popolo con noi; se cioè noi circoncidiamo ogni nostro maschio come loro stessi sono circoncisi.»
Quanti avevano accesso alla porta della città ascoltarono Camor e il figlio Sichem: tutti i maschi si fecero circoncidere. Ma nel terzo giorno, quand’essi erano sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno una spada, entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quegli aveva disonorato la loro sorella. Presero così i loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a Simone e Levi: «Voi mi avete messo in difficoltà – ma non li ha mica fermati prima con la sua autorità paterna – rendendomi odioso – soltanto?! – agli altri abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa.» Risposero: «Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?» (GEN. 1 - 31)
Ad un tratto m’accorgo che sto parlando senza tener conto della particolarità del mio interlocutore e interrompo il discorso. Mi sono distratto per colpa dell’argomento messo in questione da Fabio, che da anni continua a coinvolgermi emotivamente. Emozione che è rabbia, originata e accresciuta dalla mia impotenza sociale e dalla constatazione della presenza della medesima sensazione d’inadeguatezza reattiva in quasi tutta la popolazione che mi circonda. Un’irritazione potentissima, che spesso mi trascina con sé nella smaniosa ricerca di qualche parola di conforto, capace di rinfrancare la convinzione di non essere io il solo a vedere e subire una realtà orripilante che ha fiaccato ogni residuo della mia sopportazione. Infatti, sebbene io taccia standomene seduto di fianco a Fabio, la mia mente, bramosa di verità che le serva almeno da lenimento, corre a rivisitare Caraco.
“Noi che non ci contentiamo di parole, (quante ne vengono profuse dai pulpiti più svariati, finanche dalle finestre e dai balconi, e con ogni mezzo messo a disposizione dai media! E tutte, invariabilmente, tendenti ad allontanare le masse non solo dalla Verità Naturale, ma perfino dalla realtà.) acconsentiamo a scomparire e siamo lieti di acconsentire, non abbiamo scelto di nascere e ci riteniamo fortunati a non sopravvivere in nessun luogo a questa vita, che ci fu imposta più che donata, vita piena di affanni e dolori, dalle gioie discutibili o mediocri.”
Di un dono, si dovrebbe poter fare ciò che si vuole in piena libertà.
Mi scuoto, quasi temessi la percezione dei miei tristi pensieri da parte di mio figlio, e m’industrio per chiudere il discorso bruscamente interrotto.
― La Storia c’insegna, caro Fabio, che il terrorismo, quando è mosso da una motivazione vitale, risulta sempre vincitore. Talvolta il conflitto si trascina per le lunghe, ma infine… Che, poi, il Sistema sia un mostro che con un processo artificiale molto subdolo è capace di rinascere, rinnovato nella parvenza, dalle proprie ceneri, più potente e malvagio di prima, è una brutta questione piuttosto complessa. Noiosa da spiegare, tanto quanto è disperatamente monotono assistere alla sua incessante ripetitività storica. Eppure, la cessazione definitiva di codesto ritorno, perenne e oltremodo rattristante, dovrebbe essere nell’Ordine delle Cose. Chissà. Speriamo. Bello sarebbe vedere la fine del Sistema mentre si è ancora in vita, ma purtroppo il tempo delle Cose non è affatto commensurabile con quello dell’Uomo.
Fabio mi osserva, poi guarda il teleschermo e quindi ritorna a fissarmi. Il suo sguardo, però, non è dritto: evita d’incontrare i miei occhi. Così m’accorgo che prova un po’ d’insicurezza per il pensiero che è in procinto di esprimere. Forse, proprio a causa del mio fiume di parole.
― Secondo me… secondo me…
Di un dono, si dovrebbe poter fare ciò che si vuole in piena libertà.
Mi scuoto, quasi temessi la percezione dei miei tristi pensieri da parte di mio figlio, e m’industrio per chiudere il discorso bruscamente interrotto.
― La Storia c’insegna, caro Fabio, che il terrorismo, quando è mosso da una motivazione vitale, risulta sempre vincitore. Talvolta il conflitto si trascina per le lunghe, ma infine… Che, poi, il Sistema sia un mostro che con un processo artificiale molto subdolo è capace di rinascere, rinnovato nella parvenza, dalle proprie ceneri, più potente e malvagio di prima, è una brutta questione piuttosto complessa. Noiosa da spiegare, tanto quanto è disperatamente monotono assistere alla sua incessante ripetitività storica. Eppure, la cessazione definitiva di codesto ritorno, perenne e oltremodo rattristante, dovrebbe essere nell’Ordine delle Cose. Chissà. Speriamo. Bello sarebbe vedere la fine del Sistema mentre si è ancora in vita, ma purtroppo il tempo delle Cose non è affatto commensurabile con quello dell’Uomo.
Fabio mi osserva, poi guarda il teleschermo e quindi ritorna a fissarmi. Il suo sguardo, però, non è dritto: evita d’incontrare i miei occhi. Così m’accorgo che prova un po’ d’insicurezza per il pensiero che è in procinto di esprimere. Forse, proprio a causa del mio fiume di parole.
― Secondo me… secondo me…
― Secondo te, che cosa? ― lo sollecito io.
― Per me… se il mondo punisse Bush e Blair, i terroristi diventerebbero buoni.
Mentre lo ascolto, spero in cuor mio che dalle sue labbra esca anche il nome del “macellaio di Beirut” e del suo ancor più disumano antagonista politico sostenuto dall’impietoso Likud, ma capisco che sarebbe pretendere troppo da lui. Mi vien da pensare alla Banda Bassotti, ma in versione decisamente ferale e magari rafforzata da una terza “B”, e al fallimento della mia tiritera sul terrorismo, che era passata in mio figlio come acqua corrente che non macina. Comunque, il parere espresso da Fabio mi solleva il morale. E non di poco! Ha capito tutto da solo. Con lui, io non ho mai tentato d’intavolare discorsi sul potere e le sue manifestazioni di ordinaria follia. Punire duramente Bush e Blair, assieme a due dozzine di altri figuri spietati, ecco la mossa giusta per risolvere e dissolvere il problema mondiale innescato dal terrorismo! Semplice, rapida ed efficace. Otterrebbe un ottimo risultato duraturo senza guastare o sopprimere le poche briciole di Libertà concesse con malagrazia all’uomo civile dal potere. Ma questa è la soluzione proposta da un animo assolutamente puro. Come spiegare a questo spirito, del tutto spoglio di compromessi e strategie politiche, che né Bush né Blair possono essere puniti, perché la “legge del più forte”, o “legge della giungla” che dir si voglia, non lo permette? Una Legge che, ostracizzata dagli uomini “civili”, si è ripresentata rivendicando con inaudita veemenza la sua inalienabile appartenenza all’Ordine Universale delle Cose.
― Per me… se il mondo punisse Bush e Blair, i terroristi diventerebbero buoni.
Mentre lo ascolto, spero in cuor mio che dalle sue labbra esca anche il nome del “macellaio di Beirut” e del suo ancor più disumano antagonista politico sostenuto dall’impietoso Likud, ma capisco che sarebbe pretendere troppo da lui. Mi vien da pensare alla Banda Bassotti, ma in versione decisamente ferale e magari rafforzata da una terza “B”, e al fallimento della mia tiritera sul terrorismo, che era passata in mio figlio come acqua corrente che non macina. Comunque, il parere espresso da Fabio mi solleva il morale. E non di poco! Ha capito tutto da solo. Con lui, io non ho mai tentato d’intavolare discorsi sul potere e le sue manifestazioni di ordinaria follia. Punire duramente Bush e Blair, assieme a due dozzine di altri figuri spietati, ecco la mossa giusta per risolvere e dissolvere il problema mondiale innescato dal terrorismo! Semplice, rapida ed efficace. Otterrebbe un ottimo risultato duraturo senza guastare o sopprimere le poche briciole di Libertà concesse con malagrazia all’uomo civile dal potere. Ma questa è la soluzione proposta da un animo assolutamente puro. Come spiegare a questo spirito, del tutto spoglio di compromessi e strategie politiche, che né Bush né Blair possono essere puniti, perché la “legge del più forte”, o “legge della giungla” che dir si voglia, non lo permette? Una Legge che, ostracizzata dagli uomini “civili”, si è ripresentata rivendicando con inaudita veemenza la sua inalienabile appartenenza all’Ordine Universale delle Cose.
