Cronache da un altro mondo

Disquisizioni e orientamenti su questioni esistenziali, sia spirituali che materiali. In gran parte espressioni originate dal genuino punto di vista di un ragazzo particolare e interpretate fedelmente da chi ha avuto modo di conoscere profondamente le sue qualità speciali e si è assunto l'impegno d'assisterlo con precisione nello sviluppo e nell'esposizione delle sue idee e sentimenti, confidando in un esito piacevole e fruttuoso. [Leggere "PRESENTAZIONE" nell'archivio - 12/06/2006]

6.3.07

XVIII° - MEDITAZIONI LIBERE ORIGINATE DALLA LETTERA DI M. E.

La Signora M. E. ci ha scritto una lettera graditissima, che si trova pubblicata sia nello spazio riservato ai commenti, relativo al post intitolato "Kyara non avere paura", sia nel nostro spazio web "L'angolo della meditazione". Qui di seguito c'è la nostra risposta, a mo' di analisi e commento.
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GIOVANNI SEGANTINI: "L'angelo della vita"
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Ringrazio la Casa Editrice Adelphi, nella squisita persona di Barbara Alesci, per avermi cortesemente concesso l'autorizzazione a citare alcuni brani tratti sia dal "Breviario del caos" (© 1998 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO) di Albert Caraco, sia da "Gli otto peccati capitali della nostra civiltà" (© 1974 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO) di Konrad Lorenz.
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»»Meditazioni libere originate dalla lettera di M. E.
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La signora M. E. legge l'articolo "Kyara non avere paura", pubblicato sul settimanale Gente, riguardante l’incontro di Fabio con Kyara che è in attesa di partorire una bimba down, e, da persona naturalmente sensibile, prova emozioni che finiscono con l’allacciare il suo pensiero ai ricordi del proprio vissuto. Quindi ci racconta di quella particolare esperienza personale che maggiormente ha delle affinità con la problematica che turba l’animo di Kyara. Un preciso atto d’introspezione che gradualmente si dilata, così permettendo al lettore attento di fare alcune considerazioni che vanno oltre le particolarità della vicenda confidata da M.E. e possono essere generalizzate.
Fino agli inizi del quinto mese, M.E. vive una gravidanza serena. Poi si sottopone a una ecografia e l’esito origina un’apprensione che le sciorina nella mente scenari preoccupanti. Le guasta la vita. In realtà l’esito, confortato pure da successive ecografie, le ha prospettato soltanto una remota probabilità di partorire un bimbo affetto da sindrome di down. Un motivo di preoccupazione minimo, ma M.E., dal momento in cui s’è sottoposta alla diagnostica prenatale, non è più libera di pensare naturalmente secondo se stessa. E’ la prassi medica che le impone la propria volontà. Una prassi che ha una potenza coercitiva che estende il suo raggio d’azione più di quanto possa sembrare d’acchito. Infatti, questa forza agisce su qualsiasi individuo costretto, per tradizione e soprattutto per l’impossibilità effettiva di fare una qualunque altra scelta, a vivere nell’ambito di una società “civile”, e lo condiziona ancor prima che egli pervenga a diretto contatto con essa. Essa riesce, incredibilmente, ad attrarre a sé un essere umano ammaestrato dal sociale. Come? Per mezzo di una sorta di senso di colpa, che si presenta in una forma specifica tra le tante messe in essere e diffuse con effetti deleteri dal Sistema sociale .
M.E. sa in cuor suo che in nessun caso ricorrerebbe all’aborto. Di codesta questione ha già discusso con il consorte, in occasione del concepimento del primo figlio, e la coscienza naturale di entrambi ha fatto scartare alle loro menti il concetto stesso di aborto. Dunque: che motivo c’era di sottoporsi a un’ecografia? Così, tanto per sapere? Sapere cosa, d’importante? Se l’esito, qualsiasi esso fosse stato, non avrebbe esercitato influenza alcuna sulla decisione di partorire? Per conoscere in anticipo il sesso del nascituro? Poca cosa, a giustificazione del sottoporsi a ecografia, e anche di dubbio gusto: “quant’è brava la nostra scienza, che mi sa dire in anticipo il sesso della mia creatura, togliendomi l’emozione della sorpresa!”. Oppure nell’intima realtà, essendo M.E. ancora un soggetto socialmente integrato, l’idea di abortire non è stata definitivamente scartata? O, forse, che si va a fare un’ecografia spinti dall’inconfessabile e fantastica paura di essere in procinto di partorire un vero e proprio mostro? La Natura non concepisce mostruosità, semmai è qualche errore dell’uomo a produrla in certi casi.
No, ciò che ha mosso M.E. è stato il pensiero che in una eventualità futura la si potesse tacciare di trascuratezza, di negligenza, dato che una determinata prassi è stata imposta con i crismi di dovere finalizzato al benessere sociale e la popolazione la segue in maniera automatica, a prescindere dalle proprie intime convinzioni. “Ecografia di routine”, così si esprime M.E.. Quale routine?! E già: a convogliare le pecore verso questo o quel recinto ci pensa il senso di colpa, che per la propria diffusione e il proprio radicamento s’avvale dell’effetto gregge, una specie di coazione a ripetere di tipo imitativo sotto influsso di uno stereotipo, e in tal modo un’istituzione può estendere il suo controllo, senza dare nell’occhio e, quindi, senza suscitare reazioni indesiderate, finanche sul privato più intimo e dettare il comportamento che più le torna utile. E in questo caso specifico siamo in un ambito piuttosto “pacato”, che per lo più innesca ripercussioni esistenziali di modesto rilievo, ben distanziato, ad esempio, dal tragico dibattito sull’eutanasia reale o presunta, ma, per capire il peggio dell’effetto gregge, o effetto armento come usava dire Nietzsche, si provi ad estendere l’orizzonte mentale fino a focalizzare per bene tutto l’insieme delle istituzioni sociali.
Evidenziata l’anomalia del cordone ombelicale, chi oramai sta dirigendo la condotta di M.E. sollecita la signora a fare una ulteriore ecografia, più accurata, e con ciò lo stato di agitazione viene instaurato di botto in M.E.. Ma M.E. non è la sola a pagare lo scotto per aver pedissequamente seguito la procedura consigliata. Ella si presenta “tesissima” all’indagine ecografica e la creatura che porta in grembo patisce la tensione della madre e manifesta il proprio disagio “girandosi e rigirandosi senza sosta”. Un disagio, addirittura prenatale, che gli poteva essere risparmiato. E’ così tanto agitato che intralcia parecchio anche il lavoro degli esaminatori.
Comunque, la nuova ecografia non aggiunge nulla a quanto rilevato dalle precedenti: il difetto (“difetto” secondo una certa mentalità dell’uomo, derivata da comparazioni, classificazioni e statistiche di certo non onniscienti) a carico del cordone ombelicale viene confermato, ma per il resto tutto sembra nella norma.
E’ bene ricordare che un’ecografia dà “soltanto” un responso “probabilistico”, ma io mi domando quante soppressioni di esseri umani siano state commesse con altrettante giustificazioni incerte, quando, in verità, non può sussistere giustificazione alcuna per certi delitti contro natura.
Purtroppo, è proprio questo “sembra”, presente nel discorso tenuto dai medici, che la fa da padrone nella mente di M.E., ed è un “sembra” che funziona anche da prologo per il consiglio che viene dato alla gestante già abbastanza turbata: in considerazione dell’anomalia e dell’età (35 anni) una amniocentesi è d’obbligo. E’ l’esame che dà il responso relativamente più affidabile. Ma è anche una pratica invasiva, non scevra di possibili conseguenze spiacevoli per il nascituro. M.E. rifiuta di fare l’amniocentesi.

A questo punto due considerazioni possono essere pertinenti.
La prima si fonda sulla mia conoscenza, in virtù di confidenze ricevute, di un determinato stato di cose. I medici insistono nel consigliare l’amniocentesi non perché abbiano fisso in testa un iter di questo tipo: ecografie, amniocentesi ed eventualmente aborto terapeutico. Si mostrano scrupolosi nel consigliare accertamenti su accertamenti poiché la struttura ospedaliera vuole estinguere la sofferenza che le viene causata dalle denunzie inoltrate da coppie che lamentano di non essere state sufficientemente informate prima di un parto che, al dunque, non è risultato di loro gradimento (sic!), e, quindi, di non aver potuto usufruire della pratica abortiva. Talvolta le denunzie sono solamente frutto della malafede e non a caso per fare l’ecografia particolareggiata a M.E. si presentano due dottoresse, affinché vi sia valida testimonianza. In ogni caso, certe situazioni sconvenienti rappresentano i risvolti di leggi umane che permettono a degli individui, completamente “svuotati” dall'attivo concetto di “civiltà” oggi in vigore, di discostarsi in maniera ignominiosa da quanto viene stabilito dalla Natura come Prassi Inviolabile. Eh, già: il “diverso” non deve camminare in mezzo agli armenti, perché la sua presenza incrinerebbe troppo pericolosamente le sofisticate fondamenta dell’Eden sociale. Tuttavia, per il Potere risulta ancora abbastanza problematico l’uso schietto dei termini “selezione” ed “eliminazione”.

Ma in che cosa consiste la “diversità”? Perché viene considerata alla stregua di una “colpa” e non di un “merito”? Non trovo una sola risposta convincente, non un solo concetto che non possa essere demolito in quattro e quattr’otto. Pensando intensamente alla “diversità”, mi resta saldo nella mente un solo pensiero: la presenza dell’infimo garantisce e giustifica la presenza dell’eccelso. Non abusi dunque l’eccelso delle sue qualità, perché c’è chi paga per lui lo scotto con l’assenza delle medesime qualità. E, scegliendo un esempio tra i tanti per concretizzare il concetto, antepongo questo ad altri: non pretenda l’intellettuale la proprietà delle idee che la sua mente partorisce, poiché, mentre egli affinava la ragione per renderla efficiente, altri gli hanno fornito quel nutrimento, necessario per mantenersi in vita, che non sarebbe stato in grado di procurarsi da solo. Nutrimento e un sacco di altre cose indispensabili per poter continuare a coltivare la ragione. Per la stessa ragione, la bellezza non si compiaccia di sé, perché il suo essere dipende direttamente ed esclusivamente dalla bruttezza. Purtroppo, invece, nella società “civile” succede qualcosa di assai peggiore del già grave compiacimento sconsiderato: la bellezza pretende privilegi e perfino di essere pagata. Manco ci pensa a farsi carico di spartire ricchezza e privilegi con la bruttezza! E non vi è segno di un cambiamento di rotta.
Bah, ognuno s’accorgerà dei propri imperdonabili errori nell’attimo immediatamente successivo alla fine dei suoi giorni.
(1)Ma perché piange? Lei, bellezza perfetta / che potrebbe mettere, vinto, il genere umano ai suoi piedi, / che male misterioso corrode il suo fianco d’atleta? /
Piange , insensato, perché ha vissuto!/ E perché vive! Ma ciò che più deplora, / quello che la fa fremere fino alle ginocchia, / è che domani, ahimé!, bisognerà vivere ancora! / Domani, e poi domani e sempre!- come noi!”
Impareggiabile Baudelaire! Soltanto Mallarmé e Rimbaud ti stanno accanto. E va aggiunto Verlaine.
Per quanto concerne la diversità intellettuale e culturale, riesco a rilevarne soltanto l’aspetto che oggi mi sembra foriero di presagi tragici: codesta specie di diversità è un vero incubo per il Potere che vuole governare in tutta sicurezza, tanto quanto l’omologazione è il suo strumento preferito. E la globalizzazione in atto ha proprio questo indirizzo: eliminare la diversità e incentivare l’omologazione. In codesta direttiva non si fatica molto a riscontrare la volontà del Male, avversario indomito della Creazione. Attualmente vincente.
Poi c’è un tipo di diversità, ad esempio quella delle persone down, che può essere considerata “sacra”, in quanto la sua presenza determina un utile discernimento di inestimabile valore esistenziale tra Verità e Menzogna. Chiunque arrivi, interessandosi alla conoscenza di una persona down, a porsi la domanda: “Ad immagine e somiglianza di chi sono stati creati i down?” e a ragionare correttamente partendo da essa, vedrà svanire dalla propria mente l’opprimente fardello depositato dalle dottrine delle tre religioni cosiddette “monoteistiche”. E non si tratta di un repulisti di poco conto. Il beneficio è immediato e aumenta col tempo. Per una buona meditazione su codesta questione si può scegliere, tra i tanti punti di partenza, un’alternativa di grande respiro metafisico, che propone due concetti e, di due, uno da sviluppare: o il Creatore ha ideato l’esistenza di esseri umani predestinati alla sofferenza perpetua per causa derivante esclusivamente dalla loro stessa nascita o, siccome che soffrano e che soffrano nel peggiore dei modi, cioè intimamente, è un dato di fatto assodato, bisogna ammettere che l’assetto di questo nostro mondo è sostanzialmente e crudelmente sballato.
Fine della prima considerazione, formulata con una stesura alquanto striminzita.
Le seconda considerazione è questa: rifiutando di fare l’amniocentesi, con una forza d’animo non tanto comune M.E. riprende il controllo di sé.
Quanto sia ardua quest’impresa volta all’autonomia decisionale, in una società d’individui ammaestrati fin dalla nascita secondo le ideazioni imposte dai poteri umani in continua antitesi con le Regole Naturali, lo dimostra il fatto che M.E. non riesce ad esimersi dal mortificare se stessa per il sol fatto di non aver accettato il consiglio dell’autorità medica, che pure ha dimostrato di rispettare la sua scelta. M.E. nel suo scritto usa il termine “rispettare”, non “condividere”. La mente di M.E. s’incanta sulla visione dell’esito più negativo del parto, l’unica eventualità che permetterebbe ai medici di rimbrottarle: “L’avevamo avvisata.”, e lo percepisce come l’evento più probabile, quasi certo. “Cosa ci sta capitando?”, ella dice rivolgendosi al marito, mentre "tutto le gira intorno".
Nonostante le nebbie che le offuscano la mente, esalate dal brutto presentimento che le pesa sul cuore, M.E. riesce ad avere coscienza di un altro sentimento che contribuisce ad accrescere l’angoscia in lei. “C’era gente, ma non la vedevo, parlavano ma non li sentivo. Eravamo soli, io e mio marito. Soli con il nostro problema.” Forse per la prima volta, M.E. comprende con desolazione spirituale l’essenza e la portata della principale discrepanza sociale, quella tanto ben puntualizzata da Cesare Pavese con questa sintesi:
(2)Che cosa importa di vivere con gli altri, quando di tutte le cose veramente importanti per ciascuno ciascun altro s’infischia?
Purtroppo, le cose stanno proprio così:
(2)Si cessa di essere giovani quando si capisce che comunicare un dolore lascia il tempo che trova.”
Ma il Potere ci costringe a vivere assiepati come insetti di infima specie per meglio sfruttarci in mille modi e, come collante, si serve della paura che attanaglia le masse dei mediocri che inseguono una sicurezza irraggiungibile, in quanto Stato di Cose non contemplato da un’Esistenza fondata prevalentemente sul Valore della Morte. E il Potere rafforza il collante micidiale divulgando, e spacciandole per verità scientifiche, ciance come quella dell’uomo “animale sociale” quando, per capire quanta verità ci sia nel concetto opposto, basta vivere in un condominio o leggere la cronaca nera quotidiana e inorridire per l’efferatezza di cui è capace il nostro prossimo.
Giunto a questi pensieri, non posso fare a meno di riportare un brano tratto dal Breviario del caos, scritto da chi, assai prima di me, ha posseduto la lucidità mentale per inquadrare sotto ogni suo aspetto l’effettivo stato di cose di questo nostro mondo. Cito brevemente Albert Caraco anche per chiudere una parte del discorso che rischia di allungarsi troppo.
(3)Siamo già troppo numerosi per vivere, per vivere non da insetti ma da uomini:noi moltiplichiamo i deserti a forza di esaurire il suolo, i nostri fiumi sono ridotti a sentine e l’oceano entra a sua volta in agonia, ma la fede, la morale, l’ordine e l’interesse materiale si uniscono per condannarci alla tribù: alle religioni occorrono fedeli, alle nazioni difensori, agli industriali consumatori, il che significa che a tutti occorrono bambini, non importa quello che ne sarà una volta diventati adulti.Con cento milioni di esseri umani la Terra diventerebbe il Paradiso; con i miliardi che la divorano e la insozzano è l’Inferno da un polo all’altro, la prigione della specie, la stanza della tortura universale e la cloaca gremita da folli mistici che campano nel loro lerciume. La massa è il peccato dell’ordine, è il sottoprodotto della morale e della fede, basta questo per condannare l’ordine, la morale e la fede, giacché non servono che a moltiplicare gli uomini e a tramutarli in insetti.
A Caraco fanno eco, in maniera meglio strutturata e meno letteraria, le parole dell’etologo e psicologo Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina nel 1973, scritte nel suo prezioso testo Gli otto peccati capitali della nostra società, anche questo edito da Adelphi, una casa editrice attenta, acuta e scrupolosa. In altre parole: umana e capace di selezionare e scartare le banalità che con il loro notevole peso, smodatamente crescente, oggi stanno soffocando l’editoria in generale.
(4)L’accalcarsi di molti individui in uno spazio ristretto non solo provoca indirettamente, attraverso il progressivo dissolversi e insabbiarsi dei rapporti fra gli uomini, vere e proprie manifestazioni di disumanità, ma scatena anche direttamente il comportamento aggressivo. Molti esperimenti hanno dimostrato che l’aggressività intraspecifica viene incrementata se gli animali sono alloggiati in gran numero nella stessa gabbia.La credenza che attraverso un adeguato “condizionamento” si possa formare un nuovo tipo di individuo immunizzato contro le conseguenze nefaste del sovraffollamento mi sembra rappresentare un’illusione pericolosa.
Il frangente è assai duro per M.E., ma il suo carattere è forte. Si riprende e convenientemente s’affida all’istinto che, a differenza della ragione, non può essere condizionato. Semmai, può essere malamente represso, ma non condizionato e tanto meno suggestionato. Finalmente la sua vita da gestante ritorna ad essere serena, ma non prima di aver elargito ancora due oboli all’idolo che, nel suo settore specifico, sovrintende alla coartazione sociale: altri due consulti ginecologici effettuati in strutture private. Non uno, bensì due.
In un giorno di fine giugno nasce V., il secondo figlio di M.E.: “bello, sano, tre chili e ottocento grammi, tutto suo padre”.
Tutto finito? Uhm.
Essendo che M.E. s’era abbandonata all’istinto per trovare la forza necessaria al superamento di un brutto frangente, ora, ora che la calma è scesa in lei, la sua mente esige spiegazioni esaurienti per consegnarle allo spirito come punti fermi affidabili e di conseguenza le ripropone di tanto in tanto degli interrogativi. Continuerà a riproporglieli finché M.E. non si sarà data delle risposte valide, ovvero in perfetta armonia con i dettami della Natura. Ella potrebbe anche seguire un’altra strada per far desistere la propria mente dal perseverare nell’interrogatorio, nel caso lo trovasse troppo impegnativo o fastidioso, ma all’imbocco di codesta strada sta scritto “Rimozione”. Chi intraprende questo percorso, che sembra una comoda scorciatoia per raggiungere la tranquillità, lo inizia in qualità di persona dotata di spirito e ne esce tramutato in zombie. Misericordia! Quanti ne incontro tutti i giorni! Ma non credo proprio che M.E. andrà ad impinguire queste miserevoli schiere che per calmare il cuore prendono una prima pillola, una seconda per chetare la mente e una terza per dormire. Non è questa la fine che può fare una bella personalità, bella e forte, come quella che si evince dallo scritto di M.E.. Ed infatti ella continua a domandarsi per capire sul serio: “Sarei veramente pronta ad accogliere un bambino down o con altri problemi gravissimi? La nostra coppia ce la farebbe a sopravvivere?
Ecco, questo è uno tra i tanti effetti disgreganti delle maligne influenze sprigionate da un ambiente permeato, fino alla più squallida ignominia esistenziale, dalla cultura del profitto: nella festosa attesa di una nascita, l’impestata aria sociale può indurre una coppia a porsi interrogativi terribili e, al solo affacciarsi d’un pensiero che contempli come appena appena probabile un evento che non verrebbe accettato adeguatamente dalla società, perfino l’unità sacra di una coppia rischia seriamente d’incrinarsi in maniera irreversibile. E, anche in seguito a un evento, infine rivelatosi “normale”, il trauma subito persiste per un certo periodo di tempo, prima di scemare. Abominevole! Se ci si pensa a fondo e correttamente, non si potrà negare con alcun sofisma o logica relativa che il Sistema sia in realtà l’unico ente capace di guastare, in svariati modi e in maniera permanente, perfino la gioia squisita della procreazione. I cassonetti e le tante vite stroncate da chi le aveva generate sono le testimonianze più tristemente manifeste di codesta lugubre verità.
Fortunatamente, M. E. ci confida di aver riflettuto a lungo sul significato del termine “ACCOGLIENZA” e di averne compreso l’essenza e il valore. E’ già un traguardo importante, che può salvare dal cadere in quel disastro mentale in cui, ad esempio, s’è sempre dibattuta Oriana Fallaci:
(5)Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho aspettato molto. … Non mi vedo camminare per strada col ventre gonfio, non mi vedo allattarti e lavarti e insegnarti a parlare. Sono una donna che lavora ed ho tanti altri impegni, curiosità: te l’ho già detto che non ho bisogno di te.
Si inorridisce, fino al raggelarsi delle membra, allorché ci si trova al cospetto di certi aborti mentali che pretendono di essere frutto di una ragione sana. Però, non meraviglia affatto che, chi non si è mai accompagnato alla Verità, chi non si è appropinquato ad Essa nemmeno una volta in tutta la sua vita, non sia mai riuscito a farsi un’idea corretta dell’esistenza ed abbia ininterrottamente parlato con la voce del Male.
Ma lasciamo stare gli zombie, che non hanno fatto altro che seminare sentimenti pervertiti e perversi e spesso addirittura assassini. Talvolta, addirittura!, esaltati dal Potere per scopi oltremodo maligni. Micidiali!
Ora, a M.E. rimane da compiere un ultimo passo e poi il rischio di diventare uno zombie sarà fugato per sempre. Le rimane da comprendere il significato di “ACCETTAZIONE”, termine più forte di quanto non lo sia “accoglienza” e che per il momento ancora non compare tra le parole scritte da M.E.. Il termine “accettazione” è “più forte” in quanto implica tra l’altro la sicurezza individuale nel saper distinguere, con il soccorso della Natura e dei suoi Valori Assoluti che fungono da paradigma, ciò che va accettato con serenità d’animo da ciò che assolutamente non si deve accettare per il benessere dell’Io quanto del .
M.E. scrive: “…un bambino down o con altri problemi gravissimi”, così dimostrando di essere ancora in sintonia con un preconcetto diffusissimo tra gli esseri umani a 46 cromosomi. E va be’, ma facciamo una distinzione che ha a che fare in pieno con l’accettazione ed anche con il suo contrario.
Un bambino down” è un’espressione della diversità naturale e, come ho avuto modo di specificare in precedenza, di una diversità del tutto speciale. Quindi non si può trovare difficoltà alcuna nell’accettarlo. Non rientra nell’insieme dei “problemi gravissimi”. Problemi, talvolta anche gravissimi, hanno origine esclusivamente dall’impatto del soggetto down con una società che down non è, ma che è senz’altro qualcosa di qualitativamente assai peggiore. In un mondo perfettamente naturale, non imprigionato, com’è, in una fitta ragnatela di classificazioni assai poco onniscienti, per un down non ci sarebbero problemi esistenziali di sorta alcuna. Invece… Bah, se io tento di esprimermi meglio con una comparazione sottintesa e plurima, forse posso agevolare la comprensione del concetto appena preso in esame. In un mondo allestito e ordinato nella sua totalità da uomini, una donna (il “diverso” e il “più debole” in questo caso specifico) può trovarsi ancor oggi in notevole disagio, arrivando perfino a sentirsi inferiore, se non addirittura emarginata in quanto carente d’intelletto. Una realtà, questa, che non contempla assolutamente la verità. Per giunta, è convinzione assai comune che le poche donne che riescono ad emergere (emergere solamente dalle acque piatte e limacciose dello stagno sociale, che non è in sé un’emersione di gran valore) non siano veramente, sostanzialmente, donne, in quanto hanno rinunciato alla loro specificità: la femminilità, oppure l’hanno condizionata rigidamente. Una convinzione in parte confortata dalla constatazione, ma che non tiene nel dovuto conto il fattore costrizione. Le donne sono costrette ad adeguarsi a un’immutabile organizzazione sociale del tutto maschilista e per far questo hanno a disposizione una sola forma di condotta: imitare l’uomo. E nessuna imitazione, essendo essa un atto privo di spontaneità, può dare buoni risultati. Tanto per fare un unico e paradossale esempio di imitazione, si può dire che, se un uomo in divisa è già una cosa disdicevole, che di certo non suggerisce pensieri edificanti, una donna in divisa è un’assurdità grottesca, che non può non generare impoverimento esistenziale.
E’ di una tristezza indicibile rendersi conto che per l’ennesima volta l’uomo, l’uomo pervertito che in quanto tale quasi sempre sta al governo delle mandrie acquiescenti, ha agito partendo da un presupposto che si è rivelato un vizio, un errore grave, d’impostazione. Per le sue sciagurate finalità di produzione e consumo ha aperto un’insidiosa strada per la parità tra uomo e donna, il cui inizio è posto sotto una scritta indecente: “Uomo=Donna”. Ne consegue che una donna, diventata “capitano d’industria” o “dirigente scolastico” o “soldato graduato”, viene considerata realizzata, mentre una casalinga, moglie e mamma che si occupa del buon andamento della casa e del benessere di tutti quanti la abitano, è ritenuta una frustrata. Ahimé! Tutt’altro che una “parità” decente, è stata ottenuta! Se invece di mettersi in testa la “parità”, fosse stata ascoltata la Natura che suggerisce esclusivamente la “complementarietà” dei sessi, oggi non si sarebbe costretti a constatare che degradante “realizzazione di sé” sia stata raggiunta dalle donne.
("Complementarietà", in sostanza significa che tutto ciò che non rientra nella specificità naturale dell'uomo compete alla donna e quanto non rientra nella specificità naturale della donna è di competenza dell'uomo. E ancor meglio si può comprendere questo concetto fondamentale sostituendo donna con femmina e uomo con maschio. I termini "femmina" e "maschio" trovano il loro pieno riscontro nell'assetto naturale del mondo, i termini "donna" e "uomo" lo trovano unicamente nell'artificiale assetto sociale e lo trovano completamente snaturato nell'assetto sociale "civile").
Basta scambiare qualche chiacchiera con una “donna realizzata nella parità” per accorgersi di quanta inquietudine ansiosa alberghi in essa, fino a strariparle dagli occhi, e di come essa sia diventata qualcosa di assai differente dall’immagine e dalla sostanza proprie di una donna. D’accordo, in una società pervertita dall’artificiosità, non tutte le donne sono state capaci di mantenere incontaminata, integra, la loro essenza femminile, ma, principalmente sotto la potente spinta consumistica, qualcosa di molto brutto sta succedendo anche alle donne che non hanno compromesso la loro femminilità: stanno diventando sempre più inclini a servirsi della sessualità, strumentalizzata e mercificata, per raggiungere un certo grado di successo sociale che, non è superfluo ricordarlo ancora una volta, nulla ha a che fare con una vantaggiosa realizzazione dell’Io e conseguente serenità del Sé.
(26)Siamo davanti ad una distorsione del rapporto uomo-donna anziché ad un suo miglioramento, e ad una nuova forma di alienazione, che ha già un piede sul viottolo della demenza.”
Differentemente, in un’ipotetica società organizzata esclusivamente dalla volontà femminile ogni donna potrebbe esprimersi in maniera egoisticamente ottimale e, a trovarsi in grave difficoltà, sarebbe l’uomo. Una seconda ipotesi che, sommata alla prima, c’introduce razionalmente nell’ampia questione della convivenza, che non può essere regolata esclusivamente secondo i criteri propri o dell’uomo o della donna, o del “normodotato” o del down, ma potrebbe trovare un assetto decente soltanto se tutti gli esseri umani fossero concordi nel rispettare rigorosamente tutto quanto la Natura suggerisce per l’attuazione di un’Esistenza Significante. I Ruoli da Essa predisposti, ben differenti dai deprimenti ruoli sociali, sono così Onniscientemente differenziati e al contempo complementari, da non permettere, se rispettati, inani imitazioni di alcun genere o forma e nemmeno contrasti prevaricatori. Per disgrazia immane, però, sembra (e magari “sembrasse” soltanto!) che gli uomini continuino a subire esclusivamente la nefasta influenza di Francesco Bacone:
(6)Recuperi il genere umano quel suo diritto sulla natura che ad esso compete per lascito divino; si dia al genere umano la potenza:la retta ragione e la sana religione ne governeranno l’uso (Caspita, ce ne siamo accorti di come è stata governata questa potenza! Con mente e cuore straziati, ce ne siamo accorti!) E il disgustoso disastro che ci troviamo tutt’intorno è stato fatto per “aumentare e moltiplicare le entrate e i possedimenti dell’uomo, proprio secondo il desiderio di Bacone.
In queste poche parole scritte da Bacone c’è già un groviglio tale di falsità che non meraviglia affatto che il pessimo retaggio da lui lasciato abbia contribuito parecchio a mantenere i cervelli umani in uno stato di tenebra profonda, mai misericordiosamente squarciata da un raggio di verità. In questo momento non è mia intenzione dipanare la matassa malignamente aggrovigliata, ma mi sembrerebbe di essere scorretto nei confronti della lettrice, e di qualche altro eventuale lettore, se non mettessi in evidenza almeno la panzana più vistosa, per far capire quanto essa possa essere mortalmente sviante. La potenza, che Bacone rivendica come lascito divino, ben diversa dall’essere qualcosa di divino, non é nemmeno contemplata dalla Natura. Infatti, credo che possa risultare evidente per chiunque che le Cose di questo nostro Mondo sono state disposte in origine secondo il criterio di una funzionalità strettamente riservata alla
competitività dell’individualità
e non alla
competitività di una collettività
Entrambe le competitività sprigionano una forza che inevitabilmente genera distruzione, ma gli effetti di una forza risultano assai differenti da quelli dell’altra. La forza individuale, anche nella sua manifestazione massima, è proporzionata alla struttura dell’ambiente in cui viene esercitata e quindi non può proprio guastare l’armonia di un ecosistema con un qualche suo possibile eccesso. La forza sprigionata da una collettività, invece, non può proprio essere sopportata da un ambiente che, oltre ogni possibilità di equivoco, palesa di non essere stato allestito per reggere all’aggressione di una forza di tipo collettivo, ovvero potenziato. E’ chiaro che, palesando questa incompatibilità assoluta, la Natura sconsiglia drasticamente la formazione di aggregazioni e con ciò fornisce ad ogni uomo, attento al valore dell’esistenza, un dato preciso che dovrebbe essere più che sufficiente a fargli capire che il percorso che esige la formazione di aggregazioni attive è un percorso sbagliato. Come si fa a non accorgersi di questa evidenza?! Quale maligno impedimento non ha permesso all’uomo di assumere una condotta ligia alle Regole Naturali che codesta evidenza, da sola, suggerisce?! Ammessa, ma non del tutto concessa, un’assenza di malafede, quale straordinaria storpiatura del pensiero può essere stata cagionata dall’influsso del Male sulla ragione umana, se un tale si è sentito spinto, legittimato, a dire con burbanza: “si dia al genere umano la potenza”? Come se fosse il genere umano nel suo insieme, e non invece esclusivamente il singolo individuo, ad essere chiamato a impegnarsi nel conseguimento del buon esito di quelle Finalità Esistenziali che, se perseguite correttamente, permettono l’accesso dello spirito nell’Universo Spirituale Eterno. Non è affatto stabilito che sia il genere umano il soggetto destinato ad entrare in massa nell’Universo Spirituale, bensì l’opportunità di accesso è offerta a ciascun individuo, nettamente distinto dall’insieme dei suoi simili, e ognuno la può cogliere solamente manifestando e affinando le qualità della propria unicità e non apportando un piccolissimo contributo, di per se stesso irrilevante, al potenziamento delle “qualità” (o “difetti”?) di una massa che nella fattispecie congloba tutto il genere umano.
Oh, cielo! In che territorio mi sto inoltrando?! Proprio in quel preciso luogo della mente che mi ero ripromesso di non visitare in quest’occasione di scrittura, simpaticamente indirizzata a M. E.. Proprio là, dove sono ordinatamente disposte le sintesi di tutti i pensieri che svelano e confermano l’esistenza della Verità Naturale: l’Unica Verità. Per carità! Chiedo scusa, faccio un rapido dietrofront e, chiudendo alle mie spalle la pesante porta di codesto sacro scomparto, formulo una rozza conclusione del discorso iniziato per istinto: l’opera di ogni singolo individuo, fintantoché rimane manifestazione di potenza singolare, agisce in armonia con la Natura e dimostra con i fatti, non con le parole, di essere opera del Bene; allorché la potenza singolare si associa ad altre potenze consimili, in tal modo originando una potenza composta da forze plurime, l’opera di questa nuova potenza, composita e priva di qualsiasi Valore Esistenziale, dimostra con i fatti, quantunque a parole venga sostenuto il contrario, di essere opera del Male.
L’opera di qualsiasi aggregazione, dunque, è puntualmente distruttiva, senza che essa abbia la capacità di ripristinare ciò che ha distrutto, e più l’aggregazione è numerosa, più distruttiva è la forza che viene messa in atto. Inoltre, tutte le attività espletate dalle aggregazioni rendono corresponsabili gli artefici, e quindi colpevoli, del peggior misfatto, assolutamente imperdonabile, che possa essere compiuto da dei fruitori temporanei dell’ambiente terrestre: depauperamento e sfascio di tutto ciò che, secondo l’ideazione del Progetto Supremo, sarebbe dovuto rimanere intatto, qualitativamente integro, in quanto predestinato ad essere esistenzialmente fruibile in ugual misura da qualsivoglia generazione di esseri umani, dalle generazioni pregresse come e quanto dalle future. Purtroppo, basta un’occhiata per capire che le Cose non sono andate, e ancor meno stanno andando, per il verso giusto. Dopo che è stato percorso per così lungo tempo il sentiero sbagliato, non è facile confidare in una avveduta e rapida retromarcia, anche perché tutti gli attuali artefici dello scempio si ritengono, ugualmente a quelli del passato, del tutto innocenti. Bah, se ne accorgeranno nell’incommensurabile attimo, immediatamente successivo alla loro morte, di quanto orrendamente gravoso sia il “peso” della loro pretesa “innocenza”. Una “innocenza” così tanto governata dal Male da far sì che le aggregazioni, oltre ad aver messo in essere, senza alcuna preoccupazione sensata per la sua incompatibilità con l’ambiente, una maligna potenza formata dall’unione di forze omogenee, abbiano avuto lo sconsiderato ardire di dare origine a una tremenda forza complementare: la tecnologia.
Il fine che questa nostra scienza si propone è di inventare non argomenti, ma arti; non cose conformi ai principi naturali, ma i principi stessi;non ragioni probabili, ma designazioni e indicazioni di opere. A un’intenzione diversa fa pertanto seguito un diverso risultato. Là infatti è l’avversario ad essere vinto e costretto dalla disputa; qui è la natura ad essere vinta e costretta dall’opera.
E in un delirio d’imbecillità Bacone formula anche le modalità delle due operazioni correlate che devono animare la scienza:
La prima scruta le viscere della natura, la seconda plasma la natura quasi sull’incudine.
E, sempre persistendo nel delirare in crescendo, continua a bacchettare chi non crede che l’arte della scienza applicata abbia (6)la forza di attuare mutamenti radicali e di scuotere la natura fin dalle fondamenta e dimostra fino a che punto si sia sviluppata la sua ottusità sostenendo che la convinzione, di chi non crede nella potenza positiva della scienza umana, è una convinzione che ha portato una grande disperazione negli interessi umani.
Oh, sì! Davvero una disperazione enorme! Ma di segno opposto!, rispetto a quello inteso da Bacone. Una disperazione originata proprio da ciò che per Bacone era già evidente in maniera per lui apprezzabile: le invenzioni meccaniche erano tali da non limitarsi solo a guidare gentilmente la natura, ma capaci di vincerla, di sottometterla e (sua idea fissa) di scuoterla dalle fondamenta. … La scienza naturale non ha dunque altro scopo che quello di stabilire fermamente ed estendere il potere e il domino degli uomini sulla natura.
E a noi è toccato l’ingrato compito di constatare con occhi disperati, e con i polmoni mortalmente imbrattati (non fumare! Mi raccomando! Tutto il male del mondo è nella sigaretta!), quanto disastro sia stato esteso in nome di questa mentalità corrotta dal Male e del suo “scopo” nefando, impropriamente definito “progresso”. L’innaturale forza meccanica dell’insensibile tecnologia ha fasciato, in un tempo relativamente breve, quasi tutto il sacro ambiente naturale (ma, valutando la contaminazione, si può ben dire “tutto”), un ambiente indubbiamente creato con Onniscienza e Onnipotenza, sia che lo si valuti dal punto di vista di un credente quanto da quello di un ateo. Onniscienza e Onnipotenza sono, infatti, uno dei pochissimi dati che risultano “oggettivi” ad una disamina razionale. Per… Dico: per “Forza di Cose Infinite”, così evitando di approfondire la questione. Codesta questione di importanza primaria, però, suscita un sacco di domande, tra le quali io ora ne prenderò in esame soltanto tre. La prima: può, una creazione dell’Onniscienza e dell’Onnipotenza, essere annientata dall’incosciente azione dell’Uomo? Benché questa azione sia diretta da Male, che è in grado di esercitare un’influenza la cui potenza si trova in esatto rapporto paritetico con la potenza propria del Bene? Una risposta esaustiva illuminerebbe molti lineamenti della Verità, ma io, cara e paziente M. E., che con questo mio scritto rivolto a te mi sono proposto di spargere soltanto un po’ di “stimoli”, mi limiterò ad asserire che l’annientamento del Creato da parte del Male è un Finale impossibile, poiché comporterebbe la Fine Suprema del Male medesimo. E, ovviamente, anche quella del Bene che, ripeto, possiede le stesse potenzialità del Male. Un evento possibile è, invece, l’annientamento del fattore che ha completamente pervertito la condotta esistenziale, il cui “modello corretto” è sempre stato chiaramente indicato dalla Natura con le sue Regole, semplici da seguire (Troppo semplici, forse, per alcuni elementi nevrotici?). Attualmente, questo evento catastrofico è ritenuto di giorno in giorno sempre più probabile, tuttavia si nota che la Natura, sempre “madre” e mai “matrigna”, a dispetto di coloro i quali vorrebbero presentarla sotto questa seconda veste per poterla sfruttare a loro piacimento, esita ad intraprendere una decisa azione di annientamento e preferisce indulgere nell’invio di avvertimenti forieri di un messaggio inequivocabile, continuando a sopportare con sofferenza manifesta le tante offese che riceve, in attesa di un ravvedimento del genere umano, oramai pressoché insperabile. Ma fino a quando durerà la sopportazione della Natura?
La seconda domanda è questa: a che pro tutta questa distruzione che scienza e tecnologia, due strumenti che possono essere attivati con efficacia unicamente da aggregazioni numerose, non cessano di accrescere? Breve risposta: si tratta di attività che non conducono da nessuna parte, se non sempre più vicino all’orlo dello strapiombo che riversa l’Esistenza nel Nulla. Sono attività esistenzialmente vane, che vengono giustificate dagli agenti del Male, esseri definitivamente sopraffatti dall’ignoranza abbondantemente diffusa dalla menzogna maligna, con pretesti di “comodità”, “sicurezza” e “felicità”. Ma chi ha stabilito che la vita dell’essere umano dev’essere per forza comoda, sicura e felice? Coloro i quali l’hanno resa un vero inferno?
(29)Mi credo in inferno, dunque ci sono. E’ l’adempimento del catechismo. Io sono schiavo del mio battesimo. Genitori, avete fatto la mia rovina e voi la vostra. Povero innocente!L’inferno non può colpire i pagani.”, così urla la disperazione di Arthur Rimbaud, Basta!...con gli errori che mi suggeriscono: magie, profumi falsi, musiche puerili. E dire che ho in mano la verità, che vedo la giustizia: ho un giudizio sano e sicuro, sono pronto per la perfezione.”
Quanto spazio sarebbe necessario per commentare queste forti parole di Rimbaud!
O, piuttosto, è stato sulla base di un semplice desiderio umano che si è generalizzata l’idea di una vita comoda, sicura e felice? Un pio desiderio della paura che attanaglia il meschino, magari astutamente tramutato in “Meta agognata” dall’inventiva del Male? E dev’essere coltivato finanche a discapito del Significato e delle Finalità dell’Esistenza stessa? E, per l’appunto, a esaurimento di Significato e Finalità Esistenziali operano scienza e tecnologia. Ma, cancellati Significato e Finalità, l’esistenza diventa uno spreco insensato del tempo terreno. Uno spreco che non potrà mai elargire né felicità né vera sicurezza. Vera sicurezza che nulla ha a che vedere con l’ottuso timore della Morte.
Qui può essere inserito proficuamente un pensiero di Norman Brown, in piena sintonia con Hegel:
Ancora oggi l’umanità crea la storia senza essere assolutamente consapevole di ciò che vuole realmente o di quali condizioni sarebbero necessarie per porre fine alla sua infelicità;di fatto ciò che sta facendo sembra che la renda sempre più infelice, e che tale infelicità essa la chiami progresso.”
Per vivere il più felicemente possibile, e con senso compiuto, bisognava lasciar stare le Cose come stavano, mantenendo con modestia il pensiero rivolto a Onniscienza e Onnipotenza e confidando nella Giustezza del loro operato.
Terzo e ultimo interrogativo: ma, se era, ed è, dovere naturale dell’Uomo non scombinare ciò che gli è stato concesso in usufrutto per un periodo breve, cosa avrebbe dovuto fare, e dovrebbe fare, ogni uomo capitato sulla Terra?
La risposta a questa domanda comprende la spiegazione dell’essenza stessa della Verità Naturale e quindi esige assolutamente uno svolgimento esaustivo che nel contesto di questo scritto sarebbe fuori luogo, in assenza di un serrato contraddittorio che possa attestare ed esaltare l’inoppugnabile veridicità delle affermazioni. Comunque, posso garantire a M. E., e a chiunque altro, che la risposta precisa c’è.
Bah, queste mie parole potranno essere considerate da qualcuno come una provocazione? Beh, mantenendomi sincero, non posso dare una risposta diversa dall’ammettere che questo scritto è zeppo di “quiete provocazioni”, in attesa di un tempo onorevole in cui la Verità possa essere divulgata con la medesima passione che è stata profusa nella divulgazione delle menzogne. Intanto posso dire soltanto che l’abbandono di certe “ambizioni” umane sta diventando una necessità vitale che chiede soddisfazione con insistenza viepiù pressante.
Fatti non siamo per viver come bruti / ma neanche per seguir virtute e canoscenza.” Senz’alto no, almeno fino a quando la virtù e la conoscenza da seguire continueranno ad essere scelte ed imposte da chi è testardamente intenzionato a generalizzare il non generalizzabile.
In Scienza e Dominio, validissimo ed esauriente testo di William Leiss, si legge:
(6)Bacone distingueva tre specie di ambizione umana: una che consiste nella cura degli interessi privati dell’individuo, un’altra che cerca di promuovere l’interesse della nazione, e una terza che “è quella di coloro che cercano di instaurare ed esaltare la potenza e il dominio dell’uomo stesso, o di tutto il genere umano, sull’universo.Il progresso scientifico e tecnologico doveva essere lo strumento di un’ambizione a livello di specie, che subordinava a sé e trascendeva tutte le inclinazioni di minor valore.Così definitiva è stata l’opera di Bacone che, nella storia dell’idea del dominio sulla natura, tutti gli stadi successivi si possono ridurre a una serie di variazioni sul tema baconiano.
Rievocato Bacone, (sir Francis Bacon de Verulam), filosofo inglese ribattezzato a suo tempo “il segretario nella natura” (uno scherzo di segretario infido!) e la sua ferale espressione “diritto di potenza e dominio dell’uomo sull’universo per lascito divino”, non si può fare a meno di ricordare dove affonda le radici una certa realizzazione del Male, che per sua stessa natura è avverso al Creato e alle Finalità Esistenziali dell’uomo e quindi non cessa mai d’insidiarne la presenza e il buon Esito. Mettere in evidenza certe fondamenta, che taluni vorrebbero mantenere ben nascoste e all’uopo le ricoprono abbondantemente di letame pressoché ogni giorno, non è mai fuori luogo, in questo nostro tempo alquanto disgraziato. Tanto meno è fuori luogo fornire qualche indicazione, che aiuti a scorgere, in questo contesto di scrittura che, se vogliamo ben vedere, sviluppa una tematica relativa al futuro dei nostri figli. Un futuro che per il momento si prospetta oscuro e oltremodo minaccioso.
Ancora in “Scienza e Dominio” trovo un’interessante conferma a un concetto che mi è perfettamente chiaro da parecchio tempo e che in altri scritti ho ampiamente sviluppato e perfezionato in maniera davvero ineccepibile, almeno stando ai tanti confronti e confutazioni che ha sostenuto e superato e al giovamento immediato che ha saputo elargire a un discreto numero di persone.
(6)In un’affascinante conferenza tenuta a un incontro dell’American Association for the Advancement of Science lo storico Lynn White sosteneva che “l’attuale, sempre più vasta, distruzione dell’ambiente globale è il prodotto di una scienza e tecnologia dinamiche, che non possono essere storicamente comprese, se le si separa da certi determinati atteggiamenti verso la natura, profondamente radicati nel dogma giudaico-cristiano”.Dunque, secondo White, poiché le radici dell’attuale crisi ecologica affondano nella religione, per risolverla è necessario attuare una trasformazione religiosa, piuttosto che ricorrere a rimedi tecnologici.White ha individuato un aspetto critico del rapporto tra l’uomo e la natura, poiché, oltre al residuo mitico, il nostro retaggio religioso rimane una fonte di vitale importanza per interpretare il mosaico intellettuale inerente al dominio sulla natura. Come sottolinea White, fino al diciottesimo secolo quasi tutti gli scienziati si occupavano anche di questioni religiose, dal che è ragionevole concludere che gli interessi teologici abbiano influito sul loro modo di concepire il significato di progresso scientifico.La scienza concepita come la conquista del dominio sulla natura sembrava la naturale realizzazione della promessa biblica, che l’uomo sarebbe stato il signore della terra.L’esposizione biblica pone dunque in rilievo il possesso del potere assoluto su una base di sovranità ed è proprio l’elemento del potere a distinguere essenzialmente l’uomo dalle altre cose create: “Nell’idea di un patto tra l’uomo e la creazione inferiore, l’uomo è distinto non dal possesso di facoltà spirituali, bensì dall’essere il signore dell’universo, soggetto solo a Dio, che è il Signore Supremo. Infatti “l’uomo non regna sul mondo animale perché è l’immagine di Dio: al contrario, egli è l’immagine di Dio perché regna sul mondo animale, partecipando così al dominio universale di Dio.”. La questione decisiva, qui, per un commentario teologico cristiano, era in che modo la Caduta avesse inciso sul dominio dell’uomo sulla terra. L’esistenza degli animali selvatici era considerata una prova che, in conseguenza del peccato vi era stata una parziale perdita d’autorità, poiché si assumeva che nel Giardino dell’Eden tutti gli animali obbedissero al comando dell’uomo. L’addomesticamento o la distruzione degli animali selvatici sarebbe dunque un segno che il paradiso terrestre è stato restaurato (sic!). Tutte le leggende riguardo alle imprese dei primi santi, ritiratisi a vivere in luoghi deserti, parlano della loro capacità di addomesticare belve, come prova del fatto che essi stavano riaffermando la giusta sovranità di cui l’uomo godeva prima della Caduta.Non è dunque un caso che i termini di cui ci occupiamo in questo libro – dominio, padronanza e conquista derivino tutti dalla stessa fonte.Qui non ci troviamo di fronte a uno sviamento di breve durata, bensì a un modello di pensiero di notevole coerenza, che ha radici profonde nelle più importanti tradizioni culturali della società occidentale.
E da qui il macello che oggi ci circonda in maniera deprimente e finanche asfissiante.
Religioni e scienze! Che accoppiata esiziale! Ed è di una drammaticità pazzesca che ad asseverare l’essenza rovinosa dell’accoppiata non sia la logica di una argomentazione scientifica o filosofica, bensì l’evidenza della realtà quotidiana in cui si è costretti a vivere. La cronistoria, di come si sia arrivati a vivere una quotidianità disperata e viepiù disperante, si può riassumere brevemente con la contrapposizione di due verifiche comportamentali: fino alle soglie della rivoluzione industriale, l’uomo ha vissuto secondo la concezione di un mondo che a lui era stato dato affinché vivesse dei frutti della Natura; differentemente, dagli inizi della rivoluzione industriale in poi, nell’uomo è andata sviluppandosi la consapevolezza di non trovarsi più a vivere in un mondo dato all’uomo, bensì in un mondo fatto dall’uomo, nel quale le condizioni di vita non sono più determinate dai doni assennati della Natura ma dipendono, rovinosamente in maniera tragica, dalla produzione dissennata dell’uomo stesso. Due stati esistenziali che sembrano in netta contrapposizione tra di loro, tanto che ci si può domandare come, per quale arcano, il genere umano sia potuto transitare dalla prima condizione di vita alla seconda, direttamente successiva. Ma l’incompatibilità è solo apparente, mentre la consequenzialità è reale in maniera evidente: in un certo momento dell’epoca in cui il primo stato esistenziale era stabile, qualche combriccola di saputelli furbastri ha scritto in un libro: “Fai del mondo ciò che vuoi, tu ne sei l’incontrastato padrone.”
Certo è che l’Ente Creatore “non ha bisogno” di scrivere libri per gli uomini: crea e col Creato s’esprime. Perfettamente, tra l’altro. E, creando, ha impresso il Suo “Libro” in ogni Sua creatura. (Non si pensi a una qualsiasi immagine del Creatore, poiché l’Infinito non ha immagine.) Sarebbe auspicabile, per un miglioramento consistente quanto urgente dell’esistenza umana, che l’uomo si staccasse definitivamente dalle menzogne diffuse a scopo di potere e di lucro e imparasse finalmente a leggere sul serio. Ma non a leggere la “mappa del genoma umano”. Questa non è “scrittura” destinata alle limitate qualità dell’uomo e, in quanto tale, ostacola l’uomo nel corretto compimento della propria esistenza. Per il buon esito delle proprie Finalità Esistenziali, l’uomo ha bisogno soltanto d’imparare a leggere le disposizioni emanate dalla Natura in maniera evidente e indubitabile: “a misura d’uomo” e nulla di più. L’approfondimento “curioso”, pungolato dalla smania di dominio e di fama, propria di chi soffre di complesso d’inferiorità, o, talvolta, da una noia nevrotica in quanto insipiente ed esagitata, è “attività” vana, in quanto si propone d’investigare su Qualcosa di assai Superiore alle facoltà dell’uomo. Un Qualcosa che E’ Infinito Supremo, con congetture e connessioni che non hanno limiti, e quindi risulta imperscrutabile dalla “carne”. E fintantoché lo spirito albergherà nella carne… è drammaticamente pericoloso, oltre che inutile, insistere nel sommare errore ad errore.
Ma, secondo me, ciò che la scienza depaupera maggiormente è il sottile Piacere dell’Esitenza. E nel cagionare codesto immiserimento agisce in maniera subdola, sicché sono in pochi a rendersi pienamente conto degli effetti della sua azione pregiudizievole.
Due esempi, sebbene piccoli piccoli, possono essere comunque sufficienti a far risaltare questa realtà miseranda. Venuto a conoscenza del fatto che i profumi sono composti da molecole che vagano, e quindi mi entrano anche nel naso, se ci penso su, piuttosto di trovar piacere nell’odorare mi sento soffocare. Per fortuna, le persone non pensano a questo, ma ciò non toglie che la conoscenza, del processo che doveva rimanere celato per non svilire la qualità della vita, agisca comunque negativamente in loro.
Esempio di un secondo tipo: se conosco le ragioni dell’eclissi solare e lunare, allorché codesti fenomeni accadono non m’interessa più osservarli. Non mi suscitano più una qualche emozione benefica. Quando il “trucco” è stato svelato, l’effetto affascinante dello spettacolo svanisce. Il che vale anche per il Sole, che continua a sorgere e tramontare nonostante Galileo Galilei, e per mille altre “illusioni” assolutamente necessarie all’esistenza umana. L’ineguagliabile bellezza della Natura, tale e quale come appare allo sguardo, e non all’indagine, ha il potere di mantenere sano l’uomo sia nella psiche sia nello spirito. Nel post intitolato “Il desiderio d’un padre” ho riportato un magnifico pensiero di Giacomo Leopardi sulla questione dello spegnimento delle illusioni. Merita di essere letto e il concetto espresso dovrebbe trovare residenza permanente nella memoria di ognuno. Se di già non vi alloggia.
Ma a quale scopo si distruggono le illusioni? Per sostituirle con quale costruzione o fabbricazione, dato che l’uomo, è un fatto assodato, non può “creare”, sebbene sia solito usare a sproposito questo verbo? Un verbo, che manco dovrebbe essere presente nel vocabolario degli uomini.
Karl Popper dice:
(7)Tutti diamo il nostro contributo all’edificio della conoscenza oggettiva, come artigiani che costruiscono una cattedrale. (Osservazione che meriterebbe un lungo “distinguo”) Solo che, bisogna precisare, nella scienza la “cattedrale” non risulterà mai definitivamente compiuta e, lavorando alla sua edificazione, non saremo mai in grado di sapere se stiamo procedendo nel modo corretto, o se non stiamo piuttosto avviandoci in una direzione che condurrà al crollo rovinoso della nostra costruzione.
Se un’impresa edile presentasse un progetto immobiliare con garanzie simili a queste, tutti i responsabili verrebbero ricoverati d’urgenza nel reparto neurodeliri.
E’ naturalmente corretto, giusto, che un genitore veramente amorevole indirizzi la propria prole ad espletare un’attività così inane, folle, e, in ultima analisi, così tanto svilente?
Intanto mi sa che certuni, non tutti, stiano costruendo una cattedrale proprio sopra una cattedrale preesistente, già elevata al massimo possibile, e, quindi, il crollo è pressoché assicurato. A questo lavoro io non voglio prestare la mia opera di artigiano. Io mi accontento di ammirare, e godermi, la cattedrale già esistente. Edificata con perfezione impareggiabile. Non mi soffermerò mai ad osservare la cattedrale superflua e minacciosamente instabile, mai alzerò lo sguardo più in alto del dovuto, perché potrei incorrere nell’inconveniente di non saper più dare un corso preciso ai miei pensieri, come può succedere perfino a Popper. Infatti:
(8)Nonostante la mia venerazione per la scienza, non sono uno scientista. Perché uno scientista crede dogmaticamente alla autorità della scienza, mentre io non credo in nessuna autorità ed ho sempre avversato il dogmatismo, e ancora ovunque lo avverso, soprattutto nella scienza.
Comunque, anche rimanere a metà strada con le proprie determinazioni equivale ad essere complici nel disfacimento del “già fatto” con Onniscienza e Onnipotenza. Ma il “già fatto” non verrà mai distrutto definitivamente, proprio in quanto “ideato” con Onniscienza e “realizzato” con Onnipotenza. Chi verrà effettivamente fermato, o finanche tragicamente estinto, sarà l’insieme dei distruttori, degli ignoranti nevrotici, saccenti e boriose prede del Male, che costruiscono malamente su ciò che è stato “costruito” perfettamente.
Chissà perché, ma sono sicuro che il lettore acuto capirà meglio di me, mi vengono alla mente alcune parole, ancora di Konrad Lorenz:
(4)Sarebbe presuntuoso credere che ciò di cui noi siamo sicuri non possa essere inteso anche dalla maggioranza degli altri uomini.
Eppure… benché in assenza di presunzione… Che le mie parole non vengano “intese”, poco importa, ma che proprio la maggioranza degli uomini non abbia inteso le tue, caro Lorenz, né quelle di tanti altri pensatori che hanno parlato e scritto con schiettezza esemplare, mi appare come un fatto di enorme gravità che ci sta conducendo alla rovina. E’ chiaro che, come tu spieghi magistralmente ( specialmente nel libro il cui titolo ho appena citato), ed Erich Fromm assieme a te, la maggioranza è afflitta da vere e proprie patologie gravissime, patologie di sistema, ma non capisco perché non si voglia curare, perché non desideri guarire, quando, per un semplice raffreddore, affolla preoccupata gli ambulatori medici. Non comprendo, insomma, perché non voglia salvarsi. Solo a causa della sua ignavia troppo ben radicata? Lo so, lo so, non solo per questo motivo. Per tanti altri, di cui l’ignavia è solamente la conseguenza e il sintomo, tuttavia sono del parere che non dovrebbe essere impresa difficoltosa arrivare ad avere piena coscienza del fatto che questi tanti altri motivi sono tutti eliminabili con sforzi e sacrifici accettabili. Invece… macchè, preferiscono ridere goffamente, ironizzare e continuare a consumare senza pensare. E a credere, senza pensare!
Eppure, come ci ha fatto sentire la voce di Konrad Lorenz, e con la sua anche quella di tutti coloro i quali sono riusciti a preservare la loro sanità mentale, una verità importante è questa: (4)Un essere che non abbia ancora preso coscienza del proprio Io non può essere in grado di sviluppare né un pensiero astratto, né un linguaggio, né una coscienza o una morale responsabile. Un essere che non riflette più corre il rischio di perdere tutte queste qualità e attività specificatamente umane.
E, quando non c’è più né pensiero astrattolinguaggio appropriatocoscienza propriamorale naturale responsabile, cosa resta dell’uomo? Un ammasso di carne incosciente? In cui innestare una sfilza di regole artificiali per farlo muovere e fargli trascorrere in qualche modo insulso il tempo della sua unica occasione di esistenza? Un ammasso di materia incosciente dedito a una scienza, inventata da questo stesso ammasso incosciente? Ma, pensando a questi interrogativi, si può forse concludere la meditazione con un’alzata di spalle e dire: “Fattacci loro.”? Magari! Il fatto grave è che in una società “civile” individui di tal fatta possono facilmente pervenire a dei posti di comando e pretendere addirittura di legiferare e decretare. Umanamente parlando: come si fa a conciliare l’obbedienza con quanto viene imposto da grumi di carne incosciente? Carne non cosciente perfino di se stessa!
Che bella prospettiva, che consolazione!, per un genitore consapevole inserire, in un mondo composto da una maggioranza assoluta di esseri umani che non riflettono più, la propria creatura, sulla quale ha riversato tanto amore! Mio figlio Fabio, down, sa riflettere. Oserei dire: forse troppo, per il mondo in cui è venuto a trovarsi. Riflette, forse, più lentamente di un cosiddetto “normodotato” non ancora deteriorato, ma riflette prima di ogni parola e prima di ogni azione. Immancabilmente! E il risultato delle sue riflessioni non è naturalmente meno valido di quello di un buon “normodotato”. Anzi… talvolta… Quante cose essenziali mi ha insegnato Fabio! Oh, cielo! Quanto ho appreso da lui! Non c’è stato per me insegnante migliore.
Quindi, dopo le poche considerazioni disparate messe a mo’ di comparazione nel merito d’una questione importantissima, ed oggi vitale, si può comunque intuire facilmente, e poi capire, quanto si trovino a disagio, in un mondo pensato e realizzato dai difetti e dalle manie di esseri a 46 cromosomi, tutti quelli che di cromosomi ne hanno 47. Principalmente per il fatto che vengono a trovarsi costretti ad imparare un sacco di cose che, se affascinano parecchio i cosiddetti “normodotati”, non suscitano in loro alcun interesse. Cose, che di giorno in giorno vengono considerate prive di valore esistenziale, superflue quando non dannose, finanche da un numero viepiù crescente di “normodotati”, che hanno avvertito con quanta veemenza il Disastro imputabile all’uomo aliti, oramai, sulle loro fragili spalle. Al contrario, tutta la gamma di manifestazioni affettive originate da sentimenti incontaminati, che per i down è d’interesse precipuo, per i “normodotati” è “cosa” da relegare in quart’ordine e viepiù in ordini sempre più inferiori, quantunque in molti siano pronti a sostenere, soltanto a parole!, che ciò non è affatto vero.
Può essere molto significante per M.E., e per qualsiasi altro lettore eventuale, che io menzioni qui uno dei risultati di una ricerca antropologica effettuata dal brillante allievo di Anna Freud, Erik H. Erikson.
(9)I bambini indiani (pellerossa), chiamati a contatto con la cultura ed i valori della società americana “civile” (misericordia!), reagivano con la passività e l’indifferenza al tipo d’insegnamento che per loro era stato predisposto. E non è che i pellerossa abbiano più di 46 cromosomi.
In conclusione del discorso sull’accettazione dianzi interrotto: per quanto riguarda i soggetti portatori di trisomia 21 (e di tutte le altre sindromi cromosomiche, o cromosomopatie che dir si voglia, sulle quali governano e discriminano Vita e Morte. Perciò, quando la Natura dice: “Vita!”, accettazione piena della vita dev’essere da parte dell’uomo.), l’accettazione rientra nella normalità naturale. Poi ci sono i “bambini con problemi gravissimi” e qui il discorso si fa più che penoso: straziante. La causa di tutti i problemi gravissimi sta esclusivamente nell’errore dell’azione umana. Qui interviene la non-accettazione, poiché ci troviamo al cospetto di una “produzione” umana e non della Natura. Non-accettazione intransigente che, comunque, non si rivolge mai alla vittima dell’errore, di per sé meritevole di sollecito e continuo soccorso. Non- accettazione del “fare” umano, che implica il “non fare” e che sovverte il “buon senso” sottinteso dall’adagio “solo chi non fa non sbaglia” e ne ripropone decisamente un altro, questo, sì, veramente valido: “in dubio abstine”. Questione che, per essere giustificata convenientemente, comporterebbe un discorso lunghissimo, da non intraprendere in codesta occasione di scrittura. Lunghissimo, purtroppo, sebbene che, per comprendere abbastanza, dovrebbe bastare una modesta meditazione sul fatto che in Origine Tutto “è stato fatto” con Onniscienza e Onnipotenza e che di conseguenza l’uomo, privo di queste qualità eccelse, non avrebbe dovuto permettersi di modificare nulla di codesto Tutto, in cui si è venuto a trovare per perseguire Finalità assolutamente non comprensive dei concetti di “modificare” e “disfare”. Tanto meno avrebbe dovuto permettersi “d’indagare l’Indagabile” con finalità tecniche di “distruzione”, limitandosi ad “assaporare” e quindi a “vivere veramente”. Nella precedente locuzione mi sono servito della forma riflessiva del verbo “limitare”, tanto per farmi intendere un po’ in un discorso assai ristretto, ma in verità “assaporare” comporta il massimo della Libertà concessa all’uomo dalla Natura. E, ancora una volta, sono costretto ad impedirmi di malavoglia l’approfondimento di argomenti di ampio respiro.
Beh, ritornando a parlare di M.E. in modo più diretto, si può forse asserire che, fatto l’ultimo passo verso l’Accettazione, e più completamente verso una comprensione esistenzialmente valida, arrivi finalmente la tranquillità? Così potrebbe essere, così dovrebbe essere. Invece…
Anche l’acume di M.E. intuisce che le cose in questo mondo non stanno andando per il verso giusto. Intuizione che le si presenta sotto la forma grezza di “stanchezza”: “Se penso alla fatica di crescere un figlio, all’attenzione costante che ci vuole per i molteplici aspetti che riguardano la vita dei nostri bambini, a volte vado in tilt”, benché abbia “due bambini sani che hanno un percorso normale di vita e spesso mi dico di stare calma.”.
Beh, certo, allevare la propria prole senza essere coadiuvati da una Natura integra, che, unica, sa rendere semplici, “naturali” per l’appunto, gl’impegni primari di ogni essere vivente, è indubbiamente un incarico gravoso.
Verrà il momento, ne sono certo, in cui M.E. esaminerà a fondo i motivi della sua stanchezza e della sua saltuaria perdita di calma e comincerà con lo scorgerli annidati proprio in quel percorso “normale” di vita. Per adesso mi limiterò ad esaminare, brevemente e senza troppe pretese di essere esaustivo, i molteplici aspetti della vita “normale” che preoccupano M.E. in qualità di genitrice e generano inquietudine in lei. M.E. li elenca e io seguirò l’ordine dell’elenco.
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Salute”: l’inquinamento generale del nostro pianeta lascia poco spazio alla speranza di ritrovare un percorso di vita “normale”, se per “normale” s’intende qualcosa che abbia adeguata attinenza con l’Esistenza Naturale, così come è stata concepita in origine con Onniscienza e Onnipotenza. Esistenza che, per il mantenimento del suo stesso valore, presuppone la presenza di aria pura, acqua incontaminata e terreno sano per il sostentamento. “Terreno vitale”, o “spazio vitale” che dir si voglia, che l’individuo deve difendere a costo della propria vita. Di questi tempi le preoccupazioni per la salute dei propri cari aumentano di giorno in giorno e pesano su ogni singola persona in maniera deprimente, sia che la persona sia consapevole del peso che l’affligge, sia che se lo porti appresso inconsciamente. In questo secondo caso il peso si fa più schiacciante per lo spirito. E gl’inconsapevoli, che nulla hanno capito dell’esistenza, finiscono con l’implorare l’eutanasia, nel convincimento di chiudere il loro inutile ciclo di vita almeno senza patire ulteriori sofferenze. La Morte, invece, essendo per l’uomo il metro di tutto, va compresa sul serio e quindi vissuta in ogni suo aspetto.
Tanto ci sarebbe da dire sull’argomento salute, oggi insidiata da ogni lato principalmente dalle cosiddette “malattie sociali”. Una gamma di un migliaio di morbi che, se non fosse stato per l’intervento dell’intelligenza nella condotta esistenziale umana, la Natura ci avrebbe benignamente risparmiato. Tra l’altro, la stessa instaurazione globale della “civiltà del preservativo” non può proprio essere apprezzata come un traguardo salubre nel cammino del progresso umano. Saranno contenti tutti i sessuofobi, che tanto hanno inveito finché una “maledizione” è capitata per davvero. (10)La decisione cristiana di trovare il mondo brutto e cattivo, ha reso il mondo brutto e cattivo.” Sempre incisivo secondo il suo stile onesto, Friedrich Nietzsche, ma non è di questo che ora voglio parlare, né di malattie né di come sia successo che, a forza di testare farmaci per la riduzione dell’azione immunitaria di rigetto, conseguente a un trapianto d’organo, sia spuntato un virus che le difese immunitarie le debilita a tal punto da provocare la morte. Desidero, piuttosto, richiamare l’attenzione su uno stato di cose che sta aggiungendo una buona dose di angoscia alla già gravata preoccupazione per la salute, dolorosamente presente in un gran numero di persone. Si tratta di qualcosa che si sta verificando sempre più spesso nell’ambito dell’istituzione sanitaria. Per essere il più conciso possibile nell’abbozzare la questione, riassumerò l’essenza di una conversazione fatta un po’ di tempo addietro con un paio di miei amici, medici ospedalieri.
Parlando tra di noi, dopo aver degustato un caffè nella caffetteria preferita, andavamo saggiando fuggevolmente una serie di argomenti quando ad un certo punto era diventato oggetto di conversazione la questione dell’errore umano nel contesto delle pratiche ospedaliere. Io avevo manifestato ai due medici tutto il mio stupore per l’incredibile numero di errori fatali che si stavano verificando nella sanità e avevo insinuato che, secondo una mia sensazione quasi certezza, a questo numero impressionante bisognava immaginare di aggiungere un tot di casi in cui l’errore non veniva alla luce. Dopo qualche espressione di sconcerto per l’entità di un guaio in continuo aumento, ognuno di noi aveva iniziato ad esternare il proprio parere sulle presumibili cause di questi disgraziati eventi e io ricordo ancora il brivido provato ascoltando l’ipotesi formulata da uno dei miei due amici. Negligenza? Distrazione? Stanchezza? Tensione mal sopportata? No. Secondo lui poteva essere preso in seria considerazione il tragico fatto che il bombardamento quotidiano di notizie riguardanti le stragi di giovani vite sane, ad opera di sciagurati malfattori che non concepiscono nessun tipo d’esistenza senza guerra di conquista, poteva esercitare una malaugurata influenza inconscia in chi ogni giorno si prodiga strenuamente per prolungare la vita di qualcuno. Anche di uno solo. Anche di un novantenne gravemente acciaccato. Un influsso, insomma, che, tramite la recettività più sensibile di certuni e del tutto inconsciamente, va a svilire l’essenza stessa della prestazione medica e di conseguenza genera un tipo particolare di distrazione, difficile da eliminare con la sola volontà d’attenzione. Poi aveva aggiunto che la sua ipotesi di causa o concausa non escludeva il personale paramedico e a prova di ciò ci aveva riferito un pensiero che, sotto forma di due domande retoriche, gli era stato confidato da un autista di autoambulanza: “Che corriamo a fare per salvarne uno, quando quell’altro ne fa ammazzare una dozzina al colpo? Siamo tutti ugualmente esseri umani, oppure alcuni sono soltanto animali da macello?
Già, quale rivoltante tumore dell’animo condiziona il comportamento di chi versa lacrime per la morte di un occidentale e manco s’intristisce un po’ per milioni di orientali massacrati?
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Alimentazione”: il mercato, che esige la durata della conservazione della merce e quindi predilige i raccolti di frutta e ortaggi non ancora giunti a maturazione, la sofisticazione alimentare con cui s’impinguano gli animali destinati a diventare cibo per l’uomo, fino a far diventare onnivori perfino quelli che hanno un apparato digerente adatto unicamente a una dieta vegetariana, le pratiche folli con cui si snaturano i vegetali e tanto dell’altro ancora, hanno pervertito l’alimentazione da “soddisfazione” a “smarrimento”. Sapori e aromi hanno perso la loro intensità originaria, tonico importante finanche per la salute mentale, come anche la scienza sta scoprendo con clamoroso e colpevole ritardo. I più scrupolosi, tra coloro i quali acquistano il cibo prelevandolo dagli scaffali, consumano la vista leggendo le svariate etichette sciorinate dalla distribuzione alimentare, ma continuano a non conoscere ciò che capita loro d’ingurgitare effettivamente. Né possono, i consumatori, confidare con sicurezza nell’opera espletata dai sorveglianti, poiché, far sì che nulla di dannoso per la salute sfugga ai controlli, è impresa votata al fallimento. Per sapere con gustosa e benefica precisione cosa si mangia, bisogna conoscere gli alimenti ben prima di trovarseli nel piatto, ma nelle odierne società “intelligenti” ciò non è possibile. Inoltre, pur tralasciando di preoccuparsi per le scarse qualità prettamente nutrizionali del cibo che oggi possiamo mangiare, bisognerebbe avere piena coscienza del fatto che prelevando le vivande dagli scaffali dei supermercati o “degustandole” in un ristorante, il cibo in sé perde una parte importante delle sue qualità ristoratrici. Sono qualità che, ad elencarle, potrebbero sembrare dei fattori puramente astratti, ma in realtà, quando sono presenti, agiscono concretamente per il benessere sia della soma che della psiche. Soprattutto della psiche, che quindi diffonde uno stato di benessere in tutto il corpo.
Beh, si può sicuramente concludere che nemmeno nel campo alimentare l’uomo “civile” stia muovendosi lungo un percorso “normale”. E dire che sta percorrendo le “strade della follia” è ancora troppo poco. Quando si pensa all’elevata nocività della catena della distribuzione alimentare vien da dedurre che non solo la follia più cupa guidi l’opera dell’uomo “civile”, ma che la stessa follia sia coadiuvata direttamente dalle forze del Male, che per sua stessa natura mira indefessamente all’annientamento del Creato. Affinché gli scaffali siano sempre riforniti per soddisfare la comodità mortale, che ha fatto appassire la coscienza naturale dell’uomo, e per assecondare le smaniose esigenze di una produzione che può essere tranquillamente definita “incontinente”, la Natura viene depredata ben oltre le già squilibrate esigenze di una società d’insensibili consumatori incalliti. Con tutta probabilità dev’essere enorme la massa di beoti che neanche immagina quanto alta e grossa sia la montagna di alimenti che viene gettata via perché invenduta. Più di un terzo di tutta la produzione alimentare, senza tener conto degli scarti che avvengono a inizio produzione. Sì, qualcosa di scaduto o avariato viene cinicamente riciclato in barba alla sorveglianza o con la complicità della medesima, un vero attentato alla salute pubblica, ma complessivamente… che spreco immane! E i consumatori pagano anche il prezzo di ciò che viene buttato via. I produttori, dunque, sono a posto, ma la Natura non viene risarcita. Solo dei folli cronici possono essersi adeguati a un sistema di questo genere assurdo.
(11)Se questo fosse il comportamento di un solo individuo – osserva Erich Fromm – si nutrirebbero seri dubbi sul suo stato mentale;se poi costui affermasse che il suo comportamento è normale e che egli è perfettamente ragionevole, non vi sarebbero più incertezze sulla diagnosi.
Ma c’è dell’altro e non è meno disastroso: il cibo viene racchiuso in confezioni. Confezioni, che talvolta superano il costo dell’alimento che contengono. Ci può essere qualcosa di più stolidamente innaturale? Equivale a sostenere che la Natura si è scordata di fare l’albero delle scatole e che l’uomo ha saputo sopperire a questa mancanza? Qualsiasi assurdità può essere sostenuta da chi non vuole ammettere di aver sbagliato tutto, ma proprio tutto!, così rendendo l’esistenza un disastro volgare. Si ingolla il cibo fino a diventare obesi e si gettano le confezioni, cosicché l’immondizia, proprio l’immondizia più insensata, sta incominciando ad aver la meglio nel soffocare l’uomo e la sua idiozia civilmente contratta. E pensare che nel mondo naturale, rimpianto dagli sparuti uomini sani rimasti, i pochi resti di cibo buttati via in tutta libertà andavano a nutrire i decompositori, organismi microscopici che trasformano i rifiuti organici in humus, cosicché il ciclo ecologico si chiudeva e ripartiva senza lasciare un solo pelo d’immondizia.
E da humus derivano i termini “uomo” e “umanità” che alla terra sono simbolicamente, e concretamente ancor di più, legati nella reale manifestazione naturale che determina la loro specificità d’individui. Terra sana e libera, non avvelenata e ricoperta d’immondizia da un’intelligenza presunta. Che bel progresso ha fatto l’uomo “civile”! In sostanza la produzione umana è principalmente distruzione di materia, spreco di energia e produzione unicamente di rifiuti. E insiste! Con tanta caparbietà che vien voglia di ripetergli per l’ennesima volta lo stranoto monito latino: “errare humanum est, perseverare diabolicum”. Ma l’uomo d’ingegno ha inventato l’inceneritore e come un invasato non cessa mai di dire: “Ci penso io a rimettere a posto le cose!” E, mentre si autoimbonisce in questo modo, dà ulteriori mazzate all’ecosistema, predisposto da Qualcosa di incommensurabilmente più “capace” di lui, e aumenta in progressione geometrica i danni ambientali. Li aumenta inevitabilmente, poiché, come ebbe a dire Albert Einstein, non si possono risolvere i problemi con lo stesso livello d’intelligenza che li ha creati. Ma siccome l’uomo ha creato i problemi, che è meglio definire “guai”, impiegando il massimo della propria intelligenza… E con questo adagio Einstein si autoaccusa doppiamente, poiché dimostra anche di essere consapevole del tanto male che ha fatto e il tanto che ha innescato. Questi sono i “maestri” che ci sono stati dati.
(12)Uno dei risultati che Einstein aveva dedotto da una sua teoria, e cioè che massa ed energia sono equivalenti, doveva avere quarant’anni dopo una terrificante conferma, con una forza di distruzione mai conosciuta in precedenza: lo scoppio della prima bomba atomica. Pochi sanno che in questo avvenimento Einstein ebbe una parte fondamentale. Si deve al suo diretto intervento se il Presidente Roosevelt mise a disposizione i colossali capitali necessari per quelle ricerche che dovevano portare alla bomba di Hiroshima. e a tutti i “guai” che ancora oggi assillano con risvolti drammatici l’Umanità. Eistein scrisse a Roosevelt: “Alcuni recenti lavori di E. Fermi e di L. Szilard, che mi furono presentati manoscritti, mi convincono che l’elemento uranio possa essere usato come nuova e importante fonte di energia nel prossimo avvenire.Una sola bomba di questo tipo che esplodesse in un portopotrebbe assai facilmente distruggere l’intero porto insieme al territorio circostante..
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Istruzione e cultura”: come introduzione all'argomento spinoso, questa poesia di Bertolt Brecht si adatta perfettamente e... sostanzialmente!
(30)Ogni anno in settembre, quando comincia l'anno scolastico,
le donne nelle cartolerie dei sobborghi
comprano i libri di scuola e i quaderni per i loro bambini.
Disperate cavano i loro ultimi soldi
dai borsellini logori, lamentando
che il sapere sia così caro. E dire che non hanno
la minima idea di quanto sia cattivo il sapere
destinato ai loro bambini.”
Qui non voglio surriscaldarmi il sangue mettendomi a dettagliare il disastro, l’inganno e la malafede che gestiscono Istruzione e Cultura. Citerò due righe scritte dal premio Nobel Bertrand Russell e tanto potrà bastare per riflettere un po’.
(13)L’istruzione, che in un primo tempo era stata resa universale affinché tutti avessero la possibilità di leggere e scrivere, è risultata capace di servire a scopi del tutto diversi. Instillando assurdità essa uniforma le popolazioni e genera entusiasmi collettivi per il nulla.
O, peggio, per l’errore. Assimilando la Storia, ad esempio, si perpetua la maledizione che l’Uomo si porta appresso. Infatti, non è detto che la memoria delle tante malefatte dell’Uomo generi soltanto detrattori di codeste vicende nefande. Tanti sono quelli che rimangono affascinati dalle atrocità della Storia e s’industriano per riproporle. Una Storia, improntata com’è, sarebbe meglio scordarla. Dopo un inizio assai confuso, che dovrebbe avere il gran merito di far intuire che “sapere da dove viene l’Uomo equivarrebbe a sapere dov’è diretto” e in questo caso l’Esistenza perderebbe i suoi connotati di “prova assolutamente libera”, dopo l’indeterminatezza più oscura con cui inizia, stavo dicendo, la Storia si sofferma brevemente a raccontare di Egizi, Fenici, Sumeri, Accadi, Ittiti e via discorrendo così fino ai popoli dell’Estremo Oriente. Ma, subito dopo questo breve periodo discorsivo, nel lungo racconto storico la fisionomia dei popoli si sbiadisce alquanto e tutto il resto della Storia tratta precipuamente una sola questione: quella degli impotenti che diventano potenti e vincitori grazie al sacrificio di una moltitudine smisurata di vite che hanno il medesimo valore, se non maggiore, di quelle che la Storia ricorda come le uniche determinanti se stessa. Istruzione estremamente infida e deviante. Tanto per proporre rapidamente degli esempi: per influsso dell’istruzione si può arrivare a credere, senza aver coscienza del fatto che la Storia del Pensiero e della Scienza è per certi versi peggiore dell’altra, che Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte siano stati grandi uomini magnificamente “riusciti”. Figure umane da imitare! (sic!) O si può essere indotti anche a credere che Aristotele fosse un gran pensatore affidabile e non un uomo con una mente intasata da convinzioni balzane di questo tipo: che le donne hanno un numero di denti inferiore a quello degli uomini e un sangue più scuro di quello dei maschi; che il maiale è l’unico animale che può prendere il morbillo; che, se un uomo e una donna si sposano troppo giovani, avranno dei figli esclusivamente di sesso femminile; che a un elefante tormentato dall’insonnia bisogna strofinare la schiena con sale, olio d’oliva e acqua calda; che i bambini devono essere concepiti d’inverno quando il vento soffia dal Nord. E non è questo, cioè quanto ho esposto negli esempi, un “germe” della mistificazione o della falsificazione o della menzogna tra i più virulenti in maniera epidemica, che l’istruzione diffonde in qualità di “untrice”. Contagiati da certi “germi” si può essere indotti a fare della scienza una religione e compiere, con tutta la serietà mistica propria della patologia contratta, una nutrita serie di nefandezze, oppure, trastullandosi in maniera maniacale con numeri e formule, si può arrivare a sganciare con entusiasmo una bomba atomica su Hiroshima e un’altra su Nagasaki.
M. E., che ritengo gentile e paziente, mi permetta qui una divagazione che, tutto sommato, non è neanche tanto una netta deviazione dal tema principale che sto trattando con Lei o… per Lei. Del resto, parlando di faccende che riguardano l’Esistenza non si corre mai il rischio di finire “fuori tema”, poiché la vita di un singolo individuo, parimenti all’unitarietà del Creato, non è formata da un insieme di scomparti delimitati e non comunicanti tra di loro. E’ un tutt’uno perfettamente amalgamato. Da qualsiasi parte s’inizi a vagliare il vissuto di un individuo, con costanza si può arrivare a scandagliare tutta la sua esistenza con tutte le relative particolarità. Dopodichè, sentendone il desiderio, si può passare di botto a disquisire all’infinito sul Creato, senza mai temere di compiere l’errore di uscire, ma neanche di allontanarsi un po’, dal tema che è servito da spunto iniziale. E, pensandoci su per qualche attimo, si può comprendere perché le “specializzazioni” non siano mai, in nessun caso, un qualcosa consono a dilatare l’orizzonte per una maggiore capacità di valutazione. Non permettono un’adeguata visione dell’insieme, del tutto, e così può succedere, anzi: succede spessissimo, che uno esimio specialista in una determinata branca della scienza esulti per aver scoperto qualcosa di molto utile all’uomo secondo i criteri della propria disciplina e che questo qualcosa sorprendentemente utile risulti, prima o poi, assai pernicioso per tutto ciò che non ha attinenza alcuna con la disciplina dello specialista.
(14)Nulla ci allontana di più dalla via corretta di ricerca della verità, che il rivolgere gli studi non a questo fine generale, ma a qualche “fine” particolare. Convinzione espressa da René Descartes, nome che è stato latinizzato in quello di Cartesio.
Se dunque qualcuno vuole indagare seriamente la verità delle cose, non deve scegliere una scienza particolare: esse sono infatti tutte connesse tra di loro e dipendenti l’una dall’altra; ma pensi soltanto ad aumentare il lume naturale della ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà scolastica, ma perché in ogni singolo caso della vita l’intelletto indichi alla volontà che cosa sia da scegliere; e ben presto si stupirà di aver fatto progressi di gran lunga maggiori di coloro che studiano cose particolari, e di aver ottenuto non soltanto tutte quelle cose che gli altri desiderano, ma cose anche più elevate di quanto quelli potessero aspettarsi.” … Così otterrà quel piacere che si trova nella contemplazione del vero, e che in questa vita è quasi l’unica felicità completa e non turbata da alcun dolore.”
Si comprende, inoltre, quanto non sia del tutto campata in aria l’opinione, che si sta radicando come stima consueta, di chi ravvisa nel ciclo scolastico completo i tre patentini di abilitazione a procedere socialmente “opertis oculis ”, ovvero a ricoprire un ruolo sociale. Il primo è la licenza elementare: accettabile cecità parziale, il secondo la maturità: cecità conclamata e il terzo la laurea: cecità collaudata.
Provvidenzialmente, però, non tutti concludono il proprio iter scolastico in stato di cecità permanente, sebbene nessuno ne esca completamente indenne. Poi spetta alla volontà e alla capacità, di chi è riuscito a mantenersi vedente in una certa misura, il compito di mondare la mente facendole rigettare la maggior parte di ciò che ha appreso. Con veri e propri conati dolorosissimi, con uno sforzo immane, una meravigliosa allegoria del quale è stata magistralmente rappresentata in quel capolavoro di film che è Matrix. Dopo che un individuo è riuscito nell’impresa di estrarre, o di farsi estrarre, dal proprio ventre il mostriciattolo originato dall’insieme degli insegnamenti che ha digerito, non è detto che ce la faccia a rimettersi in piedi per camminare autonomamente. In seguito alla rinascita, ovvero all’unica vera nascita, non tutti trovano in se stessi la forza per rialzarsi senza appoggiarsi a qualcosa che, immancabilmente, si rivela un sostegno infido, in quanto offerto dalla società e non dalla Natura. Per colmare il vuoto interiore, originato dal catartico rigetto, e riuscire a rialzarsi senza il concorso di sostegni inaffidabili, è necessario che le nuove nozioni da digerire vengano scrupolosamente attinte alla fonte della Verità. Verità Assoluta! Ma come fa un poveraccio, che magari è riuscito a comprendere soltanto che tutto quanto gli è stato impartito dall’istruzione è un impasto di errori maligni e quindi va rigettato, come fa, ripeto, a orizzontarsi nella ricerca della Fonte Preziosa che gli è indispensabile? Gli sarebbe oltremodo necessario il soccorso di qualcuno in grado di prestare… soccorso. Costui, il poveraccio rinato, sarebbe perfettamente in grado di distinguere tra chi gli parlerebbe di Verità, fornendogli prove e ragionamenti corretti, e chi vorrebbe instillargli nuove menzogne, dato che ha saputo individuare le falsità insite nella prima istruzione ricevuta, ma il Sistema ha fatto in modo che i soccorritori affidabili risultino estremamente rari e per niente reclamizzati. Costantemente reclamizzati, e riproposti dal Sistema fino alla noia più cupa, sono i mistificatori di ogni sorta e calibro. E mentre i mistificatori raggirano da ogni pulpito e cattedra, il poveraccio, aspirante uomo, soffre atrocemente, perché sa quanto sia labile la certezza che deriva dall’affermare “questo è un errore” senza poter sostituire l’errore con una Verità appropriata, specialmente quando si tratta di questioni esistenziali d’importanza primaria. Stato d’animo pessimo, che può indurre uno finito dalla ricerca inconcludente ad affidarsi a qualche surrogato scadente della Verità, assiduamente cercata senza indirizzi precisi. Può perfino arrivare a credere alle espressioni d’interessata superficialità profuse dai mistificatori: “Noi, in qualità di uomini, non siamo in grado di comprendere la Verità. Anche perché, di verità, ce ne sono a iosa.” Asseriscono questo e, tuttavia, agiscono?! Gran bella deresponsabilizzazione! Al contrario, è realtà certa, dimostrabile, che non siamo stati gettati e poi abbandonati in una “valle di lacrime”. La “valle di lacrime” è stata apprestata con cura da chi riesce a vivere opulentemente soltanto trovandosi a gestire esseri umani, e non solo umani, costretti a vivere accalcati in una “valle di lacrime”. E’ facilmente intuibile che, se tutti gli uomini, o almeno la stragrande maggioranza di essi, conoscessero la Verità Naturale, il Potere svanirebbe, non potendo trovare una qualche impalcatura sociale atta a sorreggerlo. Neanche per un attimo. Purtroppo, a un esame di realtà la situazione si presenta assolutamente diversa, nonostante che nella Natura siano chiaramente esposte tutte le indicazioni necessarie, ovvero tutto “quanto basta” per condurre in maniera corretta l’esistenza terrena. Comunque, constatata l’ignoranza diffusa, a chi non si rassegna a vivere nella menzogna non resta altro da fare che diffondere, secondo le proprie forze, indicazioni utili per riesumare la Verità da dove è stata sepolta sotto un’enorme montagna di falsità. Per far questo, però, ogni volenteroso deve avere la certezza di saper sostituire a ogni concetto, che egli critica come errato, il corrispondente concetto corretto. In assenza di questa operazione di ripristino, la sola critica negativa lascerà ovunque lo stesso “tempo” che trova.
Ed è a proposito di quanto ho appena detto che farò qui di seguito qualche osservazione su un libro di recente pubblicazione, ma non prima di aver dato una scorsa al parere espresso da un notissimo giornalista e conferenziere in una sua opera divulgativa. Sull’argomento “istruzione” David Icke ha scritto:
(15)L'istruzione esiste allo scopo di programmare, indottrinare e inculcare un convincimento collettivo in una realtà che ben si addica alla struttura del potere. Si tratta di subordinazione, di limitazione, di mentalità del non posso”, “non puoi”, poiché è questo ciò che il sistema vuole che ciascuno esprima nel corso del proprio viaggio verso la tomba o il crematorio. Ciò che noi chiamiamo Istruzione non apre la mente, la soffoca. Così come si espresse Albert Einstein: “L’unica cosa che interferisce con il mio apprendimento è la mia istruzione.”. Egli disse anche che la vera istruzione è “quel che rimane dopo che si è dimenticato tutto quanto si è imparato a scuola”.
E, quanta verità ci sia in questa affermazione, io lo so per dura esperienza personale. Quanto tempo sprecato ad imparare e poi a disimparare per salvare spirito e corpo!
(15)Perché i genitori sono orgogliosi nel vedere che i loro figli conseguono degli attestati di “profitto” per aver detto al sistema esattamente quanto esso richiede di sentirsi dire? Non sto dicendo che le persone non debbano perseguire la conoscenza ma, se qui stiamo parlando di libertà, dovremmo poterlo fare alle nostre condizioni, non a quelle del sistema. C’è anche da riflettere sul fatto che i politici, i funzionari del governo, e ancora, giornalisti, scienziati, dottori, avvocati, giudici, capitani d’industria e altri che amministrano o servono il sistema, invariabilmente sono quelli che sono passati attraverso la stessa macchina-creatrice-di-menti per l’indottrinamento: l’università. Triste a dirsi, molto spesso si crede che l’intelligenza e il superamento degli esami siano la stessa cosa. … Un diploma consiste nel dire al sistema ciò che il sistema ti ha detto di dire. Cosa c’è d’intelligente in questo?
Di seguito, David Icke spiega con vari esempi come per intelligenza si debba intendere in primo luogo la capacità individuale di rendersi conto dello stato effettivo della realtà in cui si vive. E io, per chiarire un po’ il concetto, aggiungo quest’altro esempio: è sicuro indizio d’intelligenza umana esclamare, solo un minuto dopo che le televisioni di tutto il mondo avevano trasmesso le apocalittiche immagini del crollo del World Trade Center: “Questa volta Hollywood ha esagerato davvero!”. Tutti i dati occorrenti erano ben disposti nella mente. Le immagini li hanno stimolati e le sinapsi li hanno collegati prontamente: non mancava nulla per poter trarre una conclusione immediata.
Ed ora diamo la preannunciata un’occhiata ad un certo libro, complessivamente molto interessante.
Il primo marzo del corrente anno è arrivato nelle librerie l’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi, intitolato “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”. Odifreddi è uno scrittore che non mi ha mai deluso, con nessuno dei libri che ha pubblicato. Li ho sempre letti con passione crescente e sempre mi hanno elargito appagamento mentale. Perciò le poche righe che sto per scrivere non vanno giudicate come una critica, ma come una lieve divergenza concettuale, sorretta dal desiderio, sempre molto potente ma che qui non potrò soddisfare adeguatamente, di dialogare per sviluppare al meglio un ben determinato argomento. Sempre il medesimo, poiché nella vita terrena non mi sembra che ci sia qualcos’altro di veramente importante.
Prima di arrivare al punto che più m’interessa evidenziare, in quanto ha piena attinenza con i temi trattati nel presente scritto, voglio dire che, a mio giudizio, un titolo più consono per l’ultimo lavoro, o capolavoro, letterario di Odifreddi sarebbe stato questo: “Perché non possiamo credere all’ebraismo” e la stroncatura di tutto il resto, direttamente conseguente, sarebbe apparsa implicita in maniera molto chiara. Cioè: si sarebbe capito benissimo che non si può essere né cristianiislamici, in quanto cristianesimo e islam ritengono, ahinoi!, che la Torah sia rivelazione di una volontà divina. Dopo aver dimostrato che le radici sono velenose, non occorre dimostrare che lo è anche l’albero a tronco doppio sorto da codeste radici con tutte le sue ramificazioni infette e tutte le sue foglie urticanti. Si risparmia fatica e soprattutto non si spreca tempo prezioso girando intorno a delle sciocchezze, fin troppo evidenti d’acchito.
In effetti, e a conferma di quanto ho appena detto, lo stesso Odifreddi in tutto il suo libro non ha potuto fare a meno, dopo essersi scagliato in principio direttamente contro le origini della menzogna fatale, di mantenersi in riferimento continuo con la struttura bislacca del Vecchio Testamento, anche quando egli s’è accinto a invalidare la veridicità del Nuovo. Il marciume, che è fermentato con esalazioni pestilenziali per la spiritualità e l’intelletto di troppi, sta quasi tutto nel Vecchio Testamento o, volendo essere più precisi, nella più articolata Torah. Tuttavia, tutto l’ammasso di scritti, imbastiti dalla cupidigia sacerdotale volta, fin dalla notte dei tempi, all’ottenimento di potere e ricchezza, potrebbe essere spazzato via da una sola locuzione, che qualsiasi sano di mente potrebbe esser in grado di formulare dopo aver dato una scorsa al Vecchio Testamento, ma che io riporterò qui come paternità di Jacob Neusner, emerito direttore di ricerca in studi religiosi presso la University of South Florida, che ha pubblicato oltre cinquecento libri sulla questione dell’ebraismo. E’ ebreo, ma lucido di mente.
(16)La Torah sta all’inizio e spiega così “da dove tutto è cominciato o meglioda dove essi hanno cominciato tutto.
Magari bastasse questa frase per far rinsavire le masse! Quale sollievo per il mondo intero, sarebbe!
Invece, mentre leggevo il libro di Piergiorgio Odifreddi, più di una volta la mia mente è stata assalita da questo brutto pensiero: “Anche questa voce rimarrà inascoltata. Non darà origine ad alcun mutamento. Non solo sostanziale, ma nemmeno marginale. Le tivù, ad esempio, continueranno, imperterrite nella loro organizzata stoltezza oramai datata, a somministrare agli armenti dosi massicce di vita e morte papali, di storie “sante” e miracoli impossibili, senza che la tanto decantata “par-condicio” si senta oltraggiata, almeno quel tanto da imporre sdegnata alle emittenti televisive altrettante ore di trasmissione dedicate alla divulgazione della Verità.
Le cosiddette “facce di bronzo” sono sopravvissute, riportando soltanto ferite lievissime, all’assalto sbugiardante, obiettivo, intelligente, risoluto e massiccio, dell’Illuminismo, figuriamoci che fastidio può essere loro arrecato da questo isolato libro di Odifreddi. Eppure gl’illuministi s’erano fatti sentire con voce sicura, facilmente comprensibile per dei cervelli funzionanti, finanche parzialmente. Benché costretti a rimanere per lungo tempo in uno stato di clandestinità e a diffondere le loro sane idee con voce tutt’altro che altisonante, (17)proprio durante questo periodo di silenzio apparente avviene la graduale diffusione delle idee illuministiche in Francia. Ciò che caratterizza tale diffusione è in primo luogo il suo carattere clandestino:di fronte ai rigori della censura(come al solito), alla persecuzione ecclesiastica (tempestiva per consuetudine e spesso addirittura ossessivamente preventiva), al controllo della polizia (sempre pronta a schierarsi violentemente per arginare il flusso delle “buone nuove”) e dei parlamentari (Ma va là! Chi l’avrebbe mai pensato?! Degli onorevoli rappresentanti del popolo! Ma va là!), le idee illuministiche si esprimono inizialmente non già in forma di volumi ma in forma di manoscritti clandestini.Questi manoscritti clandestini costituiscono la diretta preparazione dell’accesa polemica che i “philosophes” condurranno, nella seconda metà del XVIII° secolo, contro i fondamenti della religione in generale e della fede cristiana in particolare.
Manoscritti realizzati da uomini veramente “illuminati”, che avevano ben individuato e centrato la Menzogna, per altro non difficile da scoprire. Come Henri de Boulainvilliers, che scrisse il “Traité des trois imposteurs”, in cui specifica con diligenza come le figure di Mosè, Cristo e Maometto siano il prodotto dell’impostura sacerdotale e come abbiano gradualmente guastato tutte le terre che si affacciano sul Mediterraneo per poi diffondersi ovunque nel mondo. Come Saint-Hyacinthe che in “Le militaire philosophe”, testo attribuitogli da Voltaire, scrisse:
(17)Per poco che si rifletta, si troveranno motivi irresistibili, oltre che evidenti, per ritenere che Dio non si serve di ministri, e che coloro che si arrogano questo titolo fastoso non posseggono una prova sicura di essere inviati da Dio (ne possedessero una certa, veramente inconfutabile, è sicuro che l’uomo impazzirebbe per la disperazione di trovarsi soggetto a un dio di tal fatta. I credenti, infatti, riescono a non strapparsi i capelli perché nel loro intimo l’istinto assicura loro che non si tratta di verità, ma soltanto di un "bel" rituale perpetuato da una “bella” tradizione.). Essi sono uomini come gli altri, identici a quelli che sono vissuti prima di questa pretesa missione, ed anzi sono forse più malvagi, più ipocriti, più vendicativi e più intolleranti degli altri uomini. In poche parole, si può scoprire senza fatica che Dio non ha potuto prescrivere leggi e precetti ridicoli, dannosi, che distruggono ogni morale ed ogni società e che sono indegni anche di un uomo di buon senso e della probità più comune.
Come si legge in “Le testament de Jean Meslier”, opera del curato di Etrépigny e di But nella Champagne:
(17)Tutte le leggi e le ordinanze emanate sotto il nome e l’autorità di Dio o degli dei non sono mai state altro, in verità, che invenzioni umane. Esse sono state escogitate per fini e per motivi di astuzia politica; in seguito sono state coltivate e moltiplicate da falsi profeti, da seduttori e da impostori; infine sono state mantenute e autorizzate dalle leggi dei principi e dei grandi della terra, i quali se ne sono serviti per tenere più facilmente in soggezione la massa degli uomini e per fare tutto quanto hanno voluto e vogliono.
Come scrisse César Dumarsais in “Examen de la religion”:
(17)Se dio avesse richiesto da noi un culto particolare, con il quale essere onorato, egli lo avrebbe detto fin dall’inizio. Ben prima della costituzione del popolo ebraico. Inoltre è una cosa ridicola affermare che Dio si sia manifestato in maniere e tempi differenti, trattando gli uomini come schiavi sotto l’antica legge e come fanciulli sotto la nuova legge: è l’immaginazione degli uomini che varia, mentre Dio non muta mai (anche volesse non potrebbe, nonostante Onniscienza e Onnipotenza. Anzi: proprio in virtù di codeste qualità non può, ma questo è un altro discorso, assai più avanzato di quello fatto dall’Illuminismo).
Potrei continuare la lunga lista di chi per un determinato periodo di tempo ha parlato con rigorosa saggezza e potrei fornire molti altri piccoli assaggi di scritti onesti, dichiaratamente umani, e in verità mi dispiace trattenermi dal citare Montesquieu e Voltaire, Pier Cuppé, curato di Bois nella diocesi di Saintes, e Nicolas Fréret (analisi interessantissima, la sua, in “Lettre de Thrasibule à Leucippe”), Lévesque de Burigny e Jean-Baptiste Mirabaud, ma mi limiterò a riportare tre quattro brani di Pierre Bayle, sia perché significativi rispetto a tutto il contesto di questo mio scritto, inizialmente ispirato da M. E., sia perché Bayle, con la sua naturale rigorosità morale, non lo si può proprio trascurare.
(17)Occorre sottoporre tutte le leggi morali, senza eccezioni, all’idea naturale di equità che – al pari del lume metafisico – illumina ogni uomo venuto al mondo. Dato che le passioni e i pregiudizi offuscano troppo spesso le idee dell’equità naturale, occorre che un uomo, il quale aspira a ben conoscerle, le consideri in generale, facendo astrazione dal suo interesse particolare e dai costumi della sua patria (che talvolta una qualsiasi Lega riduce addirittura a una ristrettissima porzione di terra). Infatti può accadere che una passione sottile, e nell’insieme ben radicata, persuada un uomo che un’azione che egli ritiene utile e piacevole sia anche conforme alla ragione ispirata dall’equità naturale; può accadere che la forza della consuetudine, e la configurazione che l’anima ha acquisito in virtù dell’istruzione durante l’infanzia, facciano trovare l’onestà dove essa non sussiste.Che cosa avviene quando la verità si riveste nei nostri riguardi delle apparenze della menzogna, e la menzogna assume l’apparenza della verità? Accade in questo caso un rovesciamento di situazione in virtù del quale la verità non ha più giurisdizione su di noi e l’errore acquista tutti i diritti di cui viene spogliata la verità. Ed è proprio questo ciò che sta succedendo oggi in tutto il mondo e in particolare in Italia. Specialmente nella parte più a Nord. Il Cristianesimo annunciato agli infedeli nel secolo XVI era una religione sanguinaria, massacratrice, abituata alla strage da cinquecento o seicento anni. Essa aveva oramai una lunga abitudine di mantenersi e di ingrandirsi facendo passare a fil di spada chiunque le facesse resistenza. I roghi, i carnefici, lo spaventoso tribunale dell’Inquisizione, le Crociate, le bolle che incitavano i sudditi a ribellarsi se qualche territorio veniva sottratto alla Chiesa, i predicatori sediziosi, le cospirazioni clericali, gli assassini dei principi e dei papi stessi, erano i mezzi ordinari che essa impiegava contro coloro che non si sottomettevano ai suoi ordini.
Può essere che oggi gli amministratori di codesta edificante dottrina siano mutati? Bah! Oggi come ieri, sempre il medesimo Spirito Santo l’ispira. Secondo me, però, l’aspetto più grave di questa dottrina è rappresentato dal fatto che l’impostura sacerdotale non s’è accorta, o finge di non essersi accorta, di aver imbastito l’immagine di un dio a dir poco scandalosamente ignobile, che “miracola” qualche vecchia paralitica e con indifferenza agghiacciante lascia morire di fame milioni di bambini ogni anno, senza mandar loro quella manna che nutrì gli ebrei. Forse perché non appartengono al “popolo eletto”? Quante fesserie! Ma, a tutt’oggi… micidiali!
(17)Per procedere più avanti, si deve dire che coloro i quali ammettono l’esistenza dell’anima sensitiva non hanno alcuna buona ragione di privare le bestie della libertà.Ah, no, Bayle?! A me sembra che ne privino perfino gli uomini. Tolleranza zero, guerra preventiva, esportazione mortuaria della democrazia di Dio (cioè quella di Bush, in tal modo definita), muraglie della vergogna che spuntano come funghi e che rendono più prigioni le prigioni vergognosamente già esistenti, violazione perpetua e universale di qualsiasi diritto umanitario e di tutte le convenzioni internazionali, costruzione e ampliamento di basi militari in vista delle prossime guerre agognate dai massacratori di professione, installazioni di scudi spaziali per superare il timore di essere puniti per le tante scelleratezze compiute e perché si è fermamente intenzionati a continuare a farne, videocamere ovunque, come in cielo così in terra, selezione corpi in assetto di avanzamento deciso, inarrestabile?, con totale noncuranza per lo spirito: se non appari perfetto non hai diritto di affollare questo mondo stracolmo, non ha alcuna importanza che tu lo sia in realtà. Et cetera, et cetera, et cetera. Amen!
E dopo quest’ultima perla di Bayle, che voglio sperare sia risultata comprensibile almeno per qualcuno, ritorniamo a Odifreddi e a una sua asserzione particolare : l’ateismo non è una fede e non fa opera di sconversione. Sembrano parole dettate, più che altro, dalla preoccupazione per eventuali reazioni al contenuto del libro. Un “mettere le mani avanti”, insomma. Ma in se stesse non hanno un gran senso. Tra l’altro, il sostantivo “sconversione” non esiste. Esiste il verbo “sconvertire” e in certi casi non è affatto corretto far derivare un sostantivo da un verbo. Esiste “conversione”, ma non “sconversione”, quasi a voler evidenziare che si può tentare di sconvertire, ma che il risultato che si ottiene è sempre, in un modo o in un altro, una conversione. L’importante, comunque, è che ogni opera di “sconversione” risulti una “conversione” alla Verità e non un passaggio da una menzogna ad un’altra menzogna e tanto meno dalla Verità alla Menzogna.
Detto questo, che contro la mia stessa volontà risulta sempre “tanto”, con intenzione ben diversa dalla volontà di criticare, devo ammettere che il titolo scelto da Odifreddi ha la sua bella carica d’impatto sociale, dopo che di recente una pessima corrente di pensiero ha prodotto delle turbolenze costituzionali in Europa, che sibilavano più o meno così: Non possiamo non dirci cristiani. Che Croce!E non c’è mancato molto che “cristiani” venisse sostituito da “cattolici”! Se non fosse che Benedetto non s’è mai curato dei cattolici… Qualcuno ha comunque pensato intensamente alla sostituzione, ad altri non è manco passato per la testa, per il sol fatto che costoro sono certi che i termini “cristiano” e “cattolico” coincidano quanto a significato. Eh, no! Caspita! Anche i mali vanno differenziati secondo il quantitativo di danni che hanno fatto!
Ed eccoci arrivati al punto che al momento m’interessa vagliare.
Piergiorgio Odifreddi ha scritto:
(18)Naturalmente, oggi nessuno che sia “nel possesso delle sue facoltà e capacità” assegnerebbe a questi miti un valore scientifico o storico, credendo ad esempio che effettivamente il mondo sia stato creato in sei giorni o la donna da una costola dell’uomo.
Il problema è che di gente fuori di testa è purtroppo pieno il mondo, alla base e al vertice.
Caspita, se è un problema!“Il più grave”, si deve specificare, a voler essere prontamente sinceri. E’ il problema drammatico delle “masse di perdizione”, che Albert Caraco ha evidenziato con puntigliosa lucidità. Masse composte da esseri refrattari alla comprensione di qualsiasi cosa che meriti di essere compresa per non invalidare il Senso stesso dell’Esistenza e che in forza del loro numero, spaventosamente ingente, trascinano nella rovina generale anche quei pochi che, non essendosi mai abbandonati alla trascuratezza propria dell’ignavia mentale, conoscono tante risposte precise a tanti importanti “perché” e potrebbero salvarsi riscattando la propria libertà di esistere secondo se stessi. Invece, per causa prima delle “masse di perdizione” tristemente acquiescenti nei confronti dei propri “imbalsamatori”, si trovano imprigionati in uno stato di cose che risulta così tanto critico da non permettere più una scelta tra Bene e Male, ma solamente tra “mali minori” e “mali maggiori”. Per fare un esempio pratico, posso dire che ci siamo venuti a trovare in un frangente dominato da una perplessità talmente esasperata che, tra Bush e Blair da una parte e talebani, iracheni e palestinesi dall’altra, la ragione e il sentimento ci costringono a parteggiare per la terna piuttosto che per la coppia, palesatasi smodatamente malefica.
Tra l’altro, mi è sembrato di udire nelle parole di Odifreddi, appena citate, l’eco dell'ottima disquisizione tenuta da Erich Fromm sulla “folie a millions”:
(11)Si ritiene ingenuamente che, se certi sentimenti o certe idee sono condivisi dai più, essi sono giusti. Niente è più lontano dal vero. La convalida consensuale in sé non ha nulla a che vedere con la salute mentale. Come c’è una folie à deux, così c’è una folie à millions. Il fatto che milioni di persone condividano gli stessi vizi non fa di questi vizi delle virtù, il fatto che essi condividano tanti errori non fa di questi errori delle verità, e il fatto che milioni di persone condividano una stessa forma di malattia mentale non fa che questa gente sia sana.
Oltre alla gravissima problematica relativa alla sicura presenza della “follia sociale”, c’è la questione, non meno grave, del “cretinismo”.
In merito a ciò, lo stesso Odifreddi scrive: (18)Addirittura, lo stesso termine “cretino” deriva da “cristiano” (attraverso il francese “crètin”, da “chrètien), con un uso già attestato dall’Enciclopedia nel 1754: secondo il Pianigiani, “perché cotali individui erano considerati come persone semplici e innocenti, ovvero perché, stupidi e insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti”In fondo, la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo.”
D’accordo, ovvero: mi trovo concorde con Odifreddi, ma anche con Bertrand Russell quando osserva che in stragrande maggioranza gli uomini nascono ignoranti, non stupidi; la stupidità è il risultato dell'educazione.”
E io credo che questo giudizio valga anche per la “follia collettiva”, dilagata e dilagante senza freni proprio per colpa della tradizione, trasmessa, di generazione in generazione, dall’educazione ordinaria che in gran parte s’ispira al libro del Male.
(18)Perché mai dovremmo continuare a lasciarci ammannire superficiali e primitivi miti religiosi fin da bambini, invece di cominciare già da subito a essere esposti a divulgazioni di profonde e moderne verità scientifiche? Come lo stesso Darwin ebbe a dire nella sua “Autobiografia”, in una frase che la moglie Emma censurò nella prima edizione del 1887: “Non dobbiamo trascurare la probabilità che il costante inculcare la credenza in Dio nelle menti dei bambini possa produrre un effetto così forte e duraturo sui loro cervelli non ancora completamente sviluppati, da diventare per loro tanto difficile sbarazzarsene, quanto per una scimmia disfarsi della sua istintiva paura o ripugnanza del serpente.”
Parole sulle quali, chi ha seriamente a cuore il bene dei propri figli e delle generazioni future, dovrebbe meditare proficuamente, per fare in modo che i termini “Creatore” e “Dio” non vengano confusi, che non vengano intesi come sinonimi. Essi, infatti, non esprimono il medesimo significato. Uno, il termine “Dio”, retaggio del paganesimo ma privo del candore del paganesimo, è un’immagine della menzogna, l’altro, il termine “Creatore”, è assenza d’immagine, in quanto Entità Infinita, ed è usato da chi vuol sensatamente parlare di Verità.
Purtroppo, ancor oggi, circolano sciagurati figuri che, a tutto vantaggio della loro posizione sociale fatta di compromessi e, quindi, per non urtare qualcuno a loro svantaggio, sostengono un concetto paradossale di libertà religiosa che vorrebbe dare ad intendere che la fede in una menzogna metafisica, inculcata fin dalla nascita, non sia una radice venefica da estirpare, ma che sia comunque una sorta di fiducia che nasce spontaneamente dal cuore di un individuo, una sua genuina adesione sentimentale che non può essere sottoposta al giudizio critico di nessuna logica. Costoro sono dei veri e propri pilastri di sostegno al pulpito e al trono della menzogna. Lo scotto che pagano per mantenere questa “vantaggiosa” condotta, però, è evidente: lo stato di paralisi, che hanno inflitto alla loro povera mente, si manifesta chiaramente nella rigidità da marionetta che i loro corpi hanno acquisito negli anni sprecati, e quando appaiono in qualche trasmissione televisiva fanno la ridicola figura, e pietosa ancor di più, di stoccafissi boccheggianti. Soggetti sui quali, in una certa occasione di discorso, è stata fatta una tristissima diagnosi da alcuni miei amici psicoterapeuti. Sono esseri che, non possedendo più la cognizione dei propri Io e , oramai defunti, consapevolezza soppiantata dall’attenzione ossessiva a come devono mostrarsi a tutti gli altri, non baratterebbero mai la loro stolida facoltà di apparire, che offre loro un’ultima sembianza di esistenza reale, con la Verità, per quanto Essa si manifestasse in modo inequivocabile davanti ai loro stessi occhi. Per costoro non fa alcuna differenza sostenere in un primo tempo che un sentimento religioso, incommensurabilmente distante dall’armonia dell’Universo, avverso ad essa e inculcato a “tradimento” nell’età dell’inconsapevolezza da genitori altrettanto, se non di più, inconsapevoli, non va rimosso dall’onestà di pensiero e un attimo dopo affermare che essi sono in perfetta sintonia con quanto detto da Marco Aurelio: Tutto ciò che è in armonia con te, o Universo, lo è pure con me.”
Della domanda che Odifreddi si è posto (“Perché mai dovremmo continuare a lasciarci ammannire superficiali e primitivi miti religiosi fin da bambini, invece di cominciare già da subito a essere esposti a divulgazioni di profonde e moderne verità scientifiche?”), mi convince la prima parte, mentre non condivido la seconda, che viene sviluppata dopo quell’invece. Mi sembra proprio che si voglia reiterare a tutti i costi l’errore madornale commesso dall’Illuminismo. Ci si libera con umana avvedutezza dalle spire di una menzogna che ha soffocato per secoli lo spirito di miliardi di persone, rendendo vane le loro esistenze, e ci si accorge che, eliminata una tradizione di così antica data, rimane un vuoto più “pesante” del peso rimosso. Risultato, però, che non dovrebbe stupire più di tanto. Facendo un paragone, si può dire che, abituati a camminare per lungo tempo con il sostegno di stampelle, è del tutto naturale che si venga colti da una sgradevole insicurezza, mai provata prima, mentre si inizia, finalmente, a procedere senza alcun sostegno, autonomamente. Sensazione di vertigine davanti al vuoto profondo, ecco di che cosa si tratta. E cosa fanno gl’illuministi per riempire il vuoto che li disturba? Lo riempiono con la Verità? Ovvio, no? Macchè! Magari! Si esaltano nella constatazione della loro perspicacia, che ha appena smascherato la grossa menzogna, e non trovano nulla di meglio da fare che adorare la loro scienza, considerandola una nuova religione in sostituzione della precedente. Ora non starò qui ad illustrare come e perché gl’illuministi si siano trovati a cadere dalla padella alle braci, fatto sta che, errore dopo errore, la nuova religione convertita in tecnologia ha ridotto il mondo nelle pietose condizioni in cui oggi si trova.
(4)Tutti i vantaggi che l’uomo ha ricavato da una conoscenza sempre più approfondita della natura che lo circonda, i progressi della tecnologia, delle scienze chimiche e mediche, tutto ciò che sembrerebbe destinato a lenire le sofferenze umane, tende invece, per un terribile paradosso, a favorire la rovina dell’umanità. Questa, infatti, minaccia di soccombere a un destino altrimenti quasi sconosciuto ai sistemi viventi: l’autosoffocazione.”
Beh, al giorno d’oggi non s’incontrano difficoltà nel trovarsi d’accordo con Konrad Lorenz, ma molto tempo fa i “cretini” e i “fuori di testa”, di cui parla Odifreddi, non diedero credito alla scienza pressoché per influenza unica dell’istinto naturale, avvertendo, principalmente, che la scienza non sarebbe mai stata in grado di dare risposte utili alla comprensione della problematica esistenziale, ovvero che non avrebbe mai fornito nemmeno una delle risposte veramente necessarie. Poi, a rafforzare decisamente nei diffidenti la convinzione di essere nel giusto, intervenne l’incapacità della scienza nel celare ad oltranza le sue due vere ed uniche finalità: il guadagno e il dominio sulla Natura diventato pericolosissimo dominio dell’uomo sull’uomo. Infine, la scienza, dismessa qualsiasi forma di ritegno, s’è data pubblicamente alla questua e per renderla redditizia ha bombardato le povere masse attonite, e già schiacciate da un’infinità di preoccupazioni, con messaggi allarmanti e con finte notizie di scoperte sensazionali. Un’incessante spillar denaro che, quando le cose vanno per il meglio, finisce con l’esaurire gl’introiti in spese varie, stipendi e sprechi e quando la sorte volge al peggio origina qualche nuova diavoleria che, più presto che tardi, rende palese il ragguardevole contributo dato ad ulteriore discapito dell’Umanità.
Taluni potrebbero obiettare, e voglio sperare che tra costoro non vi sia M. E., che per non far commettere “diavolerie” alla scienza sarebbe sufficiente preordinare e quindi far esercitare un buon controllo su chiunque operi in suo nome. Ma solamente a persone che non si siano ancora rese conto che i controllori non funzionano mai a dovere, potrebbe saltare in testa un’osservazione così tanto ingenua. I controllori sono uomini, perciò, oltre ad essere naturalmente soggetti ad errore, non possono snaturarsi a tal punto da non perseguire precipuamente il proprio interesse, il che comporta un adattamento dell’attenzione finalizzato non tanto all’adempimento del dovere di sorveglianza quanto alla pronta individuazione dell’opportunità per loro redditizia. Tirare in ballo l’onestà , ragionando su un aspetto qualsiasi della vigilanza sociale, è fuori luogo: non possono sussistere vincoli di onestà con un qualcosa che viene percepito, consciamente o inconsciamente, come un assetto esistenziale troppo astratto, inaffidabile e scarsamente gratificante, se non addirittura frustrante. E che, per giunta, assomiglia a un contenitore traboccante di robe, tra le quali, di verità, non ce n’è manco una microscopica traccia.
Intanto, sotto gli occhi di una vigilanza distratta, l’uomo di scienza tocca e sposta le Cose cercando, per tentativi disastrosi come quelli di un infante, un ordine che gli sfugge e più sposta meno ordine trova. Molto simile a un giocatore d’azzardo incallito, e quindi malato, egli si sforza nella ricerca di un sistema per dominare il gioco che lo ha “stregato” e volgerlo a suo favore, ma non s’accorge che il gioco, nel suo complesso, è stato concepito e predisposto in modo tale da non permettere la riuscita di nessun sistema.
(19)Di fronte al problema del mondo come totalità, la scienza naufraga.”, dice Karl Jaspers, “Anzi, l’opera di demagicizzazione perseguita dalla scienza finisce col produrre un risultato opposto. La scienza non riesce a togliere il significato magico-mitico alle “cifre” con cui esprimiamo il nostro rapporto col mondo, sia che esse rappresentino cose apparentemente diverse, come eventi e divinità, sia dimensioni come sotto e sopra, in giù e in su, cielo e terra, etere sfolgorante di luce e tenebre del profondo.”
Questo è uno dei motivi, che io ritengo essere il principale, per cui l’encomiabile opera iniziale degli Illuministi s’è dissolta senza abbattere quella menzogna che, ragionevolmente, appariva sgretolata estesamente già dai primissimi assalti.
(19)La scienza, come non produce i segni che gli uomini danno a queste realtà, nemmeno riesce ad obliterarli;anzi – continua Jaspers – la falsa dissoluzione del sacro ha steso sull’anima degli uomini un colpo di cecità. L’equivoco più rilevante in cui può cadere la scienza nel suo intento riduzionistico è quello di ritenere che il proprio oggetto sia anche l’essere in sé”:la coscienza dell’Essere viene falsata nell’immagine del mondo come Essere-così della totalità, nella dissacrazione come tonalità di fondo della vita divenuta squallore e deserto, nella superstizione scientifica in quanto commercio con le cose, grazie al quale queste in se stesse si rendono invisibili.”
Per venire con parole più immediatamente comprensibili all’essenza del fallimento della proposta di sostituzione “scienza al posto di religione”, cito un’osservazione di Ludwig Wittgenstein :
(19)Noi sentiamo (non credo di essere lontano dalla realtà nel ritenere che si tratti di una percezione provata da tutti gli esseri umani) che, anche una volta che tutte le proposizioni e domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati.
Infine, in questo discorso un po’ troppo frettoloso, può risultare molto importante inserire una puntualizzazione fatta da Enrico Garulli, docente presso l’Università di Urbino, nel suo ottimo saggio “Forme epistemologiche contemporanee:bilancio storico critico”:
(19)Il silenzio sembra essere nei due pensatori (Wittgenstein e Heidegger) il raccoglimento di fronte alla voce dell’essere.”
Il Male patrocina la diffusione del rumore, musica compresa, proprio per rendere impercettibile l’intima “voce dell’essere”, che ostacolerebbe parecchio la sua azione d’invasione maligna, e oramai un numero enorme d’individui non ha neanche la più pallida idea di cosa sia e come si esprima questa voce salvifica.
Ora, io credo che esporre gli esseri umani in tenera età “a divulgazioni di profonde e moderne verità scientifiche” sarebbe un delitto imperdonabile. Sarebbe come vietare loro di farsi, e quindi di possedere in se stessi, un minimo d’immagine del mondo “così com’è in verità”, assenza totale che dilaterebbe disastrosamente l’aridità mentale in cui già si dibattono disperatamente. L’aumento vertiginoso delle nevrosi infantili dovrebbe essere considerato un segnale d’allarme che sta ad indicare che al bambino è già stato tolto molto, troppo. Ed è stato tolto proprio da quella scienza, mostruosamente capace di mutarsi in tecnologia, intenzionata a far scomparire il significante mondo naturale per sostituirlo con il suo, del tutto insignificante: sicuramente mortale per lo spirito e, nel nostro triste tempo “moderno”, finanche per il corpo. In verità, un osservatore, che sia riuscito a disintossicarsi dai veleni inoculati in lui dall’istruzione e dall’educazione e che abbia reintegrato le sue qualità naturali di scrutatore sottile, ricettivo e per nulla invasivo, non c’impiega molto a constatare che il bimbo è stato privato di tutto ciò che, oltre ad essere in primo luogo necessario per un suo sviluppo ottimale, sarebbe servito, se fosse ancora integralmente presente, a coadiuvare al meglio M. E. nell’educazione dei propri figli, senza farle patire l’oppressione di quelle preoccupazioni, malignamente originate da un ambiente innaturale, che generano “stanchezza”, la quale talvolta, ma sempre con maggior frequenza, si fa insopportabile. Si sta prefigurando la disintegrazione dell’Essere e in effetti sembra proprio che questa azione del Male abbia già ottenuto parecchi successi, che preludono a un suo imminente trionfo.
Invece e tutto sommato, la religione, che dovrebbe essere soppiantata dalla scienza, pur avendo anch’essa caratteristiche oppressive, non trascurabili sotto l’aspetto della nocività psicofisica che può arrivare ad invalidare completamente perfino la capacità individuale di pensiero metafisico spontaneo, viene percepita dai giovanissimi come una favola e come tale non riesce ad inibire più di tanto il vitale impulso dell’istinto naturale a peccare (non andando contro le Regole Naturali, ma semplicemente non rispettando i precetti religiosi) e a disubbidire. Mentre la scienza, con la sua aridità sclerotizzante lo spirito, anche lo volesse non potrebbe mai assumere l’aspetto d’una favola, nonostante che tutta la sua storia sia stata infarcita di aneddoti più o meno spiritosi per alleggerire il peso oltremodo opprimente della sua enorme massa di piombo, che diventa devastante quando entra in azione.
Dunque, con la religione da un lato e la scienza dall’altro, ci ritroviamo nella classica situazione sociale a cui ho già accennato in precedenza: all’individuo non è rimasta altra libertà di scelta se non sempre quella di dover scegliere tra un male minore e uno maggiore. E non è affatto detto, constatato e considerato il tipo di follia in circolazione sfrenata, che tutti gl’individui optino sicuramente per il male minore. Ma… qual è il male minore? Da una parte c’è il potere laico-scientifico con alle spalle una storia, che continua nel presente e si proietta nel futuro, di guerre in una successione da incubo, di genocidi, di massacri di ogni genere e misura, di sviluppo folle degli armamenti, di deportazioni, di torture, di stragi di Stato, di condanne a morte, di segregazioni ingiustificabili, di schiavismo e razzismo, di stupri, di sciagurate radiazioni nucleari, di industrie chimiche letali, di vaccini micidiali, di scriteriate manipolazioni genetiche vegetali e animali (incluso l’uomo), di incremento sbalorditivo delle patologie, di inquinamento e distruzione dell’ambiente, di sfruttamento dell’individuo valutato unicamente come “forza lavoro”, di condanne all’emarginazione e alla miseria, e sono consapevole di aver tralasciato di elencare uno sciame di misfatti più sottili ma non meno ferali. In particolare: la disintegrazione e la vaporizzazione dell’Essere, realizzata rendendo ogni individuo la password di se stesso, ovvero la chiave, socialmente omologata, d’accesso alle proprie azioni. Misericordia! Quale terribile inquinamento mentale può aver originato la perversa ragione per cui l’uomo accetta passivamente quest’ultima follia?! “Ultima”, in quanto dopo di essa l’uomo non sarà più presente sulla faccia della Terra. E, se ancora qualcosa si muoverà sulla crosta della Terra, sarà qualcosa di mostruoso, con caratteristiche oggi inimmaginabili.
Da un’altra parte c’è il potere sacerdotale, che affonda le proprie radici nella “notte dei tempi”, in cui risuonava la voce dello sciamano: “Nel mezzo della notte io parlo con Colui il Quale è padrone dei tuoni e dei lampi. Lui vi può fulminare quando vuole, ma se voi porterete a me le sacre primizie, da offrire a Lui con il rito propiziatorio che mi è stato suggerito dal dio delle nubi, io intercederò per voi presso di Lui e nessuno correrà il rischio di essere incenerito. La sua ira sarà placata dall’offerta fatta secondo il rito di conciliazione.
In seguito, il rito si evolse secondo lo stile tipico di ciascuno dei culti sorti in varie regioni del mondo, il più influente dei quali fu quello per cui un certo dio, che ci teneva molto a cose di un determinato genere votivo, prescrisse un rito di tal fatta:
Si immolerà la vittima e se ne offrirà la coda, il grasso che copre le viscere, i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e al lobo del fegato che si distaccherà sopra i reni. … Il sacerdote brucerà tutto questo sull’altare come sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore. Il petto della vittima offerta da agitare secondo il rito e la coscia da elevare secondo il rito, li mangerete tu (il sacerdote), i tuoi figli e le tue figlie con te, perché vi sono stati dati come parte tua e dei tuoi figli … per diritto perenne, come il Signore ha ordinato. … Perché è un contributo, un prelevamento cioè che gli Israeliti dovranno operare in tutti i loro sacrifici di comunione, un prelevamento dovuto al Signore. … Non offrirete nulla con qualche difetto, perché non sarebbe gradito. (Lev. III - X, 14, 15 - XXII, 20)
Con ciò l’approvvigionamento sacerdotale di proteine animali di ogni specie era assicurato, ma c’erano anche riti appropriati per ogni primizia di stagione e per un discreto numero di manufatti culinari. Una grande abbondanza di rifornimenti per i sacerdoti, insomma, che, però, ben presto divenne un problema: i sacerdoti e le loro famiglie non riuscendo, per quanto s’impegnassero con umano accanimento, a consumare tutto quanto veniva loro offerto, si trovarono costretti a regalare ad altri il sovrappiù, contravvenendo un pochino alle disposizioni divine, che riservavano le offerte esclusivamente ai sacerdoti e ai loro famigliari. Per rimediare a questo inconveniente, cioè all’accumulo esagerato di vivande che non potevano essere tutte gustate convenientemente dagli aventi diritto, la scaltrezza sacerdotale ideò un mezzo che diventò una soluzione che si diffuse rapidamente: il denaro. Noi non conosciamo con certezza quale santuario nel mondo abbia introdotto per primo quest’usanza, poi avidamente assimilata dal commercio laico, ma conosciamo bene il “il siclo del santuario” con cui un certo dio stabilì i prezzi di una lunghissima lista di prestazioni fornite dai sacerdoti del Tempio, precisando da buon cambista che "il siclo del santuario è di “venti ghera” (Lev. XXVII, 25)" (che non ci siano fraintendimenti a discapito del sacerdote!). E così, le “offerte” cominciarono ad essere “consacrate” al Signore, piuttosto che continuare ad essere in parte bruciate, operazione che permise un buon risparmio di legna da ardere. E, siccome per l’uso pratico di un’unità monetaria fu indicato da un dio il “siclo del santuario” (“che la stima di quanto spetta al sacerdote sia fatta secondo il siclo del santuario”), tanto ci basta per convincerci del fatto che la cagione prima delle maggiori disgrazie dell’Uomo è un’invenzione di matrice sacerdotale, della cupidigia sacerdotale che pensò di tradurre l’accumulo di vivande in accumulo di ricchezza.
A questo punto, per continuare l’elenco delle “magagne” attribuibili al potere religioso, che è opposto al potere laico-scientifico nel contesto striminzito della possibilità di scelta sociale che sto prendendo in esame, bisognerebbe riunire in un tutt’uno le tre religioni cosiddette “monoteistiche”, ma siccome tutto questo discorso nasce dalla volontà di fare una modesta critica a uno solo dei tanti concetti espressi nel libro di Piergiorgio Odifreddi, e codesto libro prende in considerazione esclusivamente il Cristianesimo, io mi atterrò alla circoscrizione prescelta dall’autore del libro. Tuttavia, come è successo a Odifreddi che per fare una dura critica sensata non ha potuto astenersi dal demolire in primo luogo le falsità dell’Antico Testamento, anch’io desidero evidenziare un aspetto dell’ebraismo, da molti considerato una mostruosità inaudita, che si configura in parole come queste:
Il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte le nazioni e voi vi impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostro; il Signore vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete. (Deut. XI, 23, 24,25)
Fatta la citazione, mi rendo conto che una precisazione è necessaria. A beneficio di taluni e fors’anche di M. E..
Tutti i popoli hanno una religione, ogni dottrina religiosa può affermare ciò che vuole e ogni individuo è libero di credere o non credere a questa o a quella o ad altro. Detto questo, si potrebbe considerare ininfluente qualunque precisazione che si spingesse oltre, se non fosse che per un popolo, uno soltanto, non si può dire che abbia una religione, poiché esso è una religione. Per l’appunto, di un Caio italiano, volendo specificare la sua caratteristica religiosa, si può dire che è “un italiano cattolico”; di un Tizio inglese si può dire che è “un inglese protestante”, ma di un Sempronio ebreo si può dire solamente che è “un ebreo… ebreo”, il che è una dimostrazione di identità tra il termine che indica l’appartenenza a un “popolo” e la sua unica possibilità di specificazione religiosa: “ebreo”. Anche riferendosi al caso particolare di un individuo di nazionalità israeliana, dire “un israeliano ebreo” equivale a dire “un ebreo… ebreo”, per il carattere compiutamente religioso del termine "Israele". Inoltre, e qui veniamo a trovarci in presenza di un aspetto impressionante di questa singolare faccenda dialettica: dire che Sempronio è “un ebreo ateo” o “un israeliano ateo” suona come una incongruenza clamorosa. Quando si dice che una religione è entrata nella carne, piuttosto che nello spirito! D’altronde, fu una religione imbastita ad hoc che, riunendo sotto di sé una dozzina di disparate tribù nomadi e male in arnese, fornì un’origine posticcia e diede una conformazione rigidamente unitaria a un insieme definito infine “popolo ebraico” o, in una parola sola, “Israele”. E ancor oggi non risulta scorrevole riferirsi alla gente di Israele, sparsa per il mondo, chiamandola “popolo”. In merito a questa difficoltà, sentiamo il parere di un profondo studioso dell’Ebraismo qual è Jacob Neusner:
(16)Gli ebrei sono divisi tra loro su molte questioni importanti inseriti in sistemi culturali e politici diversi, eppure convinti di formare un gruppo etnico.
Non hanno una lingua comune, per quanto l’ebraico sia la lingua ufficiale di tutte le sinagoghe. Non hanno tratti etnici, sociali, economici o politici in comune, sebbene le Scritture attribuiscano loro una comune identità. E per assurdo nemmeno derivano da una storia comune e unitaria, per quanto, attraverso le Scritture, essi contemplino un passato e un futuro comune. Perciò l’Ebraismo descrive una realtà che poi non si riscontra, e cioè quella di un solo popolo, con una sola terra, una sola lingua, una sola fede, un solo destino. Nel contrasto tra la prospettiva dell’Ebraismo e le circostanze del quotidiano ebraico afferriamo in quale Ebraismo gli ebrei si sentono realizzati, quello che fa loro vedere non la realtà com’è ma come dovrebbe essere, che modifica la loro visione in modo che i fatti di ogni giorno, quali essi siano, in qualsiasi luogo del mondo, si conformino con la struttura della fede. L’Ebraismo fa vedere agli ebrei cose che nessun altro vede, e le fa loro vedere in un modo che essi soltanto trovano irrefutabile.
Al dunque, leggendo proposizioni simili a quelle che, per la loro assoluta importanza nel discorso, ripropongo tra parentesi (Il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte le nazioni e voi vi impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostro; il Signore vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete.), il senso delle quali permea tutto l’Antico Testamento, bisogna essere seriamente consapevoli del fatto che esse non esprimono precipuamente il particolare pensiero di una religione, quella ebraica, bensì il pensiero stesso, proprio, intimamente e saldamente proprio, di tutto il popolo ebraico, di Israele. Onestamente parlando, non ci può essere nessuno al mondo, ad eccezion fatta per gli ebrei, così tanto scriteriato nel dissimulare ad oltranza da negare che certi “pensieri” siano “convinzioni” che destano seria preoccupazione. In special modo se non si scorda che gli ebrei si considerano l’unico popolo prediletto da dio e che tale presuntuosa sciocchezza sarebbe sparita dal mondo tanto tempo fa, se non fosse stato per lo sconfinato credito dato dal Cristianesimo e dall’Islam agli scritti del Vecchio Testamento. Sacerdoti in cerca della loro fetta di prestigio e di vantaggi, non sapendo cos’altro inventarsi, hanno edificato sul già esistente le loro trappole che, per rimanere in sintonia con Odifreddi, definisco “acchiappa cretini”. Hanno avuto un successo clamoroso e, per riflesso fatale, di codesto successo ne ha beneficiato, e continua a beneficiarne, anche la generatrice delle trappole novelle.
Ritornando in linea con il discorso accentrato unicamente sul Cristianesimo, rileviamo subito l’errore, con risvolti maggiormente pericolosi, fatto nell’approntare la sua dottrina: accettare i dieci comandamenti ed imporli senza specificare che l’imperativo di queste leggi governava, e governa, esclusivamente i rapporti di convivenza tra ebrei. Comprendo perfettamente che per una religione, la cui dottrina abbia conglobato come proprie le specifiche origini dell’Ebraismo, un chiarimento di questo tipo sarebbe risultato contraddittorio e controproducente, però è anche maledettamente vero che l’assenza di precisazioni ha calato un brutto velo, assai poco trasparente, su una realtà che, invece, chiunque dovrebbe poter vedere per tutto quello che rappresenta effettivamente. Una vista, e quindi una conoscenza, non di poco conto e io non saprei dire quanti siano, oggi, coloro i quali abbiano ben chiaro nella loro mente che, ad esempio, il comandamento “non uccidere” aveva valore di divieto assoluto solamente tra ebreo ed ebreo, mai tra un ebreo e un qualsiasi altro “immondo”, salvo l’eccezione di un forestiero che si fosse trovato sul suolo di Israele, perché, in questo caso, il forestiero non sarebbe più stato tanto “immondo”, magari non fino al punto di potergli stringere la mano, ma insomma… Loro, gli ebrei, sono “figli di dio”, mentre tutti gli altri sono “figli degli uomini”, stimati poco più degli animali, cosicché il loro dio, dopo aver comandato: “non uccidere”, può permettersi di dire bellamente: Sterminerai dunque tutti i popoli che il Signore Dio tuo sta per consegnare a te; il tuo occhio non li compianga. ... Nelle città di questi popoli che il Signore Dio tuo ti dà in eredità non lascerai in vita alcun essere che respiri. (Deut. VII, 16- XX, 16)
Votare allo sterminio i popoli”, come viene votata allo sterminio ogni vittima sacrificale.
Un altro esempio, e cioè un secondo comandamento che può far capire qualcos’altro d’interessante, è questo: Non desiderare la moglie del tuo prossimo. (Deut. V, 21), che il Cristianesimo, ovvero il Cattolicesimo, ha semplificato in: Non desiderare la donna d’altri”. Caspita! Tutto si può dire della stirpe dei sacerdoti, fuorché tacciarla di essere composta da individui poco accorti! Eh, già, perché proprio nella locuzione “tuo prossimo”, più conosciuta come parte essenziale nel contesto dell’adagio Ama il prossimo tuo come te sesso, sta la realtà e anche l’equivoco: per te ebreo il tuo prossimo è un ebreo e non chiunque. Il tuo prossimo non è, non può essere, anche il prossimo di tutti, di chiunque. Il tuo prossimo è colui il quale è più vicino a te non secondo comparazioni di distanze, bensì di affinità. Il più distante da te è il meno affine a te e di certo non è il tuo prossimo. Il musulmano, che risiede a Parigi e che ogni mattina incontra per le scale l’ebreo che abita nell’appartamento accanto al suo, non è per questo ebreo il prossimo suo, mentre è sicuramente suo prossimo qualsiasi ebreo che abita a New York. La “donna d’altri” non sempre coincide con la “donna del tuo prossimo”. “D’altri” significa “di chiunque altro”, mentre “del tuo prossimo” per un ebreo significa “di un altro ebreo”. Concetto, quello di "prossimo tuo", più chiaramente espresso in quest'altro passo dell’Antico Testamento:
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Per contro, e a conferma della netta distinzione esistente, quasi in ogni capitolo dell'Antico Testamento si può riscontrare che è proprio questo stesso dio ad incitare alla vendetta contro chi non è figlio del suo popolo prediletto.
Taluni, in perfetta malafede o perché affetti da confusione mentale avviata alla cronicità, rigirano il discorso pontificando che, prima d’interrogarsi su l’identità del “prossimo nostro”, è convenientemente necessario rappresentare personalmente le caratteristiche del “prossimo” per gli altri. L’impostazione del problema d’identificazione è capovolta, ma la problematica non muta di un ette: “per chi, io debbo essere il suo prossimo?” equivale all’interrogativo “chi è il prossimo mio?” e il capovolgimento attesta soltanto l’intento di falsare l’essenza degli argomenti che non si sanno affrontare con ragionamenti puliti, che, sicuri, fissano negli occhi la Verità.
Infine, c’è anche qualche sprovveduto capace di asserire che il “prossimo tuo” è il “connazionale”. Asserzione suggerita dal “nazionalismo”, neanche da prendere in considerazione, data la sua pericolosa banalità, che indirizza a non prendersi cura dei disgraziati di nazionalità diversa dalla propria. La verità, che mette in luce un aspetto inquietante della solidarietà umana, è che, nel puro senso ebraico del binomio, “prossimo tuo” sta a significare unicamente “correligionario”.
Comunque, per restringere l’ottica sulla radice della preoccupazione, che trova la propria origine nell’immaginare di mettere in relazione attiva tra di loro i veri concetti espressi dalle terminologie “figli di dio”, “prossimo tuo”, “terra promessa” e “stermino sistematico dei popoli” e si sviluppa sotto l’influenza del pensiero che gli ebrei sono così esaltati dalla loro religione da impegnarsi a fare “miracoli” pur di realizzare i sogni di grandezza ispirati dai sacerdoti, cosicché non si possa più dubitare dell’esistenza di quel dio che li ha prescelti come “unico popolo eletto tra tutti i popoli della Terra”. Nel frattempo, durante il tentativo di realizzazione delle fantasie sacerdotali, nessuna misericordia per gli altri popoli, “il tuo occhio non li compianga”. Per quale arcano concetto di bontà artificiale gli altri popoli dovrebbero essere tenuti a compiangerli per le loro disgrazie e addolorarsi ripetutamente in memoria di queste?
Se fosse stato detto a gran voce: “Tutta questa pessima robaccia è stata scritta da dei “fuori di testa” (tanto per continuare ad usare la terminologia di Odifreddi), non sarebbe sorto problema alcuno, poiché le persone avrebbero avuto modo di prendere le dovute distanze da chi ha ben radicate nel proprio DNA tutte le parole “pronunciate” dal dio che qui sto prendendo in esame, e oggi un numero enormemente maggiore di persone sarebbe in grado di interpretare con precisione esatta i tanti eventi luttuosi che stanno ammorbando spiriti e menti. Gente che, di conseguenza, avrebbe forse trovato motivazioni valide per fare qualcosa di giusto, di veramente buono, invece di rimanere inerte ad ascoltare la disinformazione propinata dai media.
Dei “figli di dio” non c’è da fidarsi mai, camminando in un mondo che il Creatore ha approntato esclusivamente per i “figli degli uomini”. Anche quando tutto andasse per il meglio nonostante la loro presenza, potrebbe ripetersi qualche spiacevole fatto sulla falsariga di questo, in verità mai successo, ma ossessivamente pensato.
I “figli di Dio” videro che le “figlie degli uomini” erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. (Gen. VI, 2)
Il Signore della pioggia s’indignò parecchio e mandò sulla terra il diluvio, in realtà un vero diluvio di parole prosaicamente umane. Beh, del resto fino a poco tempo fa (ancora oggi?) per gli ebrei la donna non ha mai avuto valore diverso da quello di un’incubatrice per “semi non dissipati al vento”.
Dopo aver toccato, sebbene l’abbia appena sfiorata di sfuggita, la ragione prima dell’incubo, che sta letteralmente stremando l’Umanità privandola viepiù delle sue libertà essenziali, mi sembra poca cosa riprendere a compilare la lista delle pecche proprie del Cristianesimo: crociate vecchie e nuove, sempre e ovunque per motivi di conquista e potere, con massacri che solo l’Orrore potrebbe riuscire a descrivere fedelmente, inquisizione spietata con relativi roghi e torture, inflitte con passione per gli apici di sofferenza manifesta, complotti con assassinio di principi e pure di papi, intransigenza parossistica, e per tutto il resto che ancora c’è rimando gl’interessati agli scritti degl’Illuministi. Due vicende, però, voglio richiamarle alla memoria adesso. Sono vicende tristissime, che pochi conoscono e di cui non si parla nelle scuole. In entrambe gli attori di primo piano sono dei religiosi.
La cosa che maggiormente indispettì gli europei, che sbarcarono nel Nuovo Mondo affamati di terra, fu che né i pellerossa dell’America del Nord né gl’indios dell’America del Sud sapessero per tradizione qualche cosa sul Diluvio Universale e che nelle loro pratiche religiose non ci fosse una regola, che fosse una, uguale o almeno simile a qualcuno dei precetti presenti nelle varie correnti religiose europee. Capperi! La Bibbia racconta testualmente che le acque si innalzarono sempre più sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo. Le acque superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto. (Gen. VII, 19, 20), e gli avi di costoro non si sono accorti di nulla! Prima che qualche dubbio s’insinui tra gli europei, e conveniente stabilire che questi esseri quasi ignudi non sono uomini ma bestie. Come al solito, su questa base immorale gli uomini pii estesero anche su tutte le Americhe la più spregevole delle loro istituzioni: la schiavitù. Uomini pii come il missionario Tommaso Ortiz, che con solerzia convinta fornì alla cattolicissima Isabella di Spagna una giustificazione formale alla pratica della schiavitù nel Nuovo Mondo presentando nel 1524 al Consiglio delle Indie una perorazione con questo titolo: (20)Queste sono le proprietà degli indios per cui non meritano la libertà. Un discorso traboccante di falsità, di calunnie maligne e di maligne insinuazioni, spacciate per realtà propria degli usi e costumi di quelle genti che s’intendeva religiosamente schiavizzare, che terminava con queste parole: insomma sostengo che mai Dio creò gente tanto intrisa di vizi e di bestialità, senza mescolanza di bontà o urbanità..

Non so quanto l’esperienza di M. E. sia diversa dalla mia, ma a me non è mai capitato di udire un’altra vera bestemmia di questa portata. E pensare che quel missionario infame stava screditando gente che Cristoforo Colombo, non uno stinco di santo, aveva così descritto:
Sono così puri e gentili che sembra vogliano offrirti il loro cuore.”
Ma il missionario Tommaso Ortiz non fu il solo a predicare in modo infame. Per farsi un’idea di quale fango fossero fatti i predicatori che s'aggiravano per i territori americani, basta leggere cosa scriveva C. Mather, massimo tra i predicatori più intransigenti, tra tutti, insomma. Eccone due orridi estratti:
(20)Gl’indigeni della regione ora occupata dagli abitanti della Nuova Inghilterra sono stati miserabili e infelici pagani fin dal tempo del loro primo insediamento; e sebbene non si sappia quando o com’egli indiani incominciarono a popolare questo vasto continente, pure si può arguire che il diavolo abbia attratto qui questi miserabili selvaggi nella speranza che il verbo del Signor nostro Gesù Cristo non sarebbe mai giunto sin qui a distruggere o disturbare il suo assoluto dominio su di essi. (la scandalosa giustificazione religiosa del possesso indecente). Ma il nostro Eliot (un nome per indicare tutti gl’inglesi) era in tali cattivi rapporti col diavolo da porlo in allarme suonando le argentee trombe del cielo nei suoi territori e da compiere nobili e zelanti tentativi per soppiantarlo nel suo antico dominio in questi luoghi (Se questo non viene considerato segno di pazzia, non bisognerebbe più parlare di follia. Stato di follia lucida, frequente, più di quanto non si creda, tra coloro i quali hanno sostituito il loro spirito originario con qualcosa di innaturale, frutto di pessime masturbazioni mentali). Ci sono, ritengo, più di cento popolose nazioni (se così posso chiamarle) di indiani nel territorio che cade sotto l’influenza delle nostre tre colonie unite; e il nostro Eliot sta cercando di liberarne il più possibile dal vecchio usurpatore, signore dell’America, che è , con l’ira di Dio, il principe di questo mondo (Misericordia! Non stanno massacrando delle popolazioni numerose per strappar loro la terra naturalmente posseduta, la stanno sottraendo al diavolo in persona! Misericordia! Che un destino benevolo faccia sì che non vi sia la minima traccia di radici simili nella futura Costituzione dell’Europa Unita!).
Queste infelici creature (Secondo il parere di parecchi etologi nessuna popolazione al mondo è stata tanto felice quanto quella pellerossa, fino a quando non sono arrivati i cristiani.) rappresentano la più grave degenerazione del genere umano (Ammazzarli è un merito gradito al Signore.) che possa essere trovata ovunque sulla faccia della terra (Bastava osservare per bene l’Inghilterra, notoria madre di tutti i mali che hanno afflitto il mondo e tutt’ora lo affliggono, per trovare di peggio. Assai peggio!). Non c’è da aspettarsi di trovare in loro quelle qualità positive che sono nelle nostre regioni. (sic!) Anzi, in loro si potrebbe constatare quanto il diavolo sia un duro padrone nei confronti dei suoi più devoti vassalli.
Queste abiette creature vivono in un paese pieno di miniere
(Ah! Ecco la ragione per cui…! Mi pareva strano che tanto fervore religioso non avesse un remunerativo scopo pratico!). Noi abbiamo già preso possesso del nostro oro; inoltre si pensa che nei nostri territori, a poca profondità, vi sia rame in quantità tale da rifornire tutto il mondo, e altre miniere ancora saranno scoperte. Ma i nostri indiani, così incapaci di ogni espediente (Uh! Esperienza di predicatore religioso!) , se non fossimo giunti noi (sarebbero rimasti vivi, tranquilli e beati, e, soprattutto, avrebbero continuato a vivere in maniera significativa.), non si sarebbero mai appropriati di metallo sufficiente a farne un coltello (I bravi cristiani, invece, col metallo hanno fatto perfino i cannoni.). Il loro modo di designare un inglese è “uomo-coltello.
Dopo tanta roba da fogna, che ci fa vergognare di appartenere alla razza “bianca” (non si dovrebbe dire: “nero come il peccato”, bensì: “bianco come il peccato”. Il peccato peggiore: quello contro la Natura e lo Spirito.), è necessaria una ventata di aria, se non salvifica, almeno pulita.
Benjamin Franklin, sì, proprio lui, un uomo di scienza, parla dei pellerossa in questi termini:
(20)Noi li chiamiamo “selvaggi” perché i loro costumi differiscono dai nostri che consideriamo la perfezione della civiltà, ma essi pensano la stessa cosa dei loro.
Gli indiani, quando sono giovani, sono cacciatori e guerrieri se necessario; da vecchi diventano consiglieri giacché il loro governo è retto dal Consiglio dei Saggi. Non hanno esercito e non hanno prigioni, né funzionari incaricati di indurre all’obbedienza o di infliggere punizioni
(Se questo stato di cose non è la perfezione, le si avvicina parecchio.). In generale studiano l’oratoria e il migliore oratore ha la maggiore influenza. Le donne indiane educano i figli e conservano, perché sia tramandata alla posterità, la memoria degli affari pubblici. (Poco ci manca, alla perfezione.) Queste funzioni degli uomini e delle donne sono considerate naturali e onorevoli. Avendo pochi bisogni artificiali essi hanno una grande abbondanza di tempo libero per provvedere al proprio miglioramento mediante la conversazione (O è la perfezione?). In confronto al loro, essi considerano il nostro laborioso modo di vivere infimo e degradante, e la cultura, di cui tanto ci gloriamo, frivola e inutile.”
Detto per inciso, così, per depennare una falsità tra le tante diffuse dai colpevoli: lo “scalping” non era una prerogativa dei pellerossa, fu una pratica importata in America dai bianchi. Tot scalpi indiani, tot dollari fruscianti.
Da che parte sta la ragione? Bah, di solito, chi non ha mai la ragione dalla sua parte, uccide. Ugualmente a un Bush dei nostri tristissimi giorni.
Con Colombo, uno dei tanti nella Storia che non sanno mai stare fermi a causa o di uno stato nevrotico indotto dalla “sindrome di Ulisse” o perché non sanno in che altro modo sbarcare il lunario, sopraggiunse la disgrazia mortale per le genti pellerossa.
(20)La conquista europea delle Americhe – ha scritto Alvin Josephy jr. – è stata definita uno dei capitoli più oscuri della storia dell’Umanità, poiché i conquistatori pretesero e ottennero il loro dominio sulle vite, i territori, le credenze, i modi di vita ed i mezzi di sussistenza di ogni gruppo indigeno con il quale vennero a contatto. Nessuno saprà mai quanti indiani di quante tribù furono resi schiavi, torturati, pervertiti e uccisi.”La macchia è resa ancora più scura dall’evidenza che il conflitto fu imposto a coloro che ne soffrirono, che gli aggressori furono i bianchi e che scena della tragedia fu la terra stessa in cui abitavano da secoli le vittime.”
Come mai questo olocausto, sicuramente il più grande massacro della brutta Storia dell’Uomo, non viene ricordato con una ricorrenza di cordoglio, mentre ogni anno si festeggia grandiosamente il “giorno di Colombo”? Uhm, già: il “Colombus day” è una ricorrenza nazionale degli statunitensi e costoro, lo si sa, non rinunciano mai al divertimento di una festa per rispetto delle vittime dei loro frequenti massacri. Il ricordo dell’olocausto di un’intera razza numerosissima, gli statunitensi l’hanno sepolto sotto strati di merda sui quali hanno stilato compiaciuti la teoria del “Destino Manifesto” della Giovane America. Destino (sic!) Manifesto (sic! E ancora sic!) che voleva in maniera evidente che i bianchi timorati di dio prendessero possesso delle terre profanate da animali pagani a due gambe (basta, fare “sic!”. Bisognerebbe fare ben altro! Animali, assolutamente da non compiangere per la loro ecatombe: non lascerai in vita alcun essere che respiri, il tuo occhio non li compianga.
Le tribù pellerossa, invece, non molto dopo il 1620 devono aver maledetto i “i visi pallidi” ogni giorno della loro esistenza straziata.
Dopo che navigatori e conquistatori avevano scandagliato gran parte delle coste del Nuovo Mondo, tra i quali Amerigo Vespucci che sostenne di essere arrivato nel “paradiso terrestre”, finché non scoprì con orrore violento che quegli indigeni gentili non credevano nella “immortalità dell’anima” (altra bianca e religiosa menzogna di convenienza), cominciarono ad arrivare dall’Europa coloro i quali avrebbero dovuto “civilizzare” il Paese. Si trattava d’individui che in patria erano stati condannati a morte per la loro “ottima condotta”, a cui i governi avevano condonato la pena capitale purché fossero disposti a recarsi nel Nuovo Mondo per prendere possesso dell’entroterra. Inutile dire che tutti avevano accettato e a masnade s’erano imbarcati per il lungo viaggio. A ben vedere, però, non si trattò di un vero “condono di pena”, ma piuttosto di “pena differita”. Infatti, per svariate cause nessuno dei masnadieri sopravvisse a lungo nell’ostico entroterra delle Americhe, in particolare dell’America del Nord. Ma quando mai l’invadenza umana, sostenuta dalla brama di possesso, si è arrestata in presenza di ostacoli?Il 21 dicembre del 1620 una nave battezzata “Mayflower”, dopo essere stata sballottata per diversi giorni da una violenta burrasca, approdò molto più a nord di quanto era stato previsto alla partenza dall’Europa e 102 viaggiatori sbarcarono sulle coste dell’odierno Massachusetts. Questa volta non si trattava di masnadieri, bensì di 102 calvinisti ferventi, denominati “padri pellegrini”. Nella loro patria, l’Inghilterra, erano stati perseguitati a lungo da Giacomo I, il quale, infine, li aveva autorizzati a trovare rifugio in Virginia. Così, invece di rompere le scatole in patria, avrebbero fatto il lavoro sporco che spiana la strada alla conquista di territori altrui. Giacomo I doveva aver pensato che, dove non erano riusciti nella colonizzazione dei pendagli da forca, potevano avere speranza di successo solamente dei religiosi e, quando seppe dell’errore di approdo, li autorizzò comunque a rimanere dove si erano venuti a trovare. Che iella per i pellerossa di quella zona! E altra sfortuna fu generata dalla loro bontà d’animo. Eh, sì, perché in verità i padri pellegrini, stremati dagli sforzi fatti per non perire travolti dai marosi e privi di viveri, non avrebbero superato il rigido inverno del Massachusetts, se i pellerossa della tribù dei Wampanoag non li avessero caritatevolmente soccorsi rifornendoli di cibo, coperte e pelli. Ristabilitisi, fecero arrivare colà frotte di loro consimili e fondarono quella prima colonia puritana che avrebbe dato i natali ai primaticci “teneri” germogli dell’indipendenza americana.
Ora non starò qui a raccontare cosa successe in seguito, in quanto ritengo che si tratti di eventi abbastanza noti, tuttavia voglio fare delle citazioni che schiariscano a modo loro una certa visione di un insieme di fatti.
Lo storico indiano Vine Deloria jr. ha scritto:
(20)Uno dei più grandi problemi indiani è stato quello dei missionari. Si racconta che, quando arrivarono, i missionari avessero la Bibbia e noi la terra: ora noi abbiamo la Bibbia ed essi hanno la terra.
Un vecchio indiano un giorno mi disse che i missionari appena sbarcarono caddero in ginocchio e pregarono. Quindi si alzarono, si gettarono sugli indiani e li depredarono.
I missionari vennero nel continente nordamericano per pregare e vi restarono per dominare. O per lo meno prepararono ad altri la strada della conquista e dello sfruttamento
.”
E' sempre stato così , in qualsiasi parte del mondo essi siano giunti. E non mi soffermerò a disgustare M. E. elencando ora tutto quanto è successo e succede nelle svariate missioni che hanno afflitto e affliggono il mondo.
(20)
Le tribù che resistettero ai missionari sopravvissero più a lungo. Mentre delle tribù che si convertirono non si sentì più parlare. Dove il Cristianesimo fallì, e fino a quando fallì, gli indiani poterono resistere al diluvio culturale che minacciava di inghiottirli. Poi fu la fine.”
Cosa rimase da fare ai pochi superstiti? Per il Gran Capo Giacca Rossa nient’altro che mettersi a pregare alla sua maniera davanti a un missionario:
(20)Fratello! Le nostre terre un tempo erano vaste, e le vostre piccolissime. Voi ora siete diventati un grande popolo (Noi oggi siamo spettatori delle nefandezze di un popolo che, nella migliore delle possibilità, può essere definito soltanto “numeroso”. Il termine "grande" è spropositatamente edificante per poter essere un aggettivo qualificativo applicabile al popolo in oggetto, che, tra l'altro, anche questo un vero popolo non è.), e noi abbiamo appena tanto spazio da distendere le nostre coperte. Vi siete impadroniti del nostro paese, ma ancora non vi basta. Volete obbligarci a credere nella vostra religione.
Fratello! Noi non desideriamo distruggere la vostra religione, o portarvela via. Desideriamo solamente goderci in pace la nostra.
Sono parecchi gli storici, indiani e non – per la maggior parte docenti nelle varie università americane – che hanno descritto la tragica verità sull’olocausto dei pellerossa, ma non se ne sente parlare, perché i media hanno scelto il silenzio, o è stato loro imposto. Pressappoco come sta succedendo per il buon libro titolato “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”.
Ricollegatomi a Odifreddi, posso chiudere il discorso sulla scelta obbligatoria “tra due mali”, che mi è stato suggerito dalla lettura del suo libro. Tra il potere religioso e quello laico-scientifico quale scegliere? Stare con un piede in due staffe è esistenzialmente impossibile, dato che sia la religione sia la scienza laica si occupano, sì, entrambe dell’esistenza, ma in maniera diametralmente opposta, e l’esistenza non è fatta a scomparti, non è strutturata in maniera tale che si possa mettere la religione là, ad amministrare pensieri e azioni di un determinato settore, e la scienza qua, ad amministrarne un altro. Non si può pretendere, poiché operano nel medesimo campo, che una amministratrice non interferisca nelle decisioni dell’altra fino ad ottenere, di fatto, la supremazia decisionale. E, siccome nella ristretta realtà sociale ci si deve comunque muovere, pena la paralisi totale in caso di astensione volontaria, per evitare di cadere in uno stato di disordine generale è indispensabile non perdere di vista il fatto che, in fin dei conti, si è scelto il “male minore”, tanto per tirare avanti, mentre la vera e sana direttiva di vita la si conserva viva e vivace nel proprio intimo, cercando gli spiragli giusti per infilarla a brani nel pervertito ambiente sociale circostante. Ma la “corretta direttiva esistenziale” bisogna conoscerla e possederla. Se non si conosce il Bene, com’è possibile riconoscere il Male? Ottimale, sarebbe poterla praticare, la “direttiva corretta”, ma l’esame di realtà ci fa capire, a meno di non essere incoscienti, che in una società la possibilità di “vivere secondo se stessi”, rimanendo ligi solo alle Regole Naturali, è annullata con la coercizione più violenta dai tutori del Sistema opprimente e, fino a quando le masse non riscopriranno il vero valore della Morte, vaporizzato dalla Comodità e dalle False Dottrine, così continuerà ad essere. Per il momento, coloro i quali conoscono bene questo valore massimo sono ancora troppo pochi, e perciò, nonostante la genuina volontà di iniziare ad agire per il meglio, trovano difficoltoso sbarazzarsi della paralizzante preoccupazione di apparire nel sembiante di una desolata figura donchisciottesca, il cui comportamento verrebbe giudicato un po’ folle e tale giudizio finirebbe col ripercuotersi funestamente sulle loro famiglie. Il Potere mantiene nell’ignoranza le “masse di perdizione” proprio a codesto scopo: lapidare chiunque sa, e vorrebbe ribellarsi, con lanci di invettive beffarde e insinuazioni maligne. La solita vecchia storia delle larve folli e ottuse che danno del “matto” a chiunque sia naturalmente integro e sano.
(28)Ecco, che se ne stanno lì – disse egli al suo cuore – e ridono: Non m’intendono, io non sono la bocca per questi orecchi. (Zarathustra)
Io ho fatto un lungo excursus tra le “magagne”, che preferirei definire “delitti”, dell’una e dell’altra parte, ma infine un triste esame di realtà si è costretti a farlo. Sempre, purtroppo. Quindi, se da una parte ci sono i “cretini”, io, i “fuori di testa” li vedo trovarsi in stragrande maggioranza dall’altra parte. E, oggi più che mai, reputo i “fuori di testa” più dannosi dei “cretini”. Perciò, constatato a quale punto pauroso della disgrazia esistenziale siamo venuti a trovarci, per errori tutti imputabili alla scienza nella sua qualità di mandante squilibrata e alla tecnica in quanto esecutrice scriteriata e venale; constatato che il potere laico non ha mai smesso di opprimere concretamente, nonostante le sue metamorfosi di facciata, e di mantenere la disparità delle classi sociali, che invece dovrebbe eliminare per imperativo sia naturale sia costituzionale; constatato che oggi il potere religioso ha mitigato i toni ed è rimasto l’unico a proferire parole umane, lancio un’imprecazione contro Galileo Galilei e faccio la mia gravosa scelta sociale. Scelgo di dare il mio sostegno all’attività sociale di una parte, non di credere alla sua dottrina. Mi trovo nella medesima condizione descritta in maniera squisita dal premio Nobel per la Letteratura Rabindranath Tagore:
(21)Ora, infine, aveva gettato ai venti tutto il ciarpame dei culti religiosi e irreligiosi, e si era ritirato in un mondo di semplicità e di pace tali che nessuno avrebbe potuto indovinare quello in cui credeva e quello in cui non credeva.”
Non è una specificazione superflua inserire nell’eliminazione anche i riti irreligiosi, dato che una tale ritualità immobile può erigere un altro altare da contrapporre a quello che vuole abbattere. E, un altare, sprigiona immancabilmente un’aria carica di dogmatismo che offusca la mente così tanto da renderla refrattaria a recepire la Verità. Infatti, gl’irreligiosi non propongono mai la Verità, ma, quasi sempre, configurano semplicemente un ariete da sfondamento, del tipo che considerano il più adatto a fondare ciò che intendono sfondare, al quale ariete, per l’appunto, finiscono con l’erigere un altare, altrettanto dannoso, se non maggiormente dannoso, di quello preso di mira per l’abbattimento. E’ un’aria, la cui disarmonia esistenziale è lievemente mitigata dall’abilità dello scrittore, che sento soffiare anche nell’ultimo libro di Odifreddi.
Comunque, io non do il mio sostegno al vertice, ma alla base di questa parte, in cui agiscono alcuni individui davvero eccezionali, convinto che, se questa parte spezzasse il vincolo che la lega al Libro del Male, potrebbe diventare in un batter d’occhio la più apprezzata tra le istituzioni umane. Può darsi che, in sostanza, l’attività di codesta parte sia costituita soltanto da parole e non sia indice di un serio inizio di ravvedimento dinamico, come lo sono state le invocazioni al vento, “Pace! Pace!”, lanciate quotidianamente da Karol Wojtyla mentre tutto il clero statunitense, canadese e australiano era sicuramente schierato al fianco del macellaio Bush, auspicando in segreto una drastica riduzione della concorrenza. Certo, anche l’atto di scomunicare Milingo e non scomunicare Bush, non è stato recepito come un bel messaggio rassicurante, per quel che può valere una scomunica, comunque, conoscendo la Verità, io ho potuto fare una scelta temporale e temporanea che non invalida la mia capacità di critica e si tratta di una scelta contingente senz’altro assai meno dannosa, e dannata, di quella fatta, ad esempio, da un “principe” dei “fuori di testa”, quale è stato Blaise Pascal. Ridurre la scelta di una religione a una scommessa che si reputa vantaggiosa è un modo di pensare che, oltre a denotare con nettezza che si tratta di un pensiero formulato da un “fuori di testa” cronico, conduce dritto dritto a una fine dei propri giorni coronata da una “punizione” che punizione non è, in quanto si tratta di una conclusione connaturata nell’Ordinamento del Tutto, ma che è comunque una fine tremenda per uno spirito che in origine aveva una meta, in seguito disattesa (altro discorso che avrebbe bisogno di molto spazio).
Carissima M. E., ancora uno sforzo di pazienza e leggiamo assieme ciò che ha detto questo “fuori di testa” in merito a certe modalità di scelta metafisica, tanto per farcene un’idea e per imparare ad evitare che il nostro pensiero imbocchi certi cunicoli, privi di spiragli di luce.
(22)Scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal volere (sic!), ci siete impegnato. Che cosa scegliete, dunque? Poiché scegliere bisogna, esaminiamo quel che v’interessa meno. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco:la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l’errore e l’infelicità. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che da un’altra (come,no?!), dacché bisogna necessariamente scegliere (e con ciò?! Perché non dovrebbe patire una scelta sbagliata? Forse non la patisce nel senso che non si rende conto di aver sbagliato, ma, in effetti, proprio questa inconsapevolezza è il sintomo primo della sofferenza della ragione, non più coadiuvata dall’infallibilità dell’istinto naturale.). Ecco un punto liquidato (ah, sì?!). Ma la vostra beatitudine? Pensiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell’esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla (ecco cosa si può arrivare a dire quando si è distanti troppi anni luce dalla Verità! Proprio seguendo certe idee, come questa di Pascal, si finisce col perdere tutto ciò per il cui ottenimento si è nati.). Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste (secondo le indicazioni fornite dalle Sacre scritture, per giunta!). Siccome c’è eguale probabilità di vincita e di perdita (sic!), se aveste da guadagnare solamente due vite contro una, vi converrebbe già scommettere. … Ma qui c’è effettivamente un’infinità di vita infinitamente beata da guadagnare.”
Qui c’è soltanto l’assoluta certezza di sciupare l’unica e irripetibile occasione di Eternità concessa ad ogni individuo. Pensi un po’ Lei, paziente M. E., quali strade andrebbe a percorrere un essere umano che avesse fondato le proprie certezze esistenziali su basi composte da una melma tanto malferma quale è quella che Pascal consiglia a tutti per la costruzione di solide rampe di lancio verso una vita (spirituale?!) infinitamente beata.
Quando mi capita di leggere certi scritti, ritorna a scorarmi il pensiero che in molti si sono messi di buzzo buono per far evaporare la Verità da ogni anfratto dell’esistenza umana e avverto il pungolo inflittomi dell’assenza di voci che reclamino la sua presenza con potente sonorità. Perciò, quando vedo che Odifreddi, con il pensiero rivolto a Benedetto Croce, come filosofo, e a Bertrand Russell, come matematico, ha scritto “Ogni epoca ha non solo i suoi filosofi collaborazionisti, ma anche i suoi matematici resistenti.”, devo per forza dire che i matematici resistenti e critici vanno benissimo come baluardi opposti alle incursioni dei filosofi collaborazionisti, ma, finché i matematici non diventeranno decisamente propositivi, i filosofi collaborazionisti avranno sempre la meglio. E al giorno d’oggi questo successo è un bel guaio, perché, se ieri si poteva dire che ci si stava avviando verso il disastro, oggi siamo nel bel mezzo del disastro, generalizzato a un livello insostenibile. Insomma: non c’è più tempo per assistere ad altri trionfi dei collaborazionisti, filosofi o no che siano. Siamo giunti al tempo in cui la Natura ci sta imponendo l'aut aut estremo: o la Verità viene ripristinata al più presto o ci sarà l'annientamento.
Comunque, anche alla luce di quanto ho trattato nella lunga digressione che mi sono concesso, non meraviglia che M.E. si preoccupi dell’istruzione dei propri figli, sebbene che a me sembri che il vero motore di codesta preoccupazione agisca in lei ancora inconsciamente. E la “stanchezza” ne è il sintomo. In effetti, io credo che M.E. si preoccupi principalmente del successo dei suoi figli nell’ambito dell’istruzione, come qualsiasi madre socialmente integrata, ma, avendo una sensibilità più sveglia della media, qualcosa in lei cerca di farle intuire l’inanità di fondo del suo impegno inquieto, dovendo, infine, consegnare le sue amate creature alla prigione di un ruolo e ben sapendo che non vi è alternativa che possa essere perseguita senza subire una dura emarginazione. La gabbia fabbricata dall’uomo senza valore è diventata oramai di dimensioni universali.
(3)Nessuno ci ha detto la verità, la verità non ha più difensori sulla Terra, è troppo difficile da capire, e coloro che la penetrano saranno sempre meno numerosi. Parola di Albert Caraco. Il mondo ci sfugge, ci sfugge perché non vediamo chiaro in noi stessi, e non vogliamo veder chiaro per paura di dover profanare quello che ancora riveriamo (Potere, Fede e Lavoro).
E che non debba succedere nell’ambito dei luoghi d’insegnamento, che non si preoccupano affatto di perseguire il vero bene di qualsiasi allievo poiché in essi stessi non è presente concezione alcuna del bene e conoscono soltanto la disciplina, l’integrazione e l’ottundente indottrinamento, che non debba succedere, dicevo, che un bambino vivace, con l’argento vivo addosso, ricchezza naturale inestimabile, sia ritenuto, per iniziativa dei docenti che collaborano con la Sanità, affetto da una malattia inesistente, quale l’ADHD, e gli venga somministrato il Ritalin o lo Strattera, che, oltre a guastargli mente e corpo, lo snatureranno per sempre. Nei luoghi d’istruzione si esige l’instaurazione viscerale della quiete, dell’acquiescenza più completa, affinché non vengano immessi nella società elementi che, un domani e grazie alla stupenda energia dell’argento vivo che hanno in corpo, siano in grado di rendersi conto di quale tragica buffonata sia stata allestita dalla società e possano manifestare un’incisiva volontà di non sottomettersi alle regole dell’ordine costituito e magari la sgraditissima intenzione di mutare l’indecente stato di cose. Oggi il Potere, proprio perché preoccupato che qualcuno possa predisporre precocemente un abbozzo di base per la propria personalità, cioè ancor prima di venire intossicato a dovere dai suoi veleni, pretende che i bambini inizino il loro percorso scolastico a cinque anni. Addio diritto naturale alla libera spensieratezza! Sei stato di una durata follemente breve! E se qualcuno cerca istintivamente di sottrarsi a un triste destino da intossicato, servendosi di strategie, puerili purtroppo!, come la disattenzione o ancor meglio come l’arrecare disturbo con persistenza (tattica che di riflesso può salvare anche altre vittime predestinate), giù una dose massiccia di Ritalin e l’indottrinamento può continuare, con quella tipica placidità che soddisfa ogni insegnante che, mese dopo mese e anno dopo anno, sta in cattedra aspettando il “ventisette”. Vogliono trasformare la sana vivacità dei bambini in malattia., questo è il grido d’allarme che di questi tempi risuona di giorno in giorno sempre più spesso. La sua eco in Internet s’è moltiplicata… vorrei dire: quasi con veemenza. E mentre questa preoccupazione sta lievitando da un lato, a testimonianza che la “pasta umana” buona non è stata tutta gettata nell’immondizia, da un altro lato la Natura innesca la reazione all’oppressione, crescente in maniera smodata, e quindi assistiamo al moltiplicarsi di atti illeciti tra gli allievi che sono alle porte della maggiore età. Sto parlando di illiceità rispetto alla liceità naturale, altri aspetti non m’interessano. Va da sé capire che più aumenta la repressione e più si estende il concetto emanato da “tolleranza zero”, più s’infittiscono gli atti di reazione che, come accade immancabilmente, sconfinano naturalmente nell’illecito per occupare delle posizioni così tanto avanzate da far sì che un’eventuale ritirata non comprometta almeno quella parte delle nuove conquiste che rientrano pienamente nel campo del lecito. Per concludere bene il discorso “istruzione e cultura” sarebbe opportuno parlare anche del “complesso docenti”, ma non lo farò, e della relativa presa di coscienza che si sta sviluppando in questo complesso che, però, non reagisce e s’abbandona all’apatia. Consapevolezza crescente che induce i docenti a nutrire forti dubbi sulla validità del proprio operato. Neanche a dirlo: gli studenti percepiscono questo stato di malessere istituzionale e s’industriano per sminuire ulteriormente, definitivamente?, la traballante autorevolezza di insegnanti che non affascinano affatto. Gli episodi che confermano questa intenzione sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Rientrano, indubbiamente con una malagrazia eccessiva, in una questione di autodifesa, benché li si voglia criminalizzare, invece di criminalizzare l’istituzione disumanizzata e disumanizzante. Non è per semplice fatalità che quella dei docenti sia la classe sociale più aggredita da disturbi psichici rilevanti i cui sgradevoli effetti si riversano immancabilmente sugli studenti.
Inoltre: (4)come può un individuo in fase di sviluppo imparare ad avere rispetto di qualche cosa, quando tutto ciò che lo circonda è opera, per giunta estremamente banale e brutta, dell’uomo?, si domanda Konrad Lorenz e di seguito fa questa osservazione: In una grande città i grattacieli e l’atmosfera inquinata dai prodotti chimici non permettono nemmeno più di vedere il cielo stellato. Non c’è perciò da stupirsi se il diffondersi della civilizzazione va di pari passo con un così deplorevole deturpamento delle città e delle campagne. Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro di una qualsiasi città con la sua periferia moderna, oppure quest’ultima, vera lebbra che rapidamente aggredisce le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti. Si confronti poi il quadro istologico di un tessuto organico normale con quello di un tumore maligno, e si troveranno sorprendenti analogie! Se consideriamo obiettivamente queste differenze e le esprimiamo in forma numerica anziché estetica, constateremo che si tratta essenzialmente di una perdita di informazione.
Ecco un esempio di come la cultura, nell’accezione odierna di non-cultura, abbia una considerevole influenza sulla salute e di quanto entrambe interagiscono per mantenere oppure destabilizzare equilibri delicatissimi.
(4)La cellula neoplastica si distingue da quella normale principalmente per aver perduto l’informazione genetica necessaria a fare di essa un membro utile alla comunità di interessi rappresentata dal corpo. Essa si comporta perciò come un animale unicellulare (a questa infima degradazione ci riduce una cultura errata, la cultura del progresso umano) o, meglio ancora, come una giovane cellula embrionale che è priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e senza ritegni, con la conseguenza che il tessuto tumorale si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge. Tra l’immagine della periferia urbana e quella del tumore esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno spazio ancora sano in cui erano state realizzate una molteplicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente differenziate fra loro e reciprocamente complementari. Il cui saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazioni raccolte nel corso di un lungo sviluppo storico;laddove nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moderna il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture estremamente semplificate, il panorama istologico delle cellule cancerogene, uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza disperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate in concorsi-lampo da architetti privi oramai di ogni cultura. Gli sviluppi di questa competizione dell’umanità con se stessa (sic!) esercitano sull’edilizia un effetto distruttivo. Non soltanto il principio economico secondo il quale è più conveniente produrre in serie gli elementi costruttivi, ma anche il fattore livellatore della moda, fanno sì che ai margini dei centri urbani di tutti i paesi civilizzati sorgano centinaia di migliaia di abitazioni di massa che si distinguono fra loro solo per i loro numeri civici; esse infatti non meritano il nome di “case” dal momento che, tutt’al più, si tratta di batterie di stalle per “uomini da lavoro”, chiamati così proprio per analogia con i cosiddetti “animali da lavoro.
Chi s’è sognato di dire che “il futuro è nel mattone”? Se intendeva un futuro d’infelicità, beh, allora… Se penso a quanti altri “concetti-spropositi” sono stati espressi con incoscienza e superficialità… Che sequela di frasi ignobili sono state proferite, come frutti d’intelligenza acuta, da chi non ha mai intravisto la Verità!
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Sport”: io sono convinto che questo vocabolo provenga direttamente dalla fantasia del Male. Esso ha dimostrato di non poter allacciare una relazione proficua né con il termine “ginnastica” né con quello di “gioco”. Se viene privato delle sue contorte stampelle, “competizione” e “agonismo”, dalle quali grondano in continuazione liquami velenosi come “spirito di emulazione”, “grinta” e “accanimento”, la sua immagine vuota s’affloscia, così da sembrare una grossa farda evacuata da un mostruoso essere inumano. E il suo nauseabondo fetore, tutti ne siamo stati testimoni, si diffonde rapidamente inquinando parecchio.
Molti genitori impongono ai loro figli, con la persuasione o con maniere più rigide, la frequentazione di una disciplina sportiva e quelli in buona fede, cioè quelli che non mirano a ipotetici lauti guadagni futuri della propria prole, lo fanno perché convinti che il moto in sé sia salutare. Ma ogni tipo di moto è cosa salubre solo se fatto per espletare le attività quotidiane primarie in un ambiente adatto, e l’unico che c’era, l’unica palestra valida, perfetta in quanto naturale, è stata devastata. Non c’è più. Al suo posto sono state edificate varie “scuole sportive” immancabilmente recintate e prive di orizzonte, dove s’insegna, oltre a una ulteriore manciata di regole repressive, che la “vittoria” è l’unico fine da perseguire ad ogni costo, mentre la “sconfitta” relega lo sconfitto addirittura nella landa desolata del “non essere”. Dove si predica che soltanto la “vittoria” genera “ricchezza” e “popolarità” (la quale infonde l’illusione di “essere veramente”) e che quindi val la pena di sforzarsi per ottenerla con qualsiasi mezzo, senza preoccuparsi troppo dei danni collaterali provocati dagli “aiuti” che agevolano lo “sforzo”. Né ci si deve preoccupare di diventare semplici strumenti nelle mani di figuri che gestiscono un “gioco” assai più grosso e assai più redditizio, improntato sulla dabbenaggine delle masse.
(3)Essi (tutti quelli che hanno a che fare con le manifestazioni effettive del Potere) per impedirci di riflettere organizzano metodicamente e ci propinano spettacoli insulsi, che ottundono la nostra sensibilità e finiranno con il guastarci il cervello, i nostri padroni consacreranno quei trastulli sovrintendendo alla loro mania (la diffondono con attenzione ed energia) con tutta la pompa che si conviene (basta vedere, ad esempio, con quanta e quale “pompa magna” mistificatrice vengono organizzati i Giochi – giochi?!! – Olimpici). Siamo tornati al circo di Bisanzio e così ci dimentichiamo dei nostri veri problemi, senza però che questi problemi si dimentichino di noi, domani li ritroveremo, e sappiamo già che quando saranno insolubili andremo alla guerra.
Grazie, Caraco.
E, parimenti a quanto succedeva nel circo di Costantinopoli, nelle “scuole sportive” odierne si accetta con gaudio una vittoria ottenuta con la finzione, pianificata in perfetta malafede: con la simulazione.
M.E. avverte la fatica di scegliere lo sport più adatto per i suoi figli, patisce la fatica di portarli a fare dello sport con regolarità, ma sotto sotto ciò che genera stanchezza e di tutt’altro genere rispetto alle suddette fatiche. Un genere che potrebbe guastare irrimediabilmente le sue creature, tirate su con tanto amore.
Inoltre, venendo contagiati dallo Sport e non riuscendo ad eccellere in nessuna delle sue discipline, ci si può imbattere nella sventura di diventare tifosi. Così, tanto per coltivare l’illusione di partecipare, mentre, in realtà, il tifoso, lungi dal partecipare con tutta la sua soggettività, è uno tra gli elementi più manovrabili secondo il volere e gl’interessi di alcune forze occulte, che, poi, tanto occulte non sono, dato che rappresentano l’essenza stessa di ciò che determina e muove una società “civile” fondata sull’arricchimento a sua volta basato sul consumo. Per guarire un tifoso sembra che le parole non bastino. Chi continua ad essere tifoso, con tutti gli eccessi del caso, dopo i diciotto anni di età ha in sé qualcosa che non sta maturando nel verso giusto.”, avvertono psicologi e psichiatri, ma sono parole che non sollecitano i timpani di molti e quindi non generano in costoro opportune meditazioni. Il tifo è una fissazione che acchiappa i bambini, e talvolta li travolge, ma quando si è diventati adulti… Certo: il vero problema sta nella capacità di diventare adulti. Impresa non facile, in un mondo di beoti che inneggiano alla “bellezza di mantenere perennemente vivo in se stessi lo spirito ch’era stato quello della fanciullezza” e non si rendono conto della corbelleria, spiritualmente mortale, che stanno sostenendo con qualche sorriso da saputelli. Talvolta succede che il tifoso prenda coscienza del proprio stato di marionetta e dell’immane imbroglio che viene gestito alle sue spalle e, non riuscendo comunque a guarire, a rinsavire, si scaglia istintivamente contro l’oggetto del suo amore con l’intenzione di distruggerlo. Non riesce a concepire che solamente con la quieta indifferenza, con il netto distacco definitivo da esso potrebbe avere sicuro successo nell’annientarlo e al contempo nel guarire se stesso. Purtroppo, però, il tifoso vero non riesce a reggere il pensiero di dover privarsi per sempre del suo oggetto d’attaccamento morboso e per dare un senso al proprio furore lo inserisce di prepotenza nel contesto delle lotte di classe, con il solo risultato di permettere, a chi si rallegra nell’osservare che le masse non sanno cambiare le loro idiote condotte di lotta sociale, di inasprire a suo piacimento la tolleranza zero, già ampiamente in vigore nella prigione sociale.
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Tempo libero”: se dicendo “tempo libero” viene fatta una distinzione, significa che c’è un “tempo imprigionato” o, quantomeno, “occupato” e per assurdo, davvero superlativo, non è il "tempo occupato" a destare preoccupazione negli uomini “civili”, bensì il "tempo libero" e il suo impiego. In verità è il "tempo occupato" che ha svuotato di senso il "tempo libero". Questa realtà strana può servire da lente d’ingrandimento che permette d’osservare distintamente due aspetti della medesima alienazione. L’uomo adulto, completamente guastato, alienato, dai “lavori” del tutto innaturali inventati dalla società, allorché il suo impiego lavorativo cessa non è più capace di vivere unicamente con se stesso e per se stesso, poiché codesta convivenza, non più ingannata e tenuta ai margini dell’Io da una pseudo-vita dedicata al “lavoro”, s’impone e presenta all’uomo in un sol grumo tutte le problematiche esistenziali che il “lavoro” non gli ha permesso di risolvere adeguatamente. Ma perché si presenta questo inconveniente maligno che spinge molti esseri umani a compiere atti di disperazione estrema o ad autosegregarsi in una solida depressione, non appena cessa la loro attività lavorativa sociale? Questo interrogativo propone un tema di grande importanza, che meriterebbe di essere svolto in maniera esaustiva da un discorso lunghissimo. Non mi sembra il caso di doverlo esporre in una circostanza come questa e perciò mi limiterò a dire che, se la stragrande maggioranza degli uomini è stata convinta che il “lavoro” sia la principale ragione di vita di un essere umano, allorché il "lavoro", per un motivo o per un altro, non c’è più, l’esistenza si presenta come un vuoto assoluto, incolmabile e disperante. E questo inganno immane, perpetrato e affinato nei secoli, ha vanificato l’esistenza di miliardi di esseri che possedevano uno spirito “predisposto” per ben altre Finalità. Per ampliare un po’ il discorso, che rimarrà comunque molto deficitario, voglio qui citare qualche brano tratto da “L'orrore economico”, libro scritto da Viviane Forrester. Testo che tutti dovrebbero leggere per poi meditare seriamente e convenientemente. Testo che andrebbe letto non solo perché è stato un best seller europeo che ha ricevuto in Francia il prestigioso premio Médicis.
(23)Tutti quanti noi viviamo immersi in un’illusione magistrale, in un mondo scomparso che ci accaniamo a non riconoscere come tale, e che le false politiche e politici bugiardi pretendono di perpetuare. Milioni di destini sono sconvolti, annientati da questo anacronismo, frutto di ostinati stratagemmi rivolti a consacrare come imperituro il più sacro dei nostri tabù: quello del lavoro. Sul lavoro, stravolto sotto la forma perversa di “impiego”, si fonda in effetti la civiltà occidentale, che a sua volta domina l’intero pianeta. Sono confusi a tal punto l’uno con l’altra che nel momento stesso in cui il lavoro si volatilizza, il suo radicamento, la sua evidenza non vengono mai ufficialmente messi in discussione, e tanto meno viene discussa la sua necessità. Non è forse il lavoro a governare, in linea di principio, qualsiasi tipo di distribuzione della ricchezza, e di conseguenza qualsiasi forma di sopravvivenza? I grovigli di scambi che ne discendono ci appaiono indiscutibilmente vitali come quelli attraverso i quali circola il sangue nel corpo umano. Ora questo lavoroda sempre ritenuto il nostro motore naturale, la regola del gioco (imbroglio che permette al Potere di provvedere al mantenimento delle divise che perpetuano la sua impostura, mortale in quanto impedisce a chicchessia di esprimere se tesso, di essere se stesso.) adatta al nostro passaggio in quegli strani luoghi in cui ognuno di noi ha la vocazione (inculcata a dovere) di annullarsi e sparireoggi non è più che un’entità priva di qualsiasi sostanza. Un sistema defunto, oramai fallito, ma il cui prolungamento artificiale consente di esercitare surrettiziamente soprusi e tirannie di buona lega, pur conservando la coesione sociale”.Ma, dietro a queste mascherate, durante tutto il corso di questi sotterfugi ufficializzati, di queste pretese “operazioni” (volte a ripristinare il valore fittizio e ferale del lavoro sociale) di cui si conosce in anticipo l’inefficacia, di questo spettacolo che mandiamo giù pigramente, pesa la sofferenza umana, quella sì reale, scolpita nel tempo, in quel tempo che costruisce la vera Storia, perennemente occultata. Sofferenza irreversibile delle masse sacrificate, cioè di coscienze a una a una torturate e negate. Da questo sistema emerge nonostante tutto una domanda essenziale, mai esplicitamente formulata: “Bisogna meritare di vivere per averne diritto?” Soltanto un’infima minoranza vanta questo diritto d’ufficio, ed è una minoranza da sempre provvista di poteri eccezionali, di proprietà e di privilegi considerati quasi naturali.
Quanto al resto dell’umanità, le occorre, permeritarsidi vivere, di dimostrarsiutilealla società (come se fosse la società ad avere Finalità extra mondane e non ogni singolo essere umano), o quanto meno a quella parte che governa e domina.Questo meritoquesto diritto di vivere, anzi passa dunque dal dovere di lavorare, di avere un impiego, che (grazie alla mistificazione più cinica) diventa così un diritto imprescrittibile senza il quale il sistema sociale non sarebbe altro se non un enorme e generalizzato assassinio.
Ed ecco, però, che la verità che si vuole relegare negli abissi con ogni stratagemma ordito dalle povere menti che gestiscono il potere (menti che non avrebbero la capacità d’imporsi per un sol giorno se non fossero sorrette e protette da stuoli di divise armate fino ai denti) riemerge naturalmente con tutto il suo splendore che la menzogna non può attenuare.
Ma che ne è di questo diritto di vivere quando non opera più, quando viene impedito di compiere quel dovere che permette di accedervi, quando diventa impossibile quello che pure viene imposto? Tutti sanno oggi che molti accessi al lavoro sono permanentemente vietati, chiusi dall’imperizia generale, dall’interesse di alcuni, o dal senso della Storia (che s’è naturalmente stancato dell’impostura mistificante) – il tutto ben nascosto sotto il segno della fatalità. E allora, è normale o quantomeno logico continuare ad imporre quello che non c’è? E’ legale pretendere una cosa che non esiste come condizione necessaria alla sopravvivenza?
Eppure ci si accanisce a perpetuare questa truffa. Ci si intestardisce a considerare regola ciò che è definitivamente passato, un modello finito; a indicare come significato ufficiale delle attività economiche, politiche e sociali, questa corsa dietro ai fantasmi, questa invenzione di surrogati, questa distribuzione promessa e sempre differita di ciò che non è più; si continua a far finta che il vicolo non sia cieco, che si tratti di attraversare qualche conseguenza fastidiosa ma passeggera di errori tutto sommato riparabili.
Quale impostura! Quanti destini massacrati all’unico scopo di costruire il simulacro di una società scomparsa, fondata sul lavoro e non sulla sua assenza!
E’ così che si mettono le basi per una società di schiavi ai quali solo la schiavitù conferisce uno statuto
. (La sola differenza col passato è data dal particolare che oggi gli schiavi sono stipendiati. Oh, no! Non è questa la sola differenza! Oggi gli schiavi, ancorché stipendiati, sono molto meno liberi di quanto per il passato, sia remoto che prossimo.) Ma a questo punto perché occuparsi degli schiavi se il loro lavoro risulta superfluo? Allora , come una specie di eco rispetto alla domanda che galleggia più in alto, eccone un’altra che si ha paura di ascoltare: è utile vivere se non si è vantaggiosi per il profitto?
E qui spunta l’ombra, l’annuncio o la traccia di un vero e proprio crimine. Perché non è cosa da niente che tutta una popolazione venga portata in silenzio da una società lucida (pazzia lucida) e sofisticata (follemente sofisticata) all’estremo limite della vertigine e della fragilità: ai confini della morte, e qualche volta persino oltre. E non è cosa da niente anche il fatto di spingere a cercare , a mendicare un lavoro, e non importa quale né a quale prezzo (cioè al più basso possibile), quelle stesse persone che poi il lavoro renderà schiavi.Così è niente poter manovrare a proprio piacimento gli altri che, provvisti di un salario e di una posizione, non si lamenteranno, troppo preoccupati di perdere ciò che hanno conquistato, così raro, prezioso e precario, e terrorizzati di dover raggiungere la coorte immensa dei “miserabili”.Un mercato da cui tutta questa gente dipende ma che non dipende da loro.
Noi non ignoriamo più, non possiamo pretendere di ignorare che all’orrore niente è impossibile, che non ci sono limiti alle decisioni umane. Dallo sfruttamento all’esclusione, dall’esclusione all’eliminazione, o a sfruttamenti disastrosi e inediti: è davvero uno scenario impensabile? Noi sappiamo per esperienza che la barbarie, sempre latente, si coniuga al meglio delle sue possibilità con la tranquillità di quelle maggioranze così abili nell’amalgamare il peggio alla stupidità.
Lo si vede, di fronte a certi pericoli, reali o virtuali: è ancora il sistema fondato sul lavoro (benché ridotto allo stato larvale) che fa mostra di essere baluardo: ed è forse per questo che noi restiamo attaccati alle sue regole che non hanno più corso. Ma questo sistema riposa su fondamenta corrose, permeabili a qualsiasi tipo di violenza e perversità. I suoi rituali, in apparenza capaci di temperare il peggio, di ritardarlo, in realtà girano a vuoto, e ci mantengono addormentati in quella che in altri tempi ho definito “la violenza della calma”. E’ la più pericolosa, quella che permette a tutte le altre di scatenarsi senza ostacoli; proviene da una quantità di costrizioni che sono a loro volta il frutto di una lunga, terribilmente lunga, tradizione di leggi clandestine. La calma degli individui, delle società, si ottiene con l’esercizio di forze coercitive antiche, che covano sotto la cenere, d’una violenza tanto più efficace quanto più passa inosservata e che al limite non è neppure necessaria, tanto è integrata; queste forze ci condizionano senza aver più bisogno di dichiararsi. Quel che appare è solo la calma alla quale siamo costretti ancora prima di nascere. Questa violenza mascherata all’interno della calma che ha istituito, procede e agisce incontrollabile. Veglia, tra l’altro, sugli scandali che nasconde, facendoli accettare sempre meglio, e riuscendo a determinare una rassegnazione generale tale che non si riconosce più a che cosa ci si è rassegnati: tanto ne ha bene negoziato l’oblio!
Non ci sono armi contro di lei se non la precisione, la freddezza della constatazione. Anche se più spettacolare, la critica è tuttavia meno radicale, perché entra nell’ingranaggio, obbedisce alle sue leggi e, dunque, se ne fa garante, sia pure opponendovisi. L’unica soluzione è non stare al gioco.
Che voglia irresistibile ho di ampliare scrupolosamente questo discorso! C’è da meditare parecchio e molto seriamente sul fatto che l’Italia sia “una Repubblica fondata sul lavoro”. Ma qui e per il momento può bastare l’aver ascoltato la sana e acuta voce di Viviane Forrester, una donna, un essere umano, che ha capito moltissimo. Forse tutto.
Bah, ciò che la Forrester ha illustrato (in maniera molto più chiara e perfetta nell’interezza del suo libro) è uno spaccato di un mondo al quale M.E., come qualsiasi altro genitore, dovrà per forza di cose consegnare i propri figli. Come qualsiasi altro genitore?! Bah, la diversità dipenderà esclusivamente dalla volontà e dalla resistenza della coppia che lei ha formato.
Ora precisiamo brevemente cosa sia il "tempo libero" che dovrebbe appartenere ai bambini. Esso si riduce ad essere un lasso di tempo in cui un bimbo agisce esclusivamente secondo quanto è stato programmato dai genitori al di fuori dell’ambito dell’istruzione. Un programma che tiene conto con rigore soltanto degl’impegni lavorativi dei genitori stessi. E, talvolta, non solo di quelli lavorativi.
Nei ritagli di questo "tempo libero", cioè quando non viene impiegato per adempiere gli obblighi dei programmi famigliari, i bambini tentano istintivamente di divertirsi veramente, ma nei loro giochi oggi si riscontra soltanto una carenza quasi totale di originalità soggettiva e un completo distacco, disarmonia, dal mondo naturale che, del resto, è pressoché assente. In ogni gioco si può vedere come i bimbi riproducano meccaniche caricature dei ruoli sostenuti dai loro famigliari e, in seguito, da altre figure di adulti che hanno particolarmente attratto il loro interesse. Comportamento nella norma naturale, ma ciò che non è naturale, pur essendo socialmente nella norma, è ogni ruolo che diventa esempio da imitare. Ruoli, oramai, completamente artificiali, che richiedono comportamenti artificiosi. A causa di ciò, il bambino con il suo apprendimento per imitazione assimila soltanto artificiosità e così, generazione dopo generazione, l’essere umano è arrivato al punto di aver perso la memoria di tutto ciò che è squisitamente naturale. Ha subito, come dice Lorenz, una “perdita d’informazione”, che è diventata addirittura “perdita d’informazione genetica.” Come si può sperare che un bambino, sviluppatosi su basi intime e ambientali così carenti, innaturali, possa riconoscere e comprendere da adulto la Verità Naturale e da questa quella Esistenziale? Stenta a riconoscere una gallina o un maiale! Per non parlare delle altre varietà animali sopravvissute allo sterminio! Figuriamoci la Verità! Ma, in assenza di comprensione della Verità, e di conseguenza delle Finalità Esistenziali, la vita di chiunque si svuota di senso e valore e diventa un pasticcio carico d’incertezze e di sofferenza. E alla fine? L’essere umano, per sua natura, può vivere veramente soltanto l’attimo presente, durante il quale si comporta secondo il personale compendio di tutti gli attimi precedenti, e quindi, alla fine della successione più o meno lunga di attimi, sarà come egli abbia vissuto solamente l’ultimo. A quel punto, ciò che avrà valore assoluto per lo spirito che abbandona la materia, sarà proprio la qualità del compendio. Ma che valore potrà avere una somma di sintesi messa insieme senza il concorso della Verità? Il Potere se ne frega di che fine farà lo spirito di chi capita suo malgrado in questo mondo, ma stupisce dolorosamente che i genitori… che tanto amano le loro creature… Al potere basta che la carne del suddito si sviluppi quel tanto da permettergli d’impiegarlo in qualche modo per accrescere il PIL, ma ai genitori… che amano tanto le loro creature… Penso che, cercare la Verità per renderne edotti i figli, sia il minimo che dovrebbero fare. Per partecipare a questa ricerca i figli, salvo rare eccezioni, non possono fare affidamento su nessun altro diverso dai genitori. Ogni Potere, la sua bella “mistificazione mistica” (avvertita l’assonanza?), l’ha sempre approntata, istituzionalizzata, e tanto gli è sempre bastato per salvare la faccia davanti alla marea di stolti che ha voluto e vuole gestire. “Che il suddito lavori sei giorni alla settimana e si prenda il suo tempo libero la domenica. Come ha fatto dio. Per lo spirito, una messa può bastare.” Ah, i malefici esempi imbastiti ad hoc! In un’esistenza perfettamente naturale, invece, tutto il tempo sarebbe “tempo libero” gestito autonomamente, disponibile per fare qualsiasi cosa, e, quindi, significativo con adeguato valore trascendentale. “Che il suddito sia soggetto ad orari per sei giorni la settimana, così di domenica non potrà fare a meno degli orari.” Poche altre sono le consuetudini che contribuiscono, tanto quanto gli orari, a formare l’armento rassegnato! Orari perennemente immutabili! Pena la perdita del lavoro o peggio. Eppure: nemmeno il sole, come esempio naturale significativo, sorge e tramonta sempre alla stessa ora.
Silente mi diventa ogni natura / Al tic tac della legge e dell’ora.”
Oh, Nietszsche, che elegante assalto di fioretto!
E, per i teneri figli dei sudditi, qual è il programma "civile"? “A scuola dal quinto anno di età! La nostra benemerita scienza, tradotta in tecnologia, sta rendendo i neonati precocemente svegli. A scuola! In seguito vedremo se potranno iniziare a quattro.” Tre, due, uno… zero! “Qualche rudimento di educazione prenatale non sarebbe poi un’idea tanto cattiva. Non è escluso qualche nostro tentativo in questo senso. Con la “mappatura del genoma” stiamo leggendo il libro di dio e chissà se… forse… è probabile…che la nostra grande scienza…encomiabile…” Ma andate a f…! Perfino il Mycrobacterium tubercolosis è più “informato” di voi! E ve la fa sotto il naso! E quanti altri bacilli e virus! Piccolissimi, pressoché invisibili, ma non presuntuosi. Pensano a irrobustirsi secondo Natura, loro! Non stravolgendola a proprio danno!
(15)Lo studio: “Dinamiche del tempo nella salute mentale degli adolescenti”, pubblicato nel Journal of Child Psychology and Psychiatry, metteva in evidenza lo squilibrio tra il tempo trascorso a scuola e quello dedicato allo svago. I ragazzi sono tenuti a scuola per ore e ore di seguito (anch’essi, come i lavoratori, per sei giorni alla settimana) e, una volta aperti i cancelli della prigione, vengono mandati via con un sacco di compiti da svolgere a casa. L’inizio della valutazione del danno psichico, e non solo, sta nella risposta a questa domanda: “Quando bambini e ragazzi possono trovare il tempo necessario per fare ciò che loro stessi vogliono fare?"
Comunque non è affatto vero che i giovani d’oggi siano in realtà “più svegli” di quelli del passato. E’ la coercizione mandata ad effetto dalla tecnologia che suscita quest’impressione del tutto illusoria e al Potere fa assai comodo cavalcare quest’abbaglio: gli viene fornito un ulteriore “nullaosta” per irreggimentare sempre meglio e sempre più precocemente, con la complicità di genitori insipienti e facilmente suggestionabili. E’ sufficiente dare un’occhiata al passato per accorgersi che gl’individui del tempo che fu entravano a far parte della vita attiva (almeno per quanto permesso dal Potere) intorno ai diciotto/vent’anni, mentre oggi li vediamo ancora sostare in uno stato di brutta letargia a trent’anni e passa. Sembra che la ipotizzata precocità infantile coatta si spenga in seguito in un notevole rallentamento del processo di maturazione effettiva. Effetto dell’indottrinamento che, risultando sempre più obsoleto, al dunque non soddisfa più le naturali aspettative individuali di vita oppure si tratta di una conseguenza originata dal guasto provocato nel processo di maturazione da una precocità artificiale innestata in un organismo naturalmente non adatto a sopportarla? La questione meriterebbe di essere vagliata a fondo, in primo luogo da parte dei genitori, per il bene delle proprie creature.
Tra i tanti scritti che sono riuscito a consultare, mi sembra che la disamina presentata da Gaetano Benedetti, insegnante di psicoigiene e psicoterapia presso l’Università di Basilea, colga meglio gli aspetti salienti della problematica odierna relativa alla strutturazione psichica giovanile.
(24)Il mondo infantile di ieri era un mondo relativamente silenzioso (Quanto ci sarebbe da precisare (da rendere noto?) nei riguardi del “silenzio”! Condizione assolutamente necessaria per poter intraprendere fruttuose introspezioni e per allacciare con il proprio spirito un dialogo concludente, capace di far affiorare allo stato conscio le varie intime istanze esistenziali che necessitano di essere esaudite per raggiungere una valida e armoniosa strutturazione del proprio Io.), popolato dalle riflessioni sempre più articolate ed autonome, che il bimbo, fantasticando e assimilando, andava costruendo intorno a sé. Oggi questo mondo è maggiormente riempito di voci esterne, di rumori dei motori, delle lusinghe della reclame televisiva, di film e giornali a fumetti. E’ un mondo in cui certe persone significative, che strutturavano con saggezza naturale la realtà intrapsichica infantile, parlano in sordina. Ad esse si sono sostituite istanze anonime, che non richiedono al bimbo molta attività nell’articolazione di un suo proprio sistema di valori, e che non conoscono il bimbo. Quest’ultimo di fronte ad esse non ha altro compito che quello di ricevere, assorbire, assimilare le migliaia di informazioni indiscriminatamente offertegli. E’ la paralisi dell’Io: io sono tutti gli altri fuorché me stesso.
Nel merito di questo discorso, mi piace riportare la constatazione fatta da Oscar Wilde:
Quasi tutte le persone sono altre persone. I loro pensieri sono le opinioni di qualcun altro, le loro esistenze una parodia, le loro passioni una citazione.”
Inoltre, per continuare con Benedetti, (24)lo sviluppo della tecnica riduce le distanze cosmiche, ma aumenta quelle intrapsichiche. Pensiamo alla rapida trasformazione, al “turnover” delle informazioni ad una velocità che sembra in aumento esponenziale. E’ stato calcolato che la massa di informazioni scientifiche, che fino a pochi decenni or sono sembrava raddoppiarsi ogni secolo, adesso aumenta del doppio ogni dieci anni. Si calcola che fra qualche decennio il sapere umano sarà raddoppiato ogni anno. Nessun singolo individuo ha oramai la speranza più lontana di poter assimilare una parte significativa delle informazioni anche solo nel settore che più lo riguarda:i collaboratori del dipartimento vicino, che trattano aspetti lievemente diversi della sua stessa materia, cominciano già a parlare una lingua tecnica poco conosciuta, ricca di nuove semantiche, per non dire poi dei colleghi più lontani, che sembrano vivere in un altro pianeta scientifico. Si fa consistente l’impressione che ciascuno sia sempre più condannato ad un tipo di sapere che consiste nell’afferrare e sviscerare sempre meglio qualcosa che è sempre meno. Come diceva Bohr, il singolo perde autonomia: egli è alla mercè degli altri, esiste solo nella loro integrazione, come un piccolo congegno in una macchina incomprensibile. La sfiducia che anima oggi gli uomini in ordini sintetici di organizzazione sociale fa in modo che ci si senta dipendenti da entità imprevedibili nei loro umori e nei loro scopi.
La distanza intrapsichica di natura tecnologica aumenta ancora in un altro senso: per quanto ridotto sia rispetto alla globalità il settore affidato a ciascuno, tuttavia il cammino per coprirlo diventa sempre più irto di difficoltà. La specializzazione richiesta al singolo è sempre maggiore, né esiste alcuna garanzia che, una volta completata, la società vi aspetti a braccia aperte per remunerarvi.”
Con la mente intasata da un linguaggio esclusivamente di lavoro, e di lavoro alienante in quanto innaturale e soprattutto insignificante per quanto riguarda le Finalità Esistenziali per cui l’uomo E’, il linguaggio essenziale tende a svanire e (17)appare una sfiducia di fondo verso la parola umana in sé, considerata come una moneta svalutata, un veicolo ormai incapace di comunicare efficacemente i bisogni essenziali dell’esistenza. Indubbiamente, questa sfiducia di fondo è alimentata dall’inflazione della parola, un attributo di questo secolo in molti campi. Le scienze umane sono divenute in questo scorcio di secolo insicure dei propri scopi e dei propri metodi. Leggo in un moderno trattato americano di psichiatria e psicologia infantile l’idea che sia urgente conoscere di più in campi ove concetti e tecniche si evolvono più rapidamente di quanto è necessario per valutarne le conseguenze.”
E tra le conseguenze domina l’impossibilità di raggiungere un’autonomia individuale, di rinunciare liberamente alle soddisfazioni senza valore sollecitate dalla lusinga pubblica. Il condizionamento raggiunto attraverso l’appagamento di ogni tensione narcisistica è così forte, che molti non riescono a scavalcare l’abitudine e a porsi in modo da rifiutare l’ordine di livellamento consumistico.”
Ed entrando nel particolare, Benedetti osserva:
(24)Tale fenomeno ha la sua importanza nella patogenesi della dipendenza dalla droga, ed è tragicamente presente in certi giovani che vorrebbero, d’altro canto, avere un atteggiamento rivoluzionario verso l’esistenza ma non riescono a scavalcare i propri condizionamenti.”
Di conseguenza al fatto di non poter esistere secondo se stessi, poiché il Sistema lo impedisce sia con la malefica rete con cui avvolge gl’individui, sia con la violenza delle armi o quantomeno con la perpetua minaccia di servirsene contro chi tentasse di strappare la rete con tutte le sue forze sane, (24)l’ansia di esistere, che un tempo era solo l’ansia della castrazione è diventata ora pesante come l’aria delle nostre grandi città. Non ce ne accorgiamo, fino a quando non ci pensiamo.”
Sembra che i giochi, ideati e allestiti dal Male, siano fatti e che quindi una tremenda realtà, che annulla ogni valore e finalità dell’esistenza di chiunque, sia diventata stabile, irremovibile. Le tante speranze dei sani sono state tutte rintuzzate, dopodichè sembra che riescano a vivere solamente i balordi. Ma è solo apparenza, critica, questa, che viene avvalorata dalla constatazione che i balordi pongono il denaro come valore unico dell’esistenza, mentre basta arguire l’assenza del denaro nell’Universo Spirituale per capire quanto veramente balordi siano in sostanza.
(24)La ribellione antiautoritaria è in questo fosco orizzonte sociopolitico uno dei pochi sprazzi di luce che destano le nostre speranze.”
Non è che io sia tanto propenso a condividere questa conclusione di Gaetano Benedetti. Non vedo in giro un numero sufficiente di persone con una maturità così riflessiva e responsabile, tale da concepire un’idea di ribellione vigorosa e significativa. Vedo, piuttosto, cortei di gente che implora una sicurezza impossibile e una presenza più consistente dei suoi stessi carcerieri la cui protezione rende veramente sicura un’unica cosa: la strada ben asfaltata che conduce dritta al precipizio fatale. Ma, lasciando perdere la ribellione che troppo spesso si associa alla violenza, per nutrire qualche anemica speranza in un futuro migliore basterebbe che le persone raggiungessero una maturità capace almeno di concepire il valore e la forza della disubbidienza. Sarebbe necessario, però, che comprendessero appieno anche il senso di queste parole di Erich Fromm:
(25)Qualora i princìpi ai quali si obbedisce e quelli ai quali si disobbedisce siano inconciliabili, un atto di obbedienza a un principio costituirà di necessità un atto di disobbedienza al suo opposto, e viceversa. Antigone costituisce l’esempio classico di questa dicotomia. Obbedendo alle inumane leggi dello Stato, Antigone per forza di cose disobbedirà alle leggi dell’umanità; obbedendo a queste, non può non disobbedire a quelle. Però, spiega il Grande Saggio, per disobbedire, bisogna avere il coraggio di essere soli, di errare e di peccare. Ma il coraggio non basta. La capacità del coraggio dipende dal grado di sviluppo di una persona. Soltanto chi si sia sottratto al grembo materno e agli ordini del padre, soltanto chi si sia costituito come individuo completamente sviluppato, e abbia così acquisito la capacità di pensare e di sentire autonomamente, può avere il coraggio di dire “no” al potere, di disobbedire. Una persona può diventare libera mediante atti di disubbidienza, imparando a dire “no” al potere. Ma , se la capacità di disobbedire costituisce la condizione della libertà, d’altro canto la libertà rappresenta la capacità di disobbedire. Se ho paura della libertà (e le invocazioni di una sorveglianza maggiore attestano chiaramente la salda presenza di questa paura in un numero impressionante di esseri umani… o pseudoumani?), non posso osare di dire “no”, non posso avere il coraggio di essere disobbediente. In effetti, la libertà e la capacità di disobbedire sono inseparabili, e ne consegue che ogni sistema sociale, politico e religioso che proclami la libertà, ma che bandisca la disobbedienza, non può dire la verità.”
Che stretta maligna al cuore, mi prende ogni qualvolta mi succede di meditare su codesta verità! In che tomba orrenda, siamo stati scaraventati ancora vivi! Sono poco convinto del fatto che possa essere l’Uomo a rimediare ai troppi errori commessi dalla società “civile”. Non ci può riuscire un uomo che oramai (26)si è buttato sulla disponibilità dei beni e del tempo libero con una avidità veramente sconsiderata. – una considerazione formulata da Nando Fabro che di seguito getta un’occhiata sul nostro pessimo stato esistenziale, cogliendone alcuni aspetti essenziali che esplicita dimostrando un’ottima attitudine alla sintesi – Preso nella spirale “produzione-consumo, rischia di trasformare un mezzo di liberazione (la possibilità del consumo) in un nuovo e diverso strumento di alienazione che si sta costruendo con le sue stesse mani: la schiavitù del consumo.
Nella nuova condizione, mentre le strutture sociali vanno sempre più orientandosi nel senso della socializzazione ( il guaio principale compare, ovviamente del resto, sempre e puntualmente ove ci sia un moto spietatamente diretto verso la voragine scavata dal Male per annullare in essa l’esistenza umana, odiata coscienza vitale della Creazione.) e costringono in qualche modo (in tutti i modi!) l’uomo ad una concatenazione inesorabile di rapporti di dipendenza nel settore della produzione, vengono alla luce della coscienza il senso della solitudine e della incomunicabilità, e diventano angoscia, un’angoscia che i consumi e il tempo libero inteso come divertimento, anche se progettati e vissuti fino allo stordimento, non riescono a colmare.” Non credo che un essere umano afflitto da angoscia persistente e crescente possa riuscire a rimediare a quei tanti errori che proprio paura e angoscia gli hanno fatto commettere in misura spropositata. Come può, offuscato dall’angoscia originata dalle sue stesse opere, riesumare (è il termine più consono) dall’oscurità più recondita del proprio spirito il corroborante ricordo-sensazione del candore e della beatitudine dello “stato naturale”? Io sono del parere che sarà la Natura l’artefice di un ravvedimento drastico dell’Uomo e ciò avverrà allorquando l’uomo scannerà l’uomo non per il petrolio ma per l’acqua. Del resto, se la società “civile” è la ragione prima e il crogiuolo degli errori, non può essere che sia essa stessa ad escogitare dei rimedi. Tali provvedimenti si manifesterebbero puntualmente come nuovi, e sempre più clamorosi, errori. Non si possono risolvere i problemi con lo stesso livello d’intelligenza che li ha creati. E la scienza stessa sta attestando che l’intelligenza umana è in declino costante, non in ascesa (un ottimo libro sull’argomento è “Elogio dell’imbecille” di Pino Aprile). Lo conferma anche il fatto che in un tempo lontano, quantunque già abbastanza corrotto dalla “civiltà” (sicuramente in misura sempre maggiore dopo l’avvento della “civiltà greca” e come diretta conseguenza dell’influenza da essa esercitata), qualcuno riusciva ancora ad intuire taluni aspetti importanti della Verità Naturale, mentre nel nostro tempo pressoché nessuno si dimostra capace d’intendere il linguaggio della Verità, nemmeno nella sua espressione più semplice che la Natura manifesta a tutti chiaramente con la propria conformazione. Oggi, perfino la lettura di alcuni versi di Orazio, voce proveniente da una “civiltà” che era già in uno stadio avanzato di corruzione, lungi dal giungere alla mente dei contemporanei con tutta la sua profonda e valida simbologia, susciterebbe soltanto commenti insulsi, equiparabili a squallide spiritosaggini.
(27)Inutilmente un dio previdente / separò dall’oceano inospitale le nostre terre, / se empie continuano le navi (che non avevano motori inquinanti né trasportavano petrolio o rifiuti tossici o altri veleni) / a percorrere le acque che dovrebbero ignorare. / Audace nell’affrontare i rischi, / si avventa il genere umano in tutto ciò che è sacrilego (nel senso più naturale del termine): / audacemente il figlio di Giàpeto (Prometeo) / con una frode sinistra fra noi introdusse il fuoco; / ma poi che la fiamma fu sottratta / all’Olimpo, una marea di malanni sconosciuti / che sfibrano piombò sulla terra, / e il destino, che un tempo era lento e quasi indecifrabile, / affrettò il passo della morte.
Avviandosi alla conclusione della sua lettera e sotto il peso delle preoccupazioni elencate e meditate con sofferenza M. E., madre desiderosa di essere veramente madre, scrive: “…nella mia mente affiora un’altra parola: “dedizione”.
Attenzione, M. E.! “dedizione” è sinonimo di “abnegazione”, cioè: “rinuncia alla propria volontà” il che, a sua volta, significa “cessazione delle propria esistenza”.
Ogni azione esige la ricompensa di una gratificazione. Anche un atto si sacrificio estremo mira all’ottenimento di gratificazione, talvolta accontentandosi perfino di ottenerla post mortem. Le richieste di gratificazione della “dedizione”, però, di solito sono esigenti in maniera orrenda e, per giunta, la “dedizione” fa in modo di ottenere soddisfazione con una serie di strategie a dir poco subdole e, non bastasse, perverte l’istanza di gratificazione in istanza di “compensazione”. Cara M. E., adoperandoti con vera dedizione nella cura dei tuoi due figliuoli potresti venirti a trovare, senza nemmeno accorgertene, in uno stato psichico che ti farebbe agire in modo tale da farti diventare la direttrice assoluta della loro esistenza. Per loro programmerai con anticipo assurdo e meticolosità ossessiva un successo sociale che dovrà avere i connotati precisi di un’idea di successo tutta tua e se il tuo programma fallirà soffrirai in maniera atroce. Patirai perché, avendo rinunciato a vivere la tua esistenza direttamente, avrai preteso di viverla tramite quella dei tuoi figli e un loro eventuale insuccesso diventerà il tuo secondo fallimento. E in tutti i casi in cui entra in gioco la dedizione, quella vera, assoluta, il fallimento e l’esito più frequente. Se, diversamente, i tuoi figli si riveleranno di carattere così naturalmente forte da riuscire a distaccarsi da te, soffrirai per il loro distacco che avrà infranto tutti i tuoi sogni e un’aggiunta di sofferenza te ne deriverà dal fatto che ti ritroverai a rimpiangere amaramente di non aver saputo instaurare un giusto equilibrio tra il vivere appieno la tua esistenza e l’amorevole dovere di allevare i tuoi figli secondo se stessi. Inoltre, non sarai tu sola a soffrire, perché, tra gli stati d’animo che più fanno patire un figlio a causa della madre, quello che s’instaura osservando la madre appassire mentre i suoi traboccano ancora di dedizione, è senz’altro il più crudele.
(1)Angelo tutto bellezza, conosci tu le rughe, /
la paura degli anni e il ripugnante supplizio / di leggere l’intimo orrore della dedizione / in occhi dove i nostri bevvero avidi a lungo? / Angelo tutto bellezza, conosci tu le rughe? (Baudelaire)
Esiste per ogni singolo uomo un destino unico e irripetibile: diventare ciò che si è fin dal primo istante del concepimento. Ripeto: non quel che si è già un istante dopo la nascita, bensì quel che si è già un istante dopo il concepimento. Ovvero: quel che si è già quando la scienza ancora non vede quel che si è. La scienza non è in grado di vedere lo spirito, “l’energia che plasma la materia”, nemmeno con le sue lenti più potenti. La realizzazione di ciò che si è in origine è violentemente impedita dalla società, artificio del Male, che favorisce la creazione d’illusioni e l’insorgenza di irrigidimenti mentali e spirituali affinché la proteggano dal pericolo che qualcuno possa intuire che nessun ideale e nulla di certo e duraturo potrà emergere dallo schema che essa ha sviluppato a tastoni, con i soliti due intenti invariati: perpetuare il dominio dell’uomo sull’uomo e avversare la Natura in quanto Creazione, infinitamente odiata dal Male.
No, M. E., lungi da me l’idea di darti consigli su come allevare i tuoi figli, ma, per la simpatia che la tua lettera m’ha ispirato, un invito a lasciar perdere la dedizione te l’ho voluto presentare di cuore. Scusami e lascia la dedizione ad altri. Lascia la dedizione a persone come me, che hanno avuto lo straordinario destino di poter conoscere ed apprezzare la naturale ricchezza inestimabile delle persone down. La dedizione, come ho detto, per non degenerare in qualcosa di pessimo esige compensazione gratificante e solo le persone down la sanno dare in maniera immediata e costante, cosicché la dedizione, perdendo tutti i suoi connotati di sacrificio e non innescando recriminazione alcuna, diventa fonte perpetua di soddisfazioni dolcissime. In casi simili al mