Cronache da un altro mondo

Disquisizioni e orientamenti su questioni esistenziali, sia spirituali che materiali. In gran parte espressioni originate dal genuino punto di vista di un ragazzo particolare e interpretate fedelmente da chi ha avuto modo di conoscere profondamente le sue qualità speciali e si è assunto l'impegno d'assisterlo con precisione nello sviluppo e nell'esposizione delle sue idee e sentimenti, confidando in un esito piacevole e fruttuoso. [Leggere "PRESENTAZIONE" nell'archivio - 12/06/2006]

11.8.06

XII° - 10 AGOSTO, NOTTE DI SAN LORENZO e IL DESIDERIO DI UN PADRE





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Per chi desiderasse fare qualche riflessione assieme a noi cliccare:
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10 AGOSTO, NOTTE DI SAN LORENZO
"Cadono" le stelle, un'illusione che sembra un evento apocalittico. Mi abbandono a una meditazione che prevedo durerà molto a lungo, lasciando il pensiero libero di vagare ove più gli aggrada, e so già che, quando sarà l'alba, non so dire di quale giorno, esprimerò infine un desiserio molto forte, assoluto. Se le stelle lo esaudiranno, mi sarò tolto dal cuore il peso più grande.
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IL DESIDERIO DI UN PADRE
In seguito a una meditazione lunga e spinosa, che ha voluto accertarsi di quante sintesi valide si sia effettivamente riempito il mio baule delle esperienze e osservazioni, è sorto in me il desiderio di esporre alcune riflessioni, abbastanza particolari, sulla figura di mio figlio Fabio, un ragazzo che oggi ha vent'anni ed è contraddistinto da trisomia 21. Inizierò il mio discorso, un insieme di pensieri che inevitabilmente andrà zigzagando parecchio a causa di un mio intenso coinvolgimento emotivo nelle svariate problematiche della nostra epoca miseranda, riportando alcune parole del professore israeliano Reuven Feuerstein, tratte dal libro da lui scritto in collaborazione con i colleghi Yaacov Rand e John E. Rynders. Parole che molti avranno già ascoltato, ma... repetita iuvant, specialmente se fatte rieccheggiare nella melmosa palude che andrò scandagliando, in cui mi sembra che si trovi immersa una moltitudine di duri d'orecchio e di altro, invischiati da pregiudizi radicati nei punti di melma più nera. Considero queste parole di Feuerstein fondamentali per aprire un serio discorso su un down, malgrado che si trovino collocate in un testo che porta un titolo quantomeno controverso, se messo in relazione a quanto io mi riprometto di esporre con il mio pensiero errabondo: "Non accettarmi come sono". Comprendo perfettamente che si tratta di un titolo deliberatamente provocatorio e al contempo volto a stimolare in maniera energica, tuttavia...
(1)"I genitori devono sapere che il cromosoma in eccesso, quello che provocherà la sindrome di Down, è un cromosoma perfettamente normale, che deriva direttamente dal padre o dalla madre. In altri termini non viene da chissà chi o da chissà dove, non è un cromosoma cattivo o malato. Devono anche sapere che, poiché è da loro stessi che provengono i cromosomi, il bimbo affetto da sindrome di Down somiglierà a loro e a tutti i membri della famiglia. Il loro figlio, un essere umano come tutti gli altri e in quanto tale diverso da tutti gli altri, sarà unicamente loro."
Effettivamente "più loro" di quanto lo possa essere per i propri genitori qualsiasi altro figlio "normodotato".
Trovo in queste parole, scritte da un autorevole esperto in trisomia 21, i presupposti migliori per convincermi che questo cromosoma "in eccesso"(o "superstite", se i 47 cromosomi vengono rapportati ai 48 cromosomi dell'orango e ai 46 dei "normali", argomento fascinoso su cui vedrò di soffermarmi in seguito) non può essere estraneo all'insieme di fattori che originano e sviluppano l'intenso affetto che Fabio nutre per i propri genitori. Un'intensità, neanche lontanamente riscontrabile nei figli cosiddetti "normali" che, per l'appunto, questo cromosoma in più non hanno. Un'intensità eccezionale che tuttavia non viene mai evidenziata da esagerazioni smodate e preferisce manifestarsi con la concretezza degli atteggiamenti e delle azioni, piuttosto che con la vacuità delle parole.
Questo sentimento, che per Fabio è il bene più prezioso, rende estremamente vigile il ragazzo e con frequenza e costanza lo impegna in una verifica di merito: sia per quanto riguarda la sua capacità di saper conquistarsi l'affetto dei genitori, sia per quanto concerne l'idoneità dei requisiti dei genitori ad essere l'oggetto del suo sentimento appassionato. Ed è in stretta relazione con questa sua vigilanza premurosa che oggi, tra le tante cose che Fabio mi ha fatto comprendere nella loro precisa essenzialità, posso annoverare con sicurezza anche questa: i genitori non possono vantare specifici diritti naturali sulla loro prole, in quanto nei confronti dei figli hanno soltanto doveri. Non escluso il dovere di farsi amare. E, per determinare meglio il concetto, voglio dire soltanto che sono proprio le modalità della nascita, assolutamente prive di volontarietà, che sanciscono l'incompatibilità di un qualsiasi diritto, vantato dalla coppia genitrice, con il rapporto che si dovrebbe instaurare naturalmente tra genitori e figli. Inoltre, concetto da tener ben presente assieme a tutte le sue molteplici implicazioni, una coppia non ha alcun diritto naturale ad avere un figlio, mentre il figlio ha il sacrosanto diritto ad avere i propri genitori. Entrambi, non c'è da discuterne neanche per un secondo. E genitori convenientemente non fiaccati dal peso di un'età avanzata. Sono regole inequivocabili di un naturale stato di cose che suole perdurare per un lasso di tempo piuttosto lungo, trascorso il quale il rapporto tra genitore e figlio inizia a ricomporsi nella consuetudine delle relazioni che intercorrono tra due individui, caratterizzate dallo sviluppo delle loro rispettive personalità. All'affetto infantile e giovanile subentra il rispetto premuroso, se del rispetto è stato meritato.
Al concetto appena espresso è legato il ricordo di una piccola emozione che ho provato qualche anno fa. Piccola, ma grande nella sua essenza.
Mi ero recato nella palestra di karate "Ren Bu Kan" di Treviso, consigliatami dal professore di educazione fisica di Fabio, con l'intenzione d'iscrivervi, per l'appunto, mio figlio. Al momento del mio ingresso, una signora stava impegnando la segretaria a cui avrei dovuto rivolgermi e perciò, nell'attesa, m'ero messo a scrutare l'ambiente in cui ero venuto a trovarmi. Il mio sguardo non aveva tardato molto a posarsi su uno scritto incorniciato in maniera molto semplice, che si trovava appeso a una colonna di quel locale. Questione di preferenza personale: piuttosto del mobilio o delle tante coppe trionfali esposte in un'ampia bacheca, era stato quello scritto ad attrarre maggiormente il mio interesse, vagabondo durante l'attesa. Mi sono messo a leggerlo e... benedetta quella signora che mi aveva dato, sebbene involontariamente, il tempo di guardarmi un po' d'attorno e notare il quadretto con quello scritto! Oh, sì! Perché, terminata la lettura, la mia mente ha prontamente formulato questo pensiero: "Se qui vengono esposte cose come questa , qui ci dev'essere gente in gamba." e con fresco entusiasmo ho iscritto mio figlio al corso di karate. Cos'era scritto in quel foglio di carta incorniciato? Ecco, questo è il testo:
"I tuoi figli
E una donna che aveva al petto un bambino disse:
Parlaci dei figli.
Ed egli disse:
I tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, non le tue idee.
Tu puoi dare memoria al loro corpo, non alla loro anima.
Perché la loro anima abita nella casa dell'avvenire,
dove a te non è dato entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro,
ma non volere che essi assomiglino a te.
Perché la loro vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l'arco che lancia i figli verso il domani."