Dato che è di grande semplicità naturale comprendere che in Principio Tutto è stato posto con Onniscienza e Onnipotenza, non si riesce a capire come mai la tanto lodata intelligenza umana non abbia intuito che nulla del Creato doveva essere toccato e scomposto e tanto meno pervertito o consumato irrimediabilmente da esseri certamente non provvisti di Onniscienza né di Onnipotenza. Invece è successo che, ad esempio, la “legge del più forte”, destinata ad essere praticata dal singolo individuo e a suo esclusivo rischio e pericolo, sia stata pervertita in una “civile” prerogativa riservata ad aggregazioni sempre più numerose. L’uomo, nell’accezione di maschio e nella sua qualità di soggetto singolo, ha la necessità naturale di manifestare la propria aggressività. Se, invece, la reprime, ne discapita fortemente in salute, sia fisica che psichica. Oggi, in una società allestita e diretta a misura di femmina (va tenuto ben presente che, per una naturale questione ormonale, non tutti gli uomini sono maschi) il maschio vero si trova in uno stato di serio disagio ed è per giunta costretto ad assistere impotente al dilagare di uno stravolgimento del concetto di forza. Uno stravolgimento che ha radici antiche, ma che oggi è stato consolidato con l’entrata in scena della forza innaturale sprigionata dalle aggregazioni femminili. Uomini e donne, non maschi e femmine nel puro senso dei termini naturali, hanno trovato un compromesso di non belligeranza in una malintesa, e peggio interpretata dalla sua stessa realizzazione, "parità di diritti" che si sta dimostrando efficiente solamente nell'aggiungere altri quantitativi di forza alle aggregazioni intenzionate a dilapidare i beni della Terra e a imporre la loro violenza secondo il sistema non del naturalmente più forte, ma dell'aggregazione più forte. Così, una Legge Naturale che, se messa in atto da un singolo individuo in un contesto naturale, non provocherebbe conseguenze rilevanti né per troppi altri individui né per l’ambiente, diventa una forza oltremodo devastante allorquando viene praticata da una aggregazione, ad esempio da un esercito. Un esercito, magari il più numeroso e il più armato che ci sia al mondo, compie stragi atroci ad ogni suo passo d’avanzamento e poco si cura di uccidere pure chi è del tutto estraneo al conflitto in corso. Il massimo insulto sputato sulla vita umana, l’unico oltraggio capace d’instaurare la devastante sensazione che l’esistenza dell’essere umano “qualunque” non abbia alcun valore reale. L’ambiente, per giunta, mal sopporta la pesante distruzione e l’estesa contaminazione mortale causate dalle micidiali armi forgiate appositamente per un’aggregazione di combattenti preparata per agire all’insegna della “legge del gruppo più forte”. Ed è per questa ragione che un esercito è direttamente responsabile anche dei tanti decessi che avvengono in tempi successivi alla fine del conflitto. Ogni singolo elemento dell’esercito ne è responsabile, poiché l’ubbidienza non è affatto una scusante ammissibile, dato che l’esistenza ha un valore individuale e non collettivo e quindi la responsabilità degli atti individuali non può in ogni caso essere trasferita complessivamente su un qualsivoglia tipo di aggregazione. Tuttavia, questa apocalittica dimostrazione di forza, forza che essendo il risultato artificiale di più fattori non ha nulla a che vedere con le qualità naturali di un individuo, non la si può considerare il guaio maggiore sotto l’aspetto esistenziale. Il guaio maggiore sta nella questione del torto e della ragione. Se con le parole si arriva a mescolare indecentemente, anche per una sola volta, torto e ragione, confondendo in maniera sofisticata la loro reale collocazione, crolla irrimediabilmente l’esile pilastro che in una società “civile” sorregge a stento l’ufficio della giustizia. Perseverando nel mescolare… beh, la conclusione mi sembra, oggi più che mai, di carattere riscontrabile: stiamo vivendo in un mondo di malfattori che confidano quotidianamente nella mancanza di determinazione del torto e della ragione, e altri, in numero sempre maggiore, sono invogliati a seguire le orme dei malfattori in attività constatando quanti grandi criminali continuino ad essere onorati anziché puniti. Inoltre, con una tale mistificazione in atto, viene lasciato campo libero a un nugolo di stronzi maligni che fomentano la confusione concettuale dell’uomo asserendo che nulla è del tutto nero e nulla è del tutto bianco. Salvo l’eccezione data da una loro particolare antitesi: i loro nemici sono sempre completamente neri, mentre essi sono sempre completamente bianchi.
