X° - KYARA, NON AVERE PAURA
ARTICOLO PUBBLICATO SUL N° 9 DI GENTE DEL 2 MARZO 2006
IN SOCCORSO DI DUE VITE
(TESTO ORIGINALE)
E' quello di una giornata grigia, lo scenario in cui io e mio papà ci muoviamo andando in automobile verso Milano. Giunti a destinazione, abbiamo in programma un incontro con una signora che sta aspettando l'arrivo imminente di una figlioletta. Con una mamma, dunque. Da quanto ne so, sembra che questa mamma sia afflitta da grandi preoccupazioni per la sua maternità e io sono piuttosto stupito: può, un evento tanto bello come la nascita di un figlio, dare origine a dei timori? Mio papà dice di sì. Mi assicura che succede spesso, e per vari motivi, in una società impostata così com'è. E io non riesco proprio a capire. Soltanto una cosa mi sembra d'intuire: questa mamma è più agitata dal timore che sua figlia nasca troppo diversa da tutti gli altri esseri umani, di quanto lo sia per dei piccoli problemi fisici che sono stati riscontrati nella sua creatura durante delle analisi cliniche. Problemi facilmente superabili, d'accordo, ma, quello relativo alla diversità, per quanto accentuata essa sia, è davvero insuperabile? Se la diversità è per tutti gli esseri viventi il primo sollievo dalla noia, la fonte principale di fascino vitale, può essere che una diversità spiccata venga considerata una brutta cosa?! Così tanto brutta da offuscare i sentimenti gioiosi naturalmente suscitati dalla nascita di un figlio?
Quando avviene l'incontro, la signora mi appare subito come una persona dolcissima, così tanto delicata nella figura e nei lineamenti che a me vien da pensare che anche una carezza potrebbe sciuparla un po'. Si chiama Kyara, che a me sembra un nome bellissimo e molto adatto alla persona che ho davanti: Chiara! Sono sicuro che alla bimba che sta per nascere piacerà pronunciare questo nome. Sarà una nuova voce che aumenterà il calore in famiglia.
Il dialogo si fa subito intenso, specialmente tra la signora dolcissima e mio papà, ma nel gruppo, che si è formato nella luminosa redazione di Gente, sono presenti anche due giornalisti, un uomo saggio e una donna acuta, e un simpaticissimo famigliare della signora. I discorsi di tutti i presenti sono carichi di partecipazione emotiva e io avverto che in quell'ambiente si sta sprigionando in gran quantità un certo tipo di sentimento che, secondo me, rappresenta l'aspetto migliore della sensibilità umana, capace di spronare la sincera, genuina volontà di partecipare al soccorso di un essere umano in difficoltà. Io mi sento del tutto a mio agio: sono pervaso da una sensazione di sicurezza che mi sta confermando che ogni difficoltà può essere superata con il concorso spontaneo della solidarietà umana. Poi, mi domando quale possa essere il mio apporto in una circostanza così tanto importante quanto delicata.
All'incirca dopo un'ora, tutti quanti ci trasferiamo nel fantastico salone dell'hotel Diana per fare un servizio fotografico, a testimonianza e ricordo di un incontro d'importanza speciale. Ed è qui, mentre ci troviamo accomodati su un divano, uno accanto all'alta, che Kyara concentra tutto il suo interesse su di me. Mi posa la sua mano leggera su una spalla e inizia col dirmi:
-Come stai, Fabio?
-Bene.- rispondo io, ma subito dopo la signora mi fa capire che vorrebbe sentirmi dire di più. Mi sembra che in lei ci sia tanta inquietudine, sebbene abbastanza celata da un portamento... regale.
-Scusami per la domanda molto intima che ti sto per fare, caro Fabio, ma vorrei sapere da te come ti trovi nella vita.
Strano, per me, ma in sua presenza le risposte mi vengono immediatamente. Credo che la mia inconsueta scioltezza nel parlare sia dovuta al fatto che Kyara, come persona, mi piace moltissimo ed anche la figlia che verrà sarà molto contenta di averla come mamma. Caspita! Mi è stata rivolta una domanda da adulto e la mia risposta, con puntuale e goffa ripetizione della domanda, è questa:
-Come mi trovo nella vita? Sono felice.
Kyara si rivolge agli altri presenti e dice:
-Mi sembra che quella raggiunta da Fabio sia una meta esistenziale agognata da tutti. Non vi pare?
Poi mi fa un sorriso, che però non fa scomparire del tutto il velo di tristezza che io noto nei suoi occhi, e riprende a parlarmi.
-Cos'è che ti rende felice?
-I miei genitori. Soprattutto.
-Perché?
-Ogni mattina, quando mi sveglio penso subito che potrò abbracciarli e assieme a loro trascorrere un'altra bellissima giornata, durante la quale scoprirò tante cose nuove.
-C'è d'altro?- insiste Kyara.
-Anche imparare, giorno dopo giorno e sempre di più, a sbrigare da solo un sacco di faccende mi dà gioia. E, se poi mi dicono che sono stato bravo e utile, sento il mio cuore felice di vivere così. Sì, di vivere in questo modo. Quest'anno sto facendo uno stage in un supermercato. Tra gente in gamba, che mi spiega bene ciò che devo fare. Poi io lavoro da solo e credo che loro siano contenti di me. Avrei dovuto terminare questo stage a metà gennaio, invece sono venuto a sapere con piacere che vogliono tenermi con loro fino al termine dell'anno scolastico in corso. Un anno di specializzazione lavorativa e di rapporti sociali, regalatomi dallo Stato per il mio successo agli esami di maturità. Se mi tengono, significa che sono stato apprezzato.
Guardo Kyara negli occhi e mi sembra che il velo di tristezza sia meno evidente. Lei contraccambia l'intensità affettuosa del mio sguardo e, con un tono di voce un po' mutato, come se il cuore le fosse salito in gola e l'affaticasse nel respirare, mi dice:
-Tu, forse, non te ne rendi conto, Fabio, ma oggi sei stato la mia più grande consolazione.
Chi?! Io?! No! No! Non fraintendetemi, voi che state leggendo questa cronaca di un incontro voluto dai sentimenti più nobili dell'uomo. Mi fa piacere sentirmi dire parole di questo tipo, ma il mio stupore è dovuto al non saper individuare cosa io abbia fatto di tanto grandioso da meritarmi un complimento così speciale.
Kyara, che parlando s'era protesa sempre di più verso di me, si gira, con qualche difficoltà a causa del suo ventre voluminoso, verso gli altri componenti del nostro gruppo, che sono qui ad ascoltare e a discorrere di cose che, indubbiamente, sono le più importanti per il senso della vita proprio del genere umano, e dice loro:
-Quanta dolcezza emana questo rag... giovanotto! Non sembra anche a voi?
A questo punto il fotografo decide che è giunto il momento di fare le foto, ma proprio mentre lui svolge il suo lavoro, Kyara mi rivolge una serie di domande che mi fanno aumentare i battiti del cuore. E, sì, il fatto, che lei ed io ci si trovi a reggere due bicchieri contenenti un fantasioso aperitivo colorato mentre ci mettiamo in posa per un fotografo, potrebbe essere interpretato giustamente come uno scherzoso brindisi alla nuova conoscenza, ma nelle parole di Kyara, invece, non c'è traccia che le colleghi allo scherzoso "cin cin" che stiamo mimando.
-Ti va di parlarmi un po' della tua famiglia?
-Sì,- accetto io volentieri.
-Mi hai parlato della tua felicità, ma, secondo te, anche i tuoi genitori sono persone felici?
La risposta mi viene facile:
-Felicissimi.
-So che hai una sorella più grande di te, come sono i tuoi rapporti con lei?
-Io e mia sorella Laura ci divertiamo un mondo. Specialmente quando andiamo in giro assieme.
-Che bello!- esclama Kyara -Quindi la tua famiglia è una famiglia felice, vero?
-Sì. Tanto.- rispondo io, pur pensando che qualche volta mi capita di vedere mio papà rattristato da qualche problema. Ma, insomma...
-Allora io voglio chiederti un consiglio. Tu hai capito, vero?, che sto per dare alla luce una bambina. Cosa mi consigli di fare per renderla felice di essere stata messa al mondo? Per renderla capace di affrontare tutte quelle difficoltà che stesso hai affrontato?
Oh, cielo! Non mi aspettavo che mi venisse chiesto un consiglio. E' un tipo di richiesta che, finora, mi è stata proposta soltanto da mio papà. Ma per cose di tutti i giorni, semplici. Qui si tratta della felicità di una figlia! Una questione importantissima! Comunque, rispondo secondo ciò che mi sento suggerire da una vocina che sta parlando al mio cuore:
-Abbracciala forte forte. E tante, tante volte. Sempre, anche quando non sarà più piccolina.
Sono contento di aver parlato secondo me stesso, anche se sono subito arrossito per averle dato del tu nella foga d'esprimermi.
Non è che, dopo questa serie di domande piuttosto impegnative, il colloquio tra la deliziosa Kyara e me sia terminato, ma non credo che agli eventuali lettori possa interessare come e quando io ho imparato a leggere e scrivere o ad andare in bicicletta. Neanche far sapere ai lettori, che oggi sono capace di orrizontarmi in qualsiasi luogo io mi trovi, mi sembra una rilevante aggiunta a quanto ho già raccontato, ma l'ho fatta soltanto perché ho visto la signora Kyara interessarsi particolarmente a questa mia capacità. Più degno di attenzione potrebbe rivelarsi, invece, riascoltare adesso le prime parole dette da mio papà, allorché la conversazione è ritornata a coinvolgere tutte le persone del nostro gruppo.
"Sì, credo proprio che loro raggiungano la maturità per via sentimentale, piuttosto che per quella razionale. Decidere quale sia la migliore è unicamente una questione di prospettiva. Se la scelta potesse essere fatta nel contesto genuino di un ambienta naturale, come la Natura stessa comanda, la via sentimentale risplenderebbe così tanto da oscurare quella razionale. Se, diversamente, un individuo è costretto a fare una scelta trovandosi in un ambiente artificiale, deve per forza di cose prediligere la via razionale, per il sol fatto che proprio questa razionalità ha allestito l'ambiente artificiale in cui egli si trova. Qualsiasi altra scelta risulterebbe tosto inadatta ad essere tradotta in pratica. Ci troviamo tutti in uno stato esistenziale privo di ogni possibilità di effettuare scelte. Hai voglia, di riuscire a riacchiappare un qualche senso dell'esistenza! Detto questo, che potrebbe essere uno spunto utile per una meditazione non disgiunta dalla problematica che oggi angustia Kyara, mi preme far comprendere alla signora che mia moglie e io siamo fermamente convinti di aver ottenuto i risultati migliori dal fatto di esserci impegnati a far sì che la nostra casa fosse sempre piena colma d'affetto. E ancor oggi lo è. Gonfia. Come se le pareti pressurizzassero le stanze, in modo tale da far sì che, nel momento in cui Fabio apre l'uscio per andare a scuola o altrove, una folata d'amore domestico si sprigioni dall'abitazione e lo accompagni ovunque egli vada, vegliando su di lui meglio di un angelo custode."
Fabio Lombardi
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2 Comments:
che sensazioni devi aver provato durante questo.....soccorso! nel tuo racconto si avverte che la tua sensibilità è esplosa. ciao, al tuo prossimo scritto. ti seguo
Treviso,28-1-07
Caro Fabio, sono M.E. , ci conosciamo. Leggendo l’ articolo su Kiara mi è venuto il desiderio di raccontarti di quando ero in attesa del mio secondo bambino.
Arrivata al 5° mese di gravidanza mi recai con mio marito a fare una ecografia di routine.
In corso di esame la dottoressa ci comunicò l’esistenza di una anomalia del cordone ombelicale:anziché 2 arterie come previsto ne aveva solo una.Ebbene, ci inviò con una certa urgenza in ospedale per fare una ecografia più accurata.Una dottoressa assistita da un’altra (entrambe conosciute come molto brave) mi fece una eco che non finiva più;hanno misurato tutto il misurabile persino il mignolino.
Ero tesissima e più volte fui invitata a rilassarmi ma non ce la facevo e anche V., il mio bambino, era come me perché si girava e rigirava senza sosta rendendo difficile l’esame.