Gibran Kahlil Gibran (squisito poeta libanese)
Verso quale domani posso, io, lanciare mio figlio Fabio? Intorno a me non scorgo una sola oasi che potrebbe ristorarlo soavemente o, quantomeno, sufficientemente durante tutto quel tempo in cui io non sarò più al suo fianco. Quel che posso fare è prodigargli tanto amore, ma... questo basterà? In un mondo in cui le sofferenze e i lutti più innaturali vengono distribuiti quotidianamente, senza parsimonia e con noncuranza beota?
Fabio si nutre d'amore e desidera assaporarlo nei comportamenti di tutti i giorni. Non gli può mancare: è questa la fonte da cui attinge la sicurezza da infondere al suo "Io". Tanto amore: tutta la sua casa deve esserne piena, gonfia. Come se le pareti pressurizzassero le stanze, in modo tale da far sì che, nel momento in cui Fabio apre l'uscio per andare a scuola o altrove, una folata d'amore domestico si sprigioni dall'abitazione e lo accompagni ovunque egli vada, vegliando su di lui meglio di un fantastico angelo custode.
Egli percepisce, in maniera per noi straordinaria, stupefacente, finanche la minima variazione dell'atmosfera famigliare e, allorquando io e mia moglie, magari afflitti da una qualche traversia della vita o dalle occasionali angustie originate dalla collisione tra le istanze esistenziali di Fabio e i triviali preconcetti sociali, siamo comunque convinti di recitare alla perfezione la parte di genitori sereni, egli non tarda mai a formulare questa precisa domanda: -Cosa c'è che non va?- e poi esige spiegazioni esaurienti, altrimenti il suo volto lievemente crucciato non si rasserena. Questa sua abilità percettiva viene comunemente, e forse abbastanza banalmente, definita con la locuzione "sesto senso", e, trascurando di approfondire ora quest'argomento atipico, mi preme dire che la presenza di questo "sesto senso" nei soggetti contraddistinti da trisomia 21 è confermata da tutti quei genitori che hanno seguito con sincero trasporto emotivo lo sviluppo psicofisico di queste loro creature partiolari e sono stati accortamente premurosi nell'evitare che crescessero a precisa somiglianza dei "normali". Quindi, a riguardo di questo "sesto senso", si può ben dire che si tratta di una dote peculiare dei cosiddetti down e... che dote! Senz'altro generata e affinata dalla loro straordinaria sensibilità intima e anche questa, parimenti alla straordinaria capacità di amare, non riscontrabile agli stessi livelli eccellenti nei "normali". Di sicuro, l'individuo che la possiede e la manifesta con regolarità non va trascurato. Neanche un po'! E non può essere di scarso interesse conoscerlo a fondo, capirlo. Una conoscenza e una comprensione che, in un individuo attento e non prostrato dall'ignavia emanata dal sociale, agevolano molto il raggiungimento della Verità Esistenziale. E, a proposito di questo, ecco un minuscolo spunto che si presta volentieri ad essere dilatato fino alle stelle: - Non primeggerai con i ragionamenti e le parole, ma, stai tranquillo, i tuoi Istinti sono stati potenziati e nel corso della tua vita sarai guidato più rettamente di chiunque abbia riposto nelle parole e nei ragionamenti il fondamento del proprio vanto.- Beh, non è che io senta realmente una voce proferire queste parole, per carità!, ma, dopo aver osservato con premura il comportamento di Fabio lungo il trascorrere degli anni, il senso di queste parole immaginarie è diventato una mia convinzione sicura. Solo mia? Bah, in un mondo fatto di ragionamenti e di parole, diventato quasi del tutto artificiale a suon di parole e ragionamenti, non credo che ci siano molte persone propense ad interessarsi a certi aspetti della realtà naturale. Per quanto rivelatori di cose buone essi siano. La stragrande maggioranza preferisce ignorare, non vedere, non impegnarsi. E il guaio maggiore per Fabio sarà, ed in parte già lo è, la triste condizione di dover continuare a muoversi in un ambiente affatto naturale e di venir valutato esclusivamente su quello che saprà dire in pubblico e, forse, proprio nessuno andrà, per comprendere qualcosa, con il pensiero alla Natura, che non usa parole eppure esprime chiaramente tutto l'Essenziale che possiede il Valore Esistenziale maggiore. In un ambiente naturale, ove l'azione gratificante mossa dalla necessità essenziale e la calma che sa assaporare i gusti e i piaceri e il silenzio che dà la precisa cognizione del "Sé" sarebbero valori di primo piano, Fabio non incontrerebbe difficoltà alcuna nel condurre in maniera soddisfacente e significante la propria esistenza. Tante difficoltà, invece, deve sforzarsi a superarle per adattarsi solo un po' all'artificiosità diffusa in un ambiente che risulta frustrante finanche per chi down non è. Comunque, già la valutazione delle differenze risultanti dal confronto tra un mondo ideale possibile e quello presente nella realtà odierna, allestito in toto dai "normodotati", assegna un bel punto a favore dei down. Ed è un "punto" che suggerisce molto di più di quanto possa essere intuito d'acchito ed è, forse, per questo motivo preciso che molti genitori accudiscono le loro creature dotate di 47 cromosomi adottando quei nobili criteri con cui è corretto prendersi cura di un oracolo, ritenuto rivelatore incorrotto e incorruttibile. Gli antichi nostri progenitori avevano intuito che gl'individui "particolari", visibilmente separati dalla somiglianza generale, andavano venerati come diretti inviati degli dei a testimonianza terrena di verità metafisiche. La Bontà perfetta è una presenza, è una realtà, e non un concetto astratto mai perfettamente ralizzabile. Ugualmente la Purezza. (Non sono opere dell'Uomo.) Ecco cosa sta a testimoniare Fabio, ecco quale è il perfetto valore esistenziale dei down: testimonianza, confronto, invito alla meditazione per i distratti, affinché non scordino che una Strada Maestra c'è e va coscientemente percorsa. La vita è troppo breve perché possa essere importante di per se stessa. Ma se anche fosse lunghissima, tremila, quattromila anni, avendo essa un termine sarebbe comunque un nulla, se priva di finalità riconoscibili, precise, eterne. Che me ne farei di un nulla, sapendo per giunta che il tempo è un'illusione tutta terrena? Varrebbe la pena di mantenerlo in essere, codesto nulla, dall'inizio alla fine? Con un finale capace di annullare l'inizio?
E' pur vero, purtroppo, che non tutti i genitori di figli down rispettano appieno l'affetto profuso dalle loro creature. Alcuni tendono a utilizzare il tenace affetto del down, senza corrisponderlo adeguatamente, per ottenere l'espletamento di svariate mansioni domestiche, o comunque lavorative secondo le attività famigliari, e presto si trovano con la mesta macchietta di un maggiordomo, o di un operaio che per indole non declasserà mai se stesso alla stregua di operaio, che gironzola per casa svogliatamente servizievole. Altri, che hanno improntato l'educazione del portatore di trisomia 21 a imitazione dei cosiddetti "normodotati", si rassegnano altrettanto presto a ridurre il rapporto positivo con il loro figliolo a una costante messa in evidenza dei suoi aspetti più "buffi", che reputano esaltanti la sua particolare simpatia, mentre sono soltanto il brutto frutto di un'educazione completamente errata, che instaura nel down un comportamento imitativo che risulta caricaturale.
E' d'uopo non dimenticare mai che, se un "normale" si mette a dire "tricche ballacche" e a fare scostumati gesti ridicoli, o altre scempiaggini simili, la gente ride di gusto, se lo fa un down, viene commiserato fino alle lacrime, fatte sgorgare da risate oltremodo sguaiate. Esempi di questa ignobile differenza comportamentale, radicata nei "normodotati" dalla loro cultura tenacemente orientata a supervalutare se stessa, ce li ha fatti vedere perfino la tivù.
Altri ancora sopportano la presenza del down nella propria famiglia soltanto ignorandolo, lasciandolo abbandonato a se stesso pressoché completamente. Tre esempi di condotta, questi da me elencati, che ne compendiano molti altri e, in verità, attualmente riscontrabili con minor frequenza di quanta in passato. Condotte, comunque, che anche al giorno d'oggi rendono alcune creature down delle persone confuse, disorientate, e prive di qualsiasi sprone a far progredire convenientemente il proprio "Sé". Venendo a mancare ciò che per loro è la ragione prima dell'esistenza, cioè essere compresi con amore e avere almeno un oggetto degno del loro attaccamento schietto, non sanno dare importanza a nient'altro, non riescono, differentemente dai "normali", a dirottare sull'insignificante il loro interesse istintivo per il significante, e una brutta regressione s'impossessa di loro rapidamente, facendone scempio, nel più impressionante significato del termine. In alcuni casi disgraziati, la morte, presentandosi addirittura con l'agghiacciante aspetto "stuporale", può sopraggiungere per mettere fine alle sofferenze spirituali di un down. Sono, forse, l'immagine e la sostanza di questi poveri infelici, esseri umani disgraziati (non per colpa della Natura, ma soltanto per stolto demerito dell'Uomo) oltre ogni immaginazione elaborabile dai "normali", che devono servire alla determinazione scientifica delle caratteristiche peculiari dei soggetti down? Credo proprio di no. E' innegabile, ad esempio, che i down non abbiano in dote un'efficace attitudine ad elaborare convenientemente un fallimento di rilievo, una perdita importante, un lutto (in assenza di un ambiente naturale, integro nell'elargire i suoi tanti ed efficaci lenimenti, la cui mancanza origina pesanti difficoltà anche nei "normodotati") e, se la già flebile capacità non viene rafforzata in maniera sollecita, svanisce del tutto, in quanto non può avvalersi nemmeno di quel sostegno straordinario che le verrebbe elargito con squisita prodigalità da un ambiente perfettamente naturale, ma è pur vero che anche un bimbo "normale", se trascurato, non realizza e non fortifica un granché di se stesso. Esempi di sviluppo psichico disastroso ce ne sono a milioni tra i "normodotati" e con risvolti assai peggiori di quelli relativi alla trisomia 21. Esempi che, malauguratamente, possiamo riscontrare con una certa facilità pure tra i governanti di tante Nazioni. Inoltre, si può osservare nel quotidiano che anche ai migliori esponenti del genere umano succede qualcosa di strano, anzi: di brutto, se avvertono acuta repulsione per l'ambiente che li circonda. Finiscono con l'impinguire la folta schiera dei "disadattati", termine che, per fortuna, ai giorni nostri suona come il miglior complimento che si possa fare a degli individui. Si spera ardentemente che in un futuro prossimo si arrivi a capire che pure il termine "down"(meglio se mutato in "candido" o qualcos'altro di simile) è degno di diventare oggetto di un certo tipo di distinzione e prestigio. Oggi, "disadattato" non è più quella parola che un tempo, appiccicata a mo' d'etichetta scostante sulle spalle di una persona dal "razionale" giudizio di uno psicologo di Stato, con il suo enorme gravame sociale schiacciava in maniera progressiva l'essere umano durante tutto l'arco della sua esistenza. D'altronde, e peccato che i saggi veri rimangano sempre inascoltati, già un secolo fa Jung aveva fatto un'interessante constatazione sui "disadattati", disprezzati dal sistema sociale, in seguito avallata pure dal pensiero di Adler con codesta osservazione precisa:
"Tali soggetti dimostrano di essere in grado di realizzare un facile adattamento all'ambiente, ma che non accettano di conformarsi con gli altri. Vi è in loro come una maggior carica di energia vitale, una sorta di eccesso di forza psichica, che oltrepassa generalmente la media e che non incontra una via adeguata in cui sfociare."
In altre parole: costoro hanno una marcia in più rispetto alle masse dei socialmente integrati, che sovente ne hanno qualcuna in meno della media 4, attribuita all'uomo quando lo si paragona a un'automobile, ma non vogliono azionare né questa né le altre quattro, in quanto ripugna loro contribuire in qualsiasi modo alla propulsione di un Sistema tracotante, spudoratamente oltraggioso nei riguardi di ogni essere vivente e devastatore del prezioso ambiente naturale. La loro sofferenza è tremenda, in quanto vivono, oppure vegetano, sospirando un mondo diverso, razionalmente possibile, ma relegato tra gl'ideali utopici da un Sistema che si avvale delle masse, omogenee nella loro cecità psichica, per imbrigliare pure quei pochi che non si sono lasciati abbindolare dalle folli e perenni promesse di miglioramento sociale, fatte a iosa dai sostenitori del Sistema mostruoso che, in maniera chiaramente visibile, è malignamente diretto a tutta birra verso il peggio.
Erich Fromm, il Grande Saggio del secolo scorso, disquisisce con mordente perentorio sull'argomento or ora preso in esame. Val la pena di riascoltare le sue parole che, a quanto pare da un'occhiata data all'ambiente in cui viviamo, non sono state ripetute a sufficienza. Piluccando qua e là nel testo Psicanalisi della società contemporanea, cercherò di ricomporre e riproporre qui una parte importante del pensiero di Fromm, che aiuterà la comprensione delle finalità che questo mio scritto si propone. Finalità, che possono essere sintetizzate in questa maniera: se è dimostrabile, e quindi dimostrato, che questa nostra società è profondamente malata e non presenta cenni di guarigione, qualsiasi giudizio da essa espresso va preso con le pinze. Sì, con le pinze, ma solamente per gettare lontano ogni suo giudizio, senza farsi scottare in maniera incurabile e per lo più mortale. Questo vale anche per il giudizio da essa espresso sui down.
(2)"E' opinione assai comune che noi, occidentali del ventesimo secolo, siamo gente perfettamente equilibrata. Nemmeno il fatto, che nella nostra società un gran numero di persone soffra di forme più o meno gravi di malattie psichiche, provoca il minimo dubbio riguardo al livello complessivo della nostra salute mentale. Siamo convinti che, con l'adozione di migliori metodi di igiene mentale, riusciremo a migliorare sempre più lo stato della nostra salute psichica (in realtà peggiorata enormemente dal 1955, anno in cui Fromm ha pubblicato questo suo testo), e consideriamo le singole forme di squilibrio come incidenti di natura strettamente individuale, stupendoci semmai che essi siano così numerosi in una civiltà ritenuta tanto sana."
"I sociologi contemporanei presuppongono che ogni società sia normale in quanto funziona, e che la patologia possa essere definita soltanto nei termini di un mancato adattamento individuale al tipo di vita proprio di tale società."
Invece "la salute mentale viene raggiunta se l'uomo si sviluppa, sino a raggiungere la maturità completa, in accordo con le caratteristiche e le leggi della natura umana, e le malattie mentali consistono in un mancato sviluppo in questo senso. Date tali premesse, il metro di giudizio della salute mentale non sarà stabilito in rapporto all'adattamento individuale in un dato ordinamento sociale, ma dovrà essere universale, valido per tutti gli uomini, e in grado di dare una risposta soddisfacente al problema dell'esistenza umana."
"Si ritiene ingenuamente che, se certi sentimenti o certe idee sono condivisi dai più, essi sono giusti. Niente è più lontano dal vero. La convalida consensuale in sé non ha nulla a che vedere con la salute mentale. Come c'è una "folie à deux", così c'è una "folie à millions". Il fatto che milioni di persone condividano gli stessi vizi non fa di questi vizi delle virtù, il fatto che essi condividano tanti errori non fa di questi errori delle verità e il fatto che milioni di persone condividano una stessa forma di malattia mentale non fa che questa gente sia sana.
C'è tuttavia una differenza importante tra malattie mentali individuali e sociali, che suggerisce una differenziazione tra i due concetti: quello di "deficienza" e quello di "nevrosi". Se una persona non riesce a raggiungere libertà, spontaneità e genuina espressione di sé, si può ritenere che essa abbia delle gravi forme di deficienza che generano una nevrosi manifesta. Se poi questa meta non è raggiungibile dalla maggioranza dei membri di una società, allora abbiamo a che fare con il fenomeno di una deficienza socialmente strutturata. L'individuo la condivide con molti altri e perciò non crede si tratti di una deficienza e quindi la sua sicurezza non è minacciata dalla consapevolezza di essere diverso in quanto malato. Ciò che può aver perso in ricchezza spirituale, in sentimento genuino di felicità, in capacità di comprensione è compensato dal senso di sicurezza datogli dall'adattamento al resto dell'umanità che si trova nelle sue stesse condizioni. In effetti può avvenire addirittura che proprio questa deficienza sia stata elevata a virtù (la questione degli "zeri") dalla sua cultura e che pertanto gliene derivi un accresciuto sentimento di successo."