Caspita! Soltanto adesso avverto distintamente che c’è qualcosa che non va nel mio tentativo di riportare alla mente le parole di mio figlio. Fabio non ha usato il termine “punire”. Per lui la "punizione" è una manifestazione di violenza della peggior specie. Fabio mi ha detto: «Basterebbe che tutto il mondo “svergognasse” Bush e Blair.» Per lui, fare una “brutta figura” in pubblico è già motivo più che sufficiente per prendere immediatamente le misure convenienti per un profondo ravvedimento. Se le Nazioni del mondo intero adottassero una condotta equiparabile al suggerimento espresso da Fabio, non vi è dubbio che l’Umanità vivrebbe in un ambiente molto più sano. Fisicamente e spiritualmente più sano.
Purtroppo, un individuo come Fabio è considerato solamente un handicappato, i cui consigli vanno tosto elusi con un compassionevole sorriso di circostanza. E, di meditarci su, non val proprio la pena.
Eppure, come si è detto per i “disadattati”, anche le persone down possiedono una marcia in più, che va individuata nella loro squisita sensibilità, dilatata fino ad abbracciare la specialità della sensibilità extrasensoriale. Qualità eccelsa, ma assai poco apprezzata da una società che sembra essere affetta da concreteness con staticità cronica. Brutta faccenda, che non tiene conto di una realtà esistenziale di notevole rilevanza: non ci fossero le creature down, l’Umanità non potrebbe permettersi d’includere nel numero delle proprie caratteristiche sostanziali la Bontà e la Purezza integrali. Se, malauguratamente, la loro sensibilità viene bistrattata, succede che i down entrano in uno stato esistenziale molto simile a quello dei disadattati, le cui conseguenze, però, si differenziano parecchio per quanto riguarda la loro incisività disgregante e distruttiva. Il soggetto down trascurato, offeso ed oppresso, si chiude in se stesso, trastullandosi disperatamente con quel poco che ha in sé fin dalla nascita. La percezione del mondo esterno si offusca ed infine scompare. Neanche si sforza di comunicare con chicchessia. Ha avvertito l’assenza d’amore e non l’accetta. Questo è quanto basta a lui per rifiutare istintivamente e in blocco il mondo com’è. Diventa ripetitivo nelle azioni, il cui numero decresce col trascorrere del tempo, perché la singolare varietà del suo mondo interiore non è stata capita ed apprezzata neanche un po’. Non ha avuto né lo spazio naturale per esprimersi né l’accettazione nell’ambito del reclusorio sociale e quindi s’è spenta, e quella del mondo allestito dai “normali” è di una monotonia tale che non lo entusiasma affatto. E per un down, un’esistenza priva di entusiasmi forti che per lui scaturiscono da piccole cose, ma che ad un esame più attento risultano tutte essenziali per un’esistenza degna di essere vissuta, è un modo di vivere che non origina stimoli volti al miglioramento della propria persona. Ben presto si rassegna (tutte le sue cellule si rassegnano, non soltanto quelle cerebrali) a condurre una vita prettamente animale, fors’anche soltanto vegetativa, senza neanche i conforti che gli altri animali ricevono dalla piena appartenenza ad una specie precisa e subendo, invece, buona parte delle stesse angherie che i “normali” riservano a tutti gli animali. Eliminazione compresa. Eh, sì: non ho mai visto condannare severamente un genitore che in un modo o in un altro abbia soppresso il proprio figlio handicappato. Fatto inquietante, in un Paese sollecito nel condannare chi ruba per fame, dopo averlo ridotto alla fame. E nemmeno ho udito pronunciare pubblicamente parole di marcato disprezzo nei confronti di quei genitori che non riconoscono i loro neonati down e li abbandonano a un destino in cui verrà a mancare l’unico supporto valido, e l’unico richiesto, alla loro squisita diversità, malvista dai quelli che, non capendo nulla della questione esistenziale, si sentono tutti uguali sulle basi di quel poco che conoscono e con fastidio allontanano dalla loro vista la diversità, per loro incomprensibile. Arroccati nella loro piatta uguaglianza culturale di pensiero, manco lontanamente potrebbero capire il senso e le implicazioni esistenziali emanate da una frase di William Blake di questo calibro:
Purtroppo, un individuo come Fabio è considerato solamente un handicappato, i cui consigli vanno tosto elusi con un compassionevole sorriso di circostanza. E, di meditarci su, non val proprio la pena.
Eppure, come si è detto per i “disadattati”, anche le persone down possiedono una marcia in più, che va individuata nella loro squisita sensibilità, dilatata fino ad abbracciare la specialità della sensibilità extrasensoriale. Qualità eccelsa, ma assai poco apprezzata da una società che sembra essere affetta da concreteness con staticità cronica. Brutta faccenda, che non tiene conto di una realtà esistenziale di notevole rilevanza: non ci fossero le creature down, l’Umanità non potrebbe permettersi d’includere nel numero delle proprie caratteristiche sostanziali la Bontà e la Purezza integrali. Se, malauguratamente, la loro sensibilità viene bistrattata, succede che i down entrano in uno stato esistenziale molto simile a quello dei disadattati, le cui conseguenze, però, si differenziano parecchio per quanto riguarda la loro incisività disgregante e distruttiva. Il soggetto down trascurato, offeso ed oppresso, si chiude in se stesso, trastullandosi disperatamente con quel poco che ha in sé fin dalla nascita. La percezione del mondo esterno si offusca ed infine scompare. Neanche si sforza di comunicare con chicchessia. Ha avvertito l’assenza d’amore e non l’accetta. Questo è quanto basta a lui per rifiutare istintivamente e in blocco il mondo com’è. Diventa ripetitivo nelle azioni, il cui numero decresce col trascorrere del tempo, perché la singolare varietà del suo mondo interiore non è stata capita ed apprezzata neanche un po’. Non ha avuto né lo spazio naturale per esprimersi né l’accettazione nell’ambito del reclusorio sociale e quindi s’è spenta, e quella del mondo allestito dai “normali” è di una monotonia tale che non lo entusiasma affatto. E per un down, un’esistenza priva di entusiasmi forti che per lui scaturiscono da piccole cose, ma che ad un esame più attento risultano tutte essenziali per un’esistenza degna di essere vissuta, è un modo di vivere che non origina stimoli volti al miglioramento della propria persona. Ben presto si rassegna (tutte le sue cellule si rassegnano, non soltanto quelle cerebrali) a condurre una vita prettamente animale, fors’anche soltanto vegetativa, senza neanche i conforti che gli altri animali ricevono dalla piena appartenenza ad una specie precisa e subendo, invece, buona parte delle stesse angherie che i “normali” riservano a tutti gli animali. Eliminazione compresa. Eh, sì: non ho mai visto condannare severamente un genitore che in un modo o in un altro abbia soppresso il proprio figlio handicappato. Fatto inquietante, in un Paese sollecito nel condannare chi ruba per fame, dopo averlo ridotto alla fame. E nemmeno ho udito pronunciare pubblicamente parole di marcato disprezzo nei confronti di quei genitori che non riconoscono i loro neonati down e li abbandonano a un destino in cui verrà a mancare l’unico supporto valido, e l’unico richiesto, alla loro squisita diversità, malvista dai quelli che, non capendo nulla della questione esistenziale, si sentono tutti uguali sulle basi di quel poco che conoscono e con fastidio allontanano dalla loro vista la diversità, per loro incomprensibile. Arroccati nella loro piatta uguaglianza culturale di pensiero, manco lontanamente potrebbero capire il senso e le implicazioni esistenziali emanate da una frase di William Blake di questo calibro:
“Unica legge per il Leone e il Bue è già oppressione.”
Eppure, sotto il peso di un’unica legge uguale per tutti, asfissiante l’individualità dello spirito, ci vivono quotidianamente, o, perlomeno, sono convinti di riuscirci. Aspettandomi quale comprensione e quali vantaggi sociali, dovrei sprecare il fiato per dir loro che un’unica legge per Leone, Bue e Down è un’oppressione ancor più barbara?
Lorenzo Lombardi
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la quarta parte di "Il desiderio di un padre" è di imminente pubblicazione
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BIBLIOGRAFIA
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