Arrivammo alla fine dell’esame al quale seguì il colloquio nel corso del quale confermarono l’esistenza di una arteria unica, tutto il resto pareva nella norma.
Questo difetto viene riscontrato in tante donne che poi partoriscono bambini sani tuttavia, un caso su due, è associato a sindrome di down.Certo il colloquio è stato più completo di dati, più accurato e, dal punto di vista scientifico, esauriente ma la morale del discorso era: poiché avevo 35 anni compiuti e questo difetto era associabile alla sindrome di down ci consigliavano di fare una amniocentesi, preceduta da una consulenza genetica.Verso la 13° settimana di gravidanza feci una ecografia che andava a misurare la plica nucale del feto abbinata ad un esame nel sangue: avevo un rischio molto basso per sindrome di down, in più l’ecografia fatta dalle due dottoresse mi parlava di un feto che non aveva difetti a parte quello a carico del cordone ombelicale.
Durante il colloquio spesso guardavo mio marito, ci siamo parlati, lì davanti ai medici, certo l’ecografia aveva i suoi limiti diagnostici, l’amniocentesi era un esame che ci avrebbe detto la verità , ma, ma. Ma, non volevo fare l’amniocentesi .
Essendo alla seconda maternità avevamo avuto occasione io e mio marito di ragionare su amniocentesi, aborto e problemi correlati. Ora non voglio dilungarmi parlando dei nostri valori e delle nostre scelte a riguardo ma posso dire che, se fosse stato un bimbo malato, non avrei abortito. Il colloquio con i medici finì verso le 14.00 circa. Loro rispettarono la nostra decisione, ci invitarono a pensarci e si dichiararono disponibili a qualsiasi chiarimento o altri bisogni.
Ci recammo a pranzo in un locale. Tutto mi girava intorno; c’era gente ma non la vedevo, parlavano ma non li sentivo. Eravamo soli io ed E. con il nostro problema.
Guardavo mio marito e pensavo: cosa ci sta capitando? Ero frastornata.
In seguito consultammo altri due ginecologi e alla fine restammo fermi nelle nostre decisioni: non avrei fatto l’amniocentesi. Devo dire che vissi la maternità comunque serena perché il mio istinto, e anche quello di E. ci diceva che tutto sarebbe andato bene. Il 27 di giugno del 2003 nacque V., bello sano.3.800 gr , tutto suo padre.
Non so bene che cosa è la felicità ma se è quella gioia leggera, se è il sole negli occhi, se è quello sguardo tenero e lucido di lacrime che ho visto in E.mentre guardava suo figlio e poi tutti e due i figli insieme, allora posso dire che eravamo felici e non dico altro.
Quello che volevo dirti caro Fabio è che questa situazione mi ha fatto riflettere a lungo sul significato di una parola:ACCOGLIENZA. A lungo mi sono chiesta se fossi veramente pronta ad accogliere un bambino down o con altri problemi gravissimi. La nostra coppia ce l’avrebbe fatta a sopravvivere? Dove si trova la forza e il coraggio per affrontare un caso simile?
Ma se a volte vado in tilt con due bambini sani che hanno un percorso normale di vita e spesso mi dico di stare calma!
Se penso alla fatica a volte di crescere un figlio e all’attenzione costante che ci vuole per i molteplici aspetti che riguardano la vita dei nostri bambini quali salute, alimentazione, istruzione, sport, tempo libero, amici, cultura affiora nella mia mente un’altra parola che è DEDIZIONE .
Quando vedo te, Fabio che ti rechi a scuola o ai vari stages da solo, in bicicletta o in autobus che sei cosi fine ed educato , sempre sereno e sorridente penso che i tuoi genitori hanno fatto un capolavoro. Loro ti hanno accolto, amato e si sono dedicati a te e, in questo senso, tu sei un ragazzo fortunato. Mi piacerebbe parlare anche di questa società snaturata che ha orrore dell’ imperfezione, che ci vuole tutti belli, sani e produttivi e che ci consuma e ci sfrutta creando falsi bisogni ma lascio perdere perché non era questo l’argomento che volevo affrontare. Non mi resta che chiudere dicendo forza e coraggio a tutti coloro che scelgono la VITA nonostante tutto. Un bacio, M.E..
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