Mentre trattasi di un fallimento esistenziale clamoroso, completo, mortale per lo spirito.
"Oggi ci incontriamo con persone che agiscono e sentono come automi: che conoscono se stessi non come sono nella realtà, ma come gli altri si attendono che siano, il cui sorriso convenzionale ha sostituito la risata genuina, le cui chiacchiere insignificanti hanno sostituito il colloquio comunicativo, la cui opaca disprazione ha preso il posto di un'autentica sofferenza. Due cose si possono dire per costoro: una è che soffrono di una mancanza di spontaneità e di individualità che può sembrare incurabile; nello stesso tempo si può anche rilevare come essi non sono essenzialmente diversi da milioni di altri che si trovano in eguali condizioni. alla magior parte di loro la cultura fornisce strutture che li mettono in grado di vivere con una deficienza senza dare la parvenza di essere ammalati. E' come se ogni cultura fornisse il rimedio contro le esplosioni di evidenti sintomi nevrotici, conseguenza della deficienza che questa stessa cultura ha provocato.
Supponiamo che nella cultura occidentale il cinema, la radio, la televisione, gli avvenimenti sportivi e i giornali vengano sospesi per quattro sole settimane. chiuse queste diverse vie di evasione illusoria, quali sarebbero le conseguenze per gente ridotta solo alle proprie risorse? Indubbiamente, seppur in così breve tempo, si registrerebbero esaurimenti nervosi a migliaia (un disastro dell'Io che mai e poi mai potrebbe instaurarsi in un soggetto down) e ancor più sarebbero le persone che cadrebbero in uno stato di ansia acuta non diverso dal quadro clinico di una nevrosi. Se fosse tolto il narcotico contro la deficienza sanzionata, le malattie psichiche si manifesterebbero apertamente.
Ma per una minoranza il modello fornito dalla cultura non funziona. Si tratta spesso di persone la cui deficienza individuale supera il livello medio, cosicché i rimedi (palliativi) offerti dal costume culturale non sono sufficienti per prevenire l'esplosione di malattie manifeste.
Inoltre, ci sono anche coloro la cui struttura di carattere, e di conseguenza i cui conflitti, sono diversi da quelli della maggioranza, cosicché i rimedi validi per la maggior parte degli altri a loro non giovano. In questi gruppi troviamo elementi di rettitudine e sensibilità superiori al comune, che proprio per queste ragioni sono incapaci di accettare il narcotico culturale, ma che nel contempo non sono abbastanza forti e sani da vivere salutarmente "contro corrente"."
Pure i down rientrano in maniera particolare in quest'ultima categoria e si oppongono ad un mondo conformato così com'è stato, da un bel po' di tempo, conformato l'attuale, ma, a differenza dei disadattati che esprimono il loro disgusto con energia, i down patiscono il disgusto in maniera non reattiva e perciò, in un mondo prevalentemente attratto dalle vistose manifestazioni di aggressività frivola, pochissimi s'accorgono del motivo da cui dipende veramente il comportamento singolare che queste dolcissime creature manifestano quando si trovano costrette ad affrontare il sociale.
Ora val la pena, e spetterà al lettore individuare la correlazione tra i miei tanti pensieri in libertà, che io frughi nella memoria per ricordare che Friedrich Nietzsche definì "catastrofe, l'avvento di una dottrina che passa al vaglio gli uomini". Sia nel campo religioso, sia in quello sociale e specificò che (3)"tutta la nostra sociologia non conosce altro istinto che quello dell'armento, ossia degli zeri sommati: dove ogni zero ha uguali diritti, dove è virtuoso essere uno zero."
In sostanza ci è stato detto: guardate che il Sistema vuole rendervi pari a uno zero, perché, se non siete nulla più di uno zero, i padroni del Sistema possono vivere in piena tranquillità la loro usurpazione ben corredata di privilegi. Uno zero deve, per forza, lasciarsi guidare, governare, e gl'impostori si sono inventati il Sistema, viepiù affinato nel corso degli anni, proprio mirando a questo preciso obiettivo.
E sugli "zeri sommati" e la loro "produzione dissennata, saccheggiante e deturpante" ottenuta per mezzo di una forza squilibrata, sprigionata da aggregazioni e mal sopportata dalla Natura che ha allestito le Cose a guisa di palestra confacente in maniera esclusiva alla potenza e capacità del singolo individuo, ci sarebbe molto da dire, ma ora lascio svanire questo pensiero, che merita di essere trattato in maniera estesa ed esaustiva, come ho potuto fare in altre occasioni di scrittura, e mi domando: cosa succede in una società civile a chi "zero" non è e non si rassegna a doverlo diventare per convenienza sociale? Come minimo, gli capita di sentirsi appioppare dalla psicologia disgregante un bel "disadattato", tondo tondo come uno zero e carico di toni di riprovazione finalizzata a schiacciare, a emarginare nella miseria e nel silenzio più duro. E pazienza per questo, se con pazienza si è capaci di sopportare le scelleratezze del sistema sociale, ma, se il disadattato persisterà nel non rassegnarsi civilmente, se proverà in qualche modo ad agire secondo se stesso, come sarebbe naturalmente giusto, "sovversivo" sarà l'epiteto più blando con cui verrà qualificato e nel segreto degli uffici preposti al mantenimento perpetuo degli "zeri" i fascicoli su di lui s'impingueranno a vista d'occhio. Sicuramente, poiché tanto la sociologia quanto la psicologia, allorchè nella pratica quotidiana si configurano come istituzioni dello Stato, diventano discipline condizionate dalla morale, una specie di guida interiore che regola severamente la condotta individuale per mantenerla in armonia con i valori riconosciuti dal gruppo sociale di appartenenza e che, quindi, individuale non lo è affatto, bensì è decisamente collettiva. Ma... valori riconosciuti da chi, nel gruppo? Distinzione insignificante, dato che l'armento ragiona ed agisce secondo le imposizioni del potere, perfino quando crede di criticare autonomamente il potere stesso, perché lo fa secondo certe regole, prefissate e ben tollerate da chi non tollererebbe affatto modalità di critica decisamente autonome. Un effetto tragicamente non insignificante, invece, lo si riscontra nel quotidiano: nel momento in cui un uomo giunge alla "maturità morale", come individuo con Finalità extraterrene si è spento completamente. I significati essenziali di "maturità morale" e "maturità sociale" coincidono sostanzialmente e l'influenza di entrambe esaspera la "restrizione pulsionale" fino a farla diventare repressione cronica delle istanze del "Sé". A questo punto, l'individuo nato da donna non c'è più, al suo posto si trova un prodotto sociale. Mentre in origine egli era una Creazione dell'Onniscienza e dell'Onnipotenza, adesso è una "creazione" dell'Uomo. Comprendere quale sia la differenza, pressoché incalcolabile tant'è enorme, non richiede un gran dispendio di energia cerebrale. Nella creatura rifatta dall'Uomo, si può ben dire, formulando una similitudine, che sia stato innestato una specie di microchip di controllo, e in verità alla realizzazione di un microchip concreto e fruibile mira con ansia il potere, che non permette di essere e agire in conformità con se stessi, con le istanze genuine dell'"Io" che si viene a trovare invalidato da un'entità che lo sovrasta completamente, per l'appunto definita in psicanalisi come "Super-Io", ovvero come forzata interpretazione stentatamente soggettiva della "Coscienza Collettiva" introiettata a suon di tradizione, cultura e proibizioni. L'innesto di questo controllore, non solo innaturale ma anche inumano, viene eseguito col bisturi del "senso di colpa", alla cui precisa e penetrante fattura hanno contribuito in primo luogo i genitori della creatura rielaborata. Genitori che, del resto, hanno smarrito per tradizione ogni cognizione dei loro ruoli naturali e riversano sulla loro prole il medesimo trattamento ricevuto, innaturale e spersonalizzante ma molto apprezzato dalla società, poiché non ne conoscono altri.
Osservando i bambini "normodotati", si nota facilmente che la stragrande maggioranza di loro dimostra di essere composta da elementi fondamentalmente cattivi, spesso addirittura perfidi. Altro che bimbi che fanno "Oh!" quando piove! Non hanno peli sulla lingua, loro! Le parole che pronunciano sono taglienti, spietate perché incoscenti. E i genitori, sono il loro inconscio. In certe parti del mondo, forse, i bambini fanno davvero "Oh!" per la meraviglia goduta osservando certi spettacoli naturali, ma il cosiddetto Terzo Mondo è tutt'altra cosa rispetto, per esempio, all'Occidente progredito. Là, più che i genitori, insegna ancora la Natura. Mentre qui e tra non molto dappertutto, i genitori, indaffarati, come sono, a sbarcare il lunario o a racimolare denaro per l'acquisto dell'ultimo oggetto proposto dal mercato che domina i loro desideri, manco si curano d'indagare su quanta Verità vi sia nell'ammaestramento ricevuto dalla tradizione e dall'istruzione obbligatoria che è stata loro imposta e che contiuna ad essere imposta pure ai loro figliuoli tanto amati. ("Istruzione obbligatoria"! Che locuzione pazzesca! Da sola, dovrebbe bastare a far comprendere quanto malamente sia stato improntato, ab ovo, il civile ménage della grande "famiglia" sociale.) Se trovassero il tempo necessario per un'indagine e una conseguente meditazione, fatte con gran cura e serietà (e perché mai non riescono a trovarlo per ciò che dovrebbe essere l'interesse preponderante della loro esistenza?!), magari potrebbero anche scoprire che "tutta l'educazione fu sinora negletta, senza punto d'appoggio, affetta dalla contraddizione dei valori.", come asserì Nietzsche, dopo aver vagliato con acume schietto i tanti difetti, incorreggibili e micidiali, delle civili aggregazioni sociali, che non hanno alcuna ragione naturale di essere. E nelle menti dei genitori più attenti al mantenimento dell'integrità psichica delle proprie creature potrebbe farsi strada la comprensione precisa e profonda di quanto viene espresso e sottinteso da codeste parole di Bertrand Russell: "Gli uomini nascono ignoranti, ma non stupidi; la stupidità è il risultato dell'educazione." Ma che, oramai, nessuno provi il desiderio intimo di fare simili meditazioni, sembra una stato spirituale definitivamente universalizzato e cristallizzato. Le rare eccezioni vengono accortamente impacchettate nelle apposite scatole del silenzio dagli addetti alla diffusione culturale, affinché non possano fungere da esempio, da sveglia. Non c'è voglia e non c'è tempo: l'Esistenza è ridotta a mero valore terreno e nella terra si conclude. La Coscienza Collettiva ha stabilito che tutto ciò che mantiene in essere la Società è "bene" e tutto ciò che si prefigge di estinguere a qualsiasi costo, per quanto oneroso e terribile esso sia, questa umana, e solamente umana, maligna fonte continua di errori irreparabili è "male".
Mi sembra... dico "mi sembra" perché il mio pensiero sta vagando dove vuole lui, come è accaduto in quella lunga nottata speciale, che non ricordo proprio per quanti giorni sia durata... mi sembra di aver sfiorato una problematica tra quelle decisamente centrali per l'Umanità. L'ho rasentata sfuggevolmente, ma quanto basta a permettermi di assegnare, nel confronto che consciamente o inconscamente sto facendo, un altro punto a favore dei down. Infatti, prendendo Fabio ad esempio, non riscontro nei down la devastante influenza della Coscienza Collettiva eppure, alla faccia dei moralisti di ogni epoca e dei loro sproloqui infettivi, vedo i down comportarsi assai meglio, più correttamente, degli esseri umani con 46 cromosomi. (E in seguito prenderò in considerazione molto di più. Lo so già che non riuscirò ad imbrigliare il mio pensiero, neanche durante la più ligia rivisitazione delle mie rimembranze, una volta che gli ho permesso di manifestarsi liberamente.) Si comportano con maggior bontà e comprensione, dimostrando, insomma, una squisita, naturale tolleranza verso tutti e tutto. Inoltre e soprattutto, nei down non agisce la volontà distruttiva e consumistica. Loro guardano, assaporano e non devastano. Una condotta che solo oggi, e per influenza diretta della paura che è arrivata a bussare a quasi tutte le porte, comincia ad essere apprezzata come necessaria alla sopravvivenza. Alla sopravvivenza di quegli stessi esseri cocciuti e arroganti che tale condotta hanno fin qui disdegnato, in quanto mal s'accordava con i loro "intelligenti" concetti di produzione e progresso.
Illuminato dalla mia esperienza, mi viene spontaneamente facile la comprensione di una determinata affermazione fatta da Carl Gustav Jung che, a questo punto dei miei pensieri, ha il pieno diritto di occupare un po' di posto. Dopo aver argomentato squisitamente sul tema dell'autenticità dell'esistenza, la quale dipende dalla capacità di essere individualmente se stessa al di là delle norme collettive, Jung conclude dicendo: "Quanto più l'uomo è sottoposto a norme collettive, tanto maggiore è la sua immoralità individuale." Una elementare, quanto ineludibile, questione di fisica: comprimi e comprimi il palloncino e questo prima o poi scoppierà. E siccome trova difficoltà a scoppiare dal lato delle norme e delle leggi, poiché da questo lato ci sono gl'impedimenti posti dalla violenza delle leggi coadiuvate dalle armi, scoppia in prevalenza e disdicevolmente dal lato del privato. Però... però, la Natura, che non si fa intimidire dalla violenza istituzionalizzata da uomini che indossano pezzi di stoffa pacchianamente agghindati, non desisterà mai dall'insistere nella sua opera di abbattimento dell'artificiale, finché, per l'appunto, non l'avrà eliminato definitivamente. Non è la realtà del "privato" ciò che preoccupa la Natura. Essa sa perfettamente, Onniscientemente, che il "privato" è fortemente condizionato dai pesi artificiali scaricati su di esso dalle varie istituzioni umane. Eliminati i pesi, il "privato" rientrerebbe automaticamente nell'ambito di una condotta correttamente naturale e quindi significante nella qualità spirituale voluta dal Progetto Supremo. Malauguratamente, un fattore complica le cose in modo determinante, terribilmente determinante, benché non insuperabile per la Natura: "al giorno d'oggi il potere dei governi sulle convinzioni delle masse è molto più grande che in qualsiasi epoca passata.", e in assenza di una presa di coscienza da parte delle masse, sulla necessità impellente di un cambiamento senza mezze misure, ogni speranza di ottenere un "mondo migliore", e in primo luogo adatto all'espressione di esistenze significanti, resta una utopia.
Non va smarrita la prospettiva temporale che ci permette di quantificare quanto siano peggiorate le cose dal "giorno d'oggi" di Russell fino all'attuale quotidiano oltremodo disgraziato.
Questo stato di irreggimentazione nella menzogna oggi globalizzata, in cui sono sprofondate (definitivamente, sembra) le masse, impedisce che venga messa in atto dalla Natura una qualche soluzione morbida che sia fondata sul ravvedimento sincero dell'uomo e che, quindi, ne veda la volenterosa partecipazione. Rimanendo preclusa questa via "morbida", alla Natura non resta altra scelta che quella di provvedere Essa stessa, con tutte le sue molteplici forze sovrumane e con modalità durissime, alla cancellazione dell'artificiale e al ripristino del mondo naturale, adatto alle Finalità Esistenziali contemplate nel Progetto Supremo. Una Natura che, da qualche tempo in qua, vediamo tentennare nell'attuazione della sua opera di eliminazione dell'artificiale. Ci sta manifestando le sue intenzioni, inderogabilmente funzionali al Progetto Supremo, con avvisaglie sempre più frequenti, tremende, ma non ancora considerabili come effetti dei suoi colpi più potenti. Essendo madre e non matrigna, Essa, prima di agire in maniera decisa e irreversibile, sta avvertendo l'uomo con espressioni così inequivocabili da sembrare che ci stia parlando schiettamente usando parole che hanno questo senso: "Se continuerete a mantenere la condotta che avete tenuto fino ad oggi, e cioè: se non cesserete di vivere a vuoto, che è un criterio d'interpretazione dell'Esistenza del tutto avverso a quanto il Progetto Supremo propone, tutto diventerà artificiale a causa vostra, insignificante, inutile e privo di finalizzazione superiore, e quindi diventerà opportuno che veniate eliminati con tutto il vostro bagaglio di artificiosità deleterie. Magari non tutti, sicché i pochi sopravvissuti, che proprio perché pochi non verranno sopraffatti dalla confusione ottundente, possano e sappiano riconoscere i tanti errori fin qui commessi e riprendano il corso di un'Esistenza con Finalità Eterne, per cui la Vita E', e non unicamente e sterilmente terrene." Chiaro, no? Mi sembra che tutti dovrebbero aver potuto constatare con i loro cinque sensi di che avvisaglie si tratti e che tutti dovrebbero essere in grado di capirne correttamente il senso. Eppure, nonostante i tanti moniti inequivocabili, ci sono ancora in giro degli emeriti stronzi, con tanta merda propria e altrui nel cranio, che mettono sotto sforzo, per l'appunto la merda che hanno nella testa, solo per continuare ad asserire, in tutte le forme possibili ma tutte da latrina, che "la Natura è sì madre, ma anche il primo nemico dell'uomo, una forza che l'uomo deve piegare per sopravvivere e "progredire". Una vistosa contraddizione di termini. Con tutta probabilità immolata al sacro termine che non si vuol smettere di idolatrare: "progredire". E allora, pur di non "regredire" intelligentemente e sensibilmente, ci s'industria nel diffondere corbellerie di questa portata (e anche peggiori): "I terremoti e lo tsunami ci hanno mostrato nel modo più tragico un fatto oramai dimenticato: che la Natura non si preoccupa del destino degli uomini.". Bisogna essere completamente cretini, oppure invischiati in una malafede difficile da immaginare come presente in maniera stabile nella mente di un essere umano, finanche di uno stronzo che ritiene possibile che nella natura delle Cose una parte riesca a piegare il tutto al proprio volere. Lo tsunami ci ha tragicamente mostrato quanto nefaste siano le conseguenze della dissennata opera dell'uomo che non sa riconoscere, nemmeno in minima parte, le regole espresse dalla disposizione Onnisciente e Onnipotente delle Cose della Natura. ci ha mostrato che, se sui litorali investiti dallo tsunami fossero state presenti le naturali sette file di mangrovie a fusto, al posto degli alberghi e dei tanti locali per turisti beoti, le vertiginose onde del mare non avrebbero avuto alcun effetto distruttivo, e tantomeno mortale, e la loro impetuosa violenza sarebbe scemata tra le fronde robuste dell'argine naturale. I terremoti ci mostrano l'inadeguatezza assassina, dovuta all'ignoranza, alla superficialità e alla speculazione delinquenziale dell'uomo, propria di tantissime costruzioni umane. Parecchi fabbricati sono soliti crollare sulle teste dei malcapitati anche senza il concorso di scossoni provocati da movimenti tellurici. Mai i palazzi del Potere, bensì le baraccopoli, oscenità accettate dal menefreghismo dei governi, vengono sepolte da smottamenti giganteschi originati dalla scellerata devastazione del terreno e dall'altrettanto scellerata deforestazione, opere dell'ottusità e della cupidigia umane.
Potrei elencare cento altre cause di morte imputabili al primo nemico dell'uomo, cioè l'uomo stesso e non la Natura. Mai la Natura, sempre l'uomo, e per capire meglio basta richiamare alla mente i nomi di quel migliaio abbondante di malattie sociali che in natura non esisterebbero se non fosse stato per l'opera indefessa dell'ignoranza di base su cui si fonda la scienza umana. Una lunga lista di malattie che, guarda caso, comprende i morbi più altamente invalidanti e mortali. Profanando massicciamente e in continuazione la Natura, l'Uomo si è così tanto distaccato da Essa da diventare soggetto perfino a uno sciame di allergie incredibili. Allergia al polline! Al fieno! Pazzesco! E tante altre sono ancor più pazzesche. Allergia alla Natura! L'uomo a 46 cromosomi è andato fuori di testa per troppa presunzione e manco se ne accorge. Il pazzo non è in grado di ammettere l'esistenza della propria follia. Forse se ne accorgerà soltanto nel momento in cui le masse cominceranno ad urlare per la disperazione nel deserto e non la smetteranno più finché non scompariranno. Va da sé capire che allora sarà troppo tardi anche soltanto per ravvedersi: strategie e mezzi di salvezza non ce ne saranno. eppure la voce degl'imbecilli e dei mascalzoni risuona alta, insistente: "La Storia dell'Umanità è la storia di una lotta contro la Natura." Gran bella storia! Tentato matricidio! E di che madre! Sarebbe stato assai meglio che questa lotta non fosse mai iniziata e che fosse stata scritta una storia del tutto differente, senz'altro molto più bella, affascinante. "La Natura non è il Bene Assoluto: tutt'altro e gli ecologisti più accesi sono esseri eco-isterici.". Isteriche saranno le urla degli insipienti. Negando che la Natura sia il Bene Assoluto, si dimostra unicamente la propria incapacità a riconoscere Bene e Male, finanche nella loro forma Assoluta, che è la più semplice da individuare, in quanto non indossa mai nessuna delle varie maschere del relativo. No, la Natura non è una madre limitata, condizionata, dalla carne, che talvolta può diventare anche matrigna e quindi ostile. La Natura ha un'essenza connaturale all'Onnisciente Progetto Supremo che riguarda con impronta specifica l'Uomo, e perciò non sgarra, non può venir meno al suo ruolo di assicuratrice d'esistenza e di esistenza significativa. Essa mantiene una condotta incommensurabilmente più "oculata" di quella dell'Uomo.
No, non si può più, al punto in cui siamo giunti oggi, vivere accanto a degli esseri che, pur di non mutare un andazzo di vita che prodiga loro dei lauti benefici terreni (pensate un po' a che nullità sarebbe il Potere se non potesse prelevare moneta dal lavoro dei suoi sudditi. Maledetto denaro! E maledetta la cupidigia sacerdotale che l'ha inventato!) sono disposti a mistificare ad oltranza. Adesso si tratta di "legittima difesa". Legittima difesa estrema. E' diventato inaccettabile che il Potere possa continuare a sostenere tutta una nutrita gamma di menzogne per il sol fatto che ha tutta la violenza delle armi dalla sua parte.
Qui mi sia concesso prelevare un volume dalla libreria, poiché la constatazione fatta da Russell, e da me citata appena prima della divagazione sul tema "Natura", merita che sia corredata da qualche altro dettaglio specificato di suo pugno.
(4)"Nessuna assurdità sarà tanto insensata che un'adeguata azione governativa non possa trasformarla nel credo della stragrande maggioranza." ... "Il potere dei governi sulle opinioni degli uomini è stato molto forte fin dalla nascita dei grandi Stati. La maggioranza dei Romani si fece cristiana dopo che si erano convertiti gli imperatori (per convenienza politica). In quelle parti dell'impero romano che furono conquistate dagli Arabi, la maggior parte della gente lasciò il cristianesimo per l'Islam. La divisione dell'Europa occidentale in regioni protestanti e cattoliche fu determinata dall'atteggiamento dei governi nel XVI° secolo. Ma, al giorno d'oggi, il potere dei governi sulle convinzioni delle masse è molto più grande che in qualsiasi epoca passata. Una fede, per quanto priva di verità, è importante quando domina le azioni di grandi masse umane. La politica è governata in larga misura da sentenziose banalità che sono prive di verità. Sono persuaso che non vi siano limiti alle assurdità che, per opera di un governo, possono finire con l'essere credute da tutti. Datemi un esercito sufficiente e la facoltà di pagarlo meglio e di nutrirlo meglio di quanto si faccia abitualmente con l'uomo medio, e io riuscirò, in capo a trent'anni, a fare in modo che la maggior parte della popolazione creda che due più due fa tre, che l'acqua gela quando diventa calda e bolle quando si raffredda o qualsiasi altra assurdità che possa sembrare utile agli interessi dello Stato. Si capisce che, persino dopo che siano nate queste convinzioni, la gente non andrà a mettere la pentola in frigorifero quando vuole far bollire l'acqua. Che il freddo fa bollire l'acqua sarebbe una verità della domenica, sacra e mistica, da professarsi con tono di timore reverenziale, ma non da mettersi in pratica nella vita di tutti i giorni. Quello che succederebbe sarebbe che qualsiasi negazione verbale della dottrina mistica verrebbe dichiarata illegale e gli eretici ostinati verrebbero "congelati" sul rogo."
"La scoperta che l'uomo può essere manipolato scientificamente e che i governi possono manovrare grandi masse in questo senso o in quell'altro, come a loro pare meglio, è una delle cause delle nostre disgrazie. Tra una comunità di cittadini mentalmente liberi e un'accozzaglia modellata dai moderni metodi di propaganda c'è tanta differenza quanta ce n'è tra un mucchio di materie prime e una corazzata. L'educazione, che in un primo tempo era stata resa universale affinché tutti avessero la possibilità di leggere e scrivere, è risultata capace di servire a scopi del tutto diversi. Instillando assurdità essa uniforma le popolazioni e genera entusiasmo collettivo. Se tutti i governi avessero in mente le stesse assurdità, il danno non sarebbe tanto grande. Purtroppo ciascuna ha il proprio marchio di fabbrica, e la diversità serve a generare ostilità tra i devoti dei diversi credi assurdi."
Quella della manipolazione mentale dell'uomo è deventata, a mio parere, la causa principale delle nostre disgrazie. Specialmente se si pensa con orrore che nessun appartenente alle mandrie avrà mai accesso all'Universo Spirituale Eterno. Alla fine dei suoi giorni, ogni individuo mostrerà quel che ne ha fatto del proprio spirito e non avrà importanza alcuna che abbia pascolato assieme alla mandria per accondiscendenza o arrendevolezza oppure per costrizione o per vigliaccheria. Quel che varrà, per uno spirito che abbia appena abbandonato la carne, sarà quanto egli mostrerà di aver impresso in sé esclusivamente secondo la natura di appartenenza con cui ha affrontato l'esperienza terrena. Se poco apparirà, per lui sarà come non essere mai nato e nella frazione di un attimo e con disperazione inimmaginabile assisterà al dileguarsi della propria individualità mentre ritornerà ad amalgamarsi con l'energia indefinita e indefinibile da cui era provenuto in principio.
Ecco, queste quattro ultime frasi potrebbero assolvere in maniera appropriata alla funzione d'accesso al luogo in cui s'incastrano armoniosamente tra di loro i ragionamenti che, come tasselli di uno splendido mosaico naturale, formano il quadro autentico e preciso dell'Unica Verità esistenziale voluta dal Progetto Supremo. Ma in questa occasione di scrittura sarebbe fuori luogo che io spalancassi questa ideale porta d'accesso su quanto è indispensabile conoscere per vivere con senso compiuto, quantunque il mio pensiero non riesca a fare a meno di appropinquarsi spesso ad essa. Questo, perché ora non voglio entrare nella grande questione del Bene e del Male Assoluti e inopportunamente spiattellare qua, in sintesi arrangiata e striminzita, che io li so distinguere e predico il Bene. Non mi trattengo dal parlarne per questioni di modestia, inconcepibili alla mia età, o perché frenato da qualche scrupolo che mi potrebbe derivare dall'essere consapevole che certi concetti potrebbero apparire scandalosi al "buon senso comune", corrotto da superstizioni, leggi e norme, mentre in realtà sono la bontà migliore: la Verità. Mi trattengo per non insinuare qualche dubbio in quei pochi che, la Verità, l'hanno percepita con chiarezza e che, non conoscendomi a fondo e in assenza di mie delucidazioni specifiche ed esaustive, potrebbero pensare con insofferenza che io non stia parlando per amore della Verità, ma per accreditarmi alle menti altrui in qualità di Bene. "Ecco un altro che dichiara di essere il bene. Alla larga!" Giustamente. Infatti, la prima tattica del Male, che è pure riconosciuta come la più conveniente da qualsiasi ingannatore mosso dalla volontà di fare proseliti a proprio vantaggio, è quella di presentarsi dicendo: "Io sono il Bene. Venite a me senza indugio."
Il Bene vero non ha in sé né la necessità né l'alterigia né la sfacciataggine di dichiararsi. Il senso del suo essere non sta nel fare proseliti. Il Bene E' con la precipua finalità di essere riconosciuto. se la sua funzione fosse quella di dichiararsi apertamente, l'effetto annullerebbe ogni suo Valore, la sua stessa natura che sta nell'Ordine delle Cose con Senso inequivocabile. E l'Esistenza si troverebbe svuotata della sua Finalità principale: il riconoscimento del Bene, che porta ad agire di conseguenza.
Ecco come, con un minimo di logica regolatrice delle qualità naturali del pensiero astratto, si può avere a disposizione una coordinata, e allo stesso modo tante altre, assolutamente affidabile, che molto ci aiuta ad orizzontarci con sicurezza corroborante lo spirito: "chi afferma pubblicamente di essere il Bene è senz'altro il Male", mentre sta tessendo l'inganno mortale.
Come esempio eclatante, potrei far presente che da un decennio a questa parte George W. Bush non fa altro che ripetere: "Noi siamo il bene ed è nostro dovere (ma lui si confonde spesso e suole dire "diritto") combattere il male" (il Male non si riuscirà mai ad estirparlo con la violenza, poiché ogni tipo di violenza ha sempre fatto, e sempre farà, soltanto il gioco voluto proprio dal Male. Il Male può essere sconfitto unicamente scartandolo con acuta attenzione da ogni pratica quotidiana.), ma invece voglio attrarre l'attenzione su un particolare che molti non si sognano neanche di prendere in seria considerazione: allorché un genitore, rivolgendosi al figlio, rafforza un consiglio di scelta esistenziale con moniti simili a "io parlo per il tuo bene", finanche in una circostanza come questa è il Male a parlare. E' certo, in questo caso esemplare, che il genitore stia esortando secondo le proprie intenzioni e pressato dall'esigenza immonda d'ottenere gratificazioni valide per la parte del proprio Sé divenuta meschina per influenza sociale. Vuole essere lui ad indicare la strada che suo figlio dovrebbe percorrere (fatto che nella maggioranza dei casi genera conflitto, al pari di tutte le azioni suggerite dal Male) e quindi sta inequivocabilmente facendo leva sul sentimento per esercitare coercizione, che sempre e comunque nella galassia dell'Oppressione si trova ad orbitare.
Ho già avuto modo di far notare che esercitare l'Oppressione, nelle sue molteplici sfaccettature e manifestazioni, è l'unico atto avverso al Progetto Supremo, in quanto preclude ad uno o più individui la naturale possibilità di maturare secondo la preziosa individualità propria, maturità per cui il Progetto Supremo E'. Perspicuo, neanche a dirlo, che, a chiunque eserciti oppressione, sia assolutamente negato l'accesso all'Universo Spirituale, ma, più spesso di quanto non ci possa sembrare possibile, accade che anche gli oppressi subiscano la medesima sorte. Ad esempio, un individuo oppresso a tal punto da essere costretto a fare il soldato, ad andare in guerra e a uccidere senza aver ricevuto una provocazione direttamente e strettamente personale, come uomo con finalità ultraterrene è finito, parimenti ai suoi oppressori e mandanti. Per chi va ad ammazzare per conto terzi, dopo aver indossato volontariamente una divisa, non val nemmeno la pena di sprecare qualche parola.
A questo punto ci sarebbe da rivedere in maniera corretta, e perciò drammaticamente insolita, tutta la questione relativa alla Morte, poiché sono sicuro che più di qualcuno potrebbe obiettare che per il passato c'era il plotone d'esecuzione della Corte Marziale a scoraggiare chiunque dal persistere nella propria sacrosanta intenzione di non uccidere per lo Stato. Per chi è in grado d'intuire senza tante spiegazioni, citerò due righe dello scrittore russo Arkàdij Gajdàr: (5)"Esistono morti significative, non casuali, che coronano un'intera vita, che la illuminano di un bagliore improvviso e sfolgorante." Talvolta basta un solo atto a determinare che uno spirito si è convenientemente formato secondo l'unicità dell'individuo in cui E' e nel pieno rispetto dei Valori Assoluti naturalmente riconosciuti. In questo caso non è necessario che l'esperienza dello spirito nella materia abbia un seguito. L'individuo non avrebbe vissuto invano e in effetti il suo comportamento ferreo darebbe impulso a uno svolgimento positivo delle Cose. Non è difficile comprendere che, se tutti, possedendo una piena coscenza della Verità Esistenziale, riuscissro a non farsi condizionare dalla paura delle punizioni e della morte, se tutti non si lasciassero sopraffare dall'indigenza, pur vivendo in quelle sacche di povertà che gli oppressori mantengono per poter reclutare i disperati, e se, quindi, si rifiutassero irremovibilmente e ad ogni costo di prestarsi ad uccidere, le guerre sparirebbero dalla faccia della terra, poiché gli oppressori di certo non andrebbero a combatterle, aggrappati come sono alla vita terrena, ultima loro spiaggia, ultima loro illusione di vita e preludio al loro "non essere più" per l'Eternità. Assieme alle guerre sparirebbero anche le punizioni e i vari "plotoni di esecuzione". Oh, certo! Per ottenere un andamento positivo delle Cose sarebbe assolutamente necessario che ognuno riuscisse a ristabilire in sé la capacità naturale di ragionare autonomamente e quindi di saper "vedere" tutto quanto la Natura suggerisce per il buon espletamento dell'esistenza. Vedere l'essenza delle cose e delle azioni, come lascia sottintendre codesta poesia di Bertolt Brecht:
"Generale, il tuo carro armato
è una macchina potente.
Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido di una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l'uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare."
Ecco perché, quando un militare uccide o affligge, egli è individualmente colpevole, indipendentemente dal fatto di aver ricevuto degli ordini: perché gli è stata data la facoltà di pensare e, di conseguenza, dovrebbe avere la capacità di riconoscere i suoi veri nemici, quelli che se ne fregano altamente che egli sia diretto a una conclusione fallimentare della propria esistenza. Invece, succede che... Beh, chi conosce la Verità dovrebbe riuscire a vedere la realtà esattamente come pure Brecht l'ha saputa vedere:
"Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico."
Meraviglia molto vedere ancor oggi, in occasione di parate o raduni, degli esseri umani sfilare impettiti, e magari pure orgogliosi, sotto gli occhi compiaciuti dei loro nemici. Le influenze del potere e del suo ordine costituito, pur nella loro inconsistenza facilmente evidenziabile, hanno un tale effetto ottundente sulla maggioranza degli uomini, che sotto diversi aspetti appare addirittura inspiegabile, se non con l'ipotesi di un'epidemia collettiva scatenata da uno sconosciuto virus dell'imbecillità. Influenze, per lo più emanate da concetti gravitanti attorno a una presunta "nobiltà umana" alterata fino a diventare l'opposto di quanto il binomio è in grado di rappresentare naturalmente.
Come ho già accennato in precedenza, io ho potuto avere pieno riscontro dell'azione innescata da certe influenze maligne grazie anche, se non soprattutto, al termine di paragone offertomi dalla presenza di Fabio. E, proprio come risultato utile della reale comparazione che ho potuto effettuare, va da sé che io ritenga verità inconfutabile, un vero caposaldo esistenziale di valore inestimabile, codesta diagnosi fatta da Sigmund Freud: "Tutti coloro che vogliono essere più nobili di quanto la loro costituzione non permetta, soccombono alla nevrosi; sarebbero stati più sani se fosse stato loro permesso essere peggiori." (vai a spiegarlo ai cultori della giurisprudenza, che la salute viene assai prima della legge!) E i down, a notevole differenza dai "normodotati" ("normodotati"?! Ma sulla base di quale "norma"?! Oppure, invece di una "norma", che la Natura mi sembra non abbia posto in essere, mentre quelle degli uomini non hanno importanza alcuna, si tratta di un "effetto maggioranza", sul quale, del resto, si basano quasi sempre le convinzioni scientifiche? "Effetto epidemia", nella specifica accezione scientifica.), non pretendono mai da se stessi la dimostrazione di essere migliori di quanto non lo siano in realtà. Inoltre, connotato importantissimo, di valore inestimabile date le innumerevoli implicazioni che comporta, i down non hanno la necessità di cercare la Verità per orientersi nel comportamento. Hanno la Verità in loro e di Essa sono la testimonianza nel mondo. Dalla sua nascita in poi io non ho mai visto Fabio sbagliare. Neanche una sola volta. Nel suo modo di comportarsi, intendo dire, non nei compiti scolastici di matematica. E la mia meraviglia per questo fatto eccezionale ci ha messo del tempo per acquietarsi. Al contrario, mi capita in continuazione di notare quanti atteggiamenti sbagliati, umanamente molto scorretti, manifestino con frequenza impressionante i "normodotati". Quante manifestazioni di cattiveria genuina, soprattutto! Specialmente nel lasso di tempo che va dalla prima infanzia alla pubertà. Gran bella e significativa differenza c'è tra loro e un down inalterato! Può succedere, però, che dei genitori facciano di tutto per educare la propria creatura speciale a somiglianza dei "normali" e allora... Allora, bisognerebbe rendere consapevoli questi genitori del fatto che stanno consegnando un essere umano dallo spirito assolutamente lindo nelle mani di un nemico mortale e imperterrito dispensatore di afflizioni, che si è sviluppato con la menzogna e nella menzogna (nel caso non ci fosse una sufficiente conoscenza dell'argomento, occorrerebbe documentarsi leggendo un trattato serio sulla progressiva evoluzione della mente umana e della sua presunta intelligenza, magari scegliendo un ottimo scritto di Michael S. Gazzaniga e poi comprendere come e per quali finalità meschine sia stata impiegata dal nemico l'intelligenza). Ma, per poter capire, dovrebbero diventare coscienti che essi stessi si trovano in uno stato di accettazione della convivenza col nemico dell'esistenza vera, di quella grandiosamente finalizzata. Anzi peggio: si trovano al servizio del nemico e sono volitivamente implicati nella perpetuazione del suo dominio. Il che appare come un problema di non facile soluzione: un problema culturale e perciò della specie peggiore. Gramigna difficilmente estirpabile, che di certo non testimonia a favore dell'intelligenza propria dei "normali".
Intanto, io credo che senza incertezze si possa stabilire questo: una mente priva di ogni processo psichico per l'elaborazione della menzogna è decisamente incompatibile con una mente che ha legato il suo maggior sviluppo alla crescente capacità di mentire. Di mentire perfino a se stessa. Non è un'incompatibilità che abbia qualcosa di straordinario, positivo o negativo che sia. Direi, piuttosto, che si tratta di una diversità d'impostazione, nel naturale contesto dell'Iperbole della Diversità messa in essere dall'infinita Varietà Universale. Ma dove sono gli spazi che, per diritto naturale, spettano a chiunque non condivida le ideologie messe in pratica da una mente che suole accoppiare il proprio pensiero con la menzogna? Mente che, dopo un breve periodo di accoppiamenti , finisce puntualmente col farsi possedere completamente dalla menzogna stessa.
Lorenzo Lombardi
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BIBLIOGRAFIA
(1) - "Non accettarmi cme sono" di Reuven Feuerstein - pag. 149 - traduzione di Aurelia Picco, Giovanni Carlo, Bonasea e Susanna Canavese
(© 1995 R.C.S. Libri & Grandi Opere S. p. A. - MILANO)
(2) - "Psicanalisi della società contemporanea" di Erich Fromm - pag. 13,21,23,24,25,26 - traduzione di Carlo De Roberto
(© 1977 Edizioni di Comunità - MILANO)
(3) - "La volontà di potenza" di Friedrich Nietzsche - pag. 60 - a cura di C. Papini
(© 1996 Libritalia)
(4) - "Il mio pensiero" di Bertrand Russell - pag. 92,93 - a cura di Robert E. Egner e Lester E. Denonn
(© 1997 Newton & Compton editori s. r. l. - ROMA)
(5) - "Antologia della prosa russa sovietica" a cura di S. I. Timina - trauzione di Claudia Lasorsa
(© 1979 Casa Editrice "Lingua Russa" - MOSCA)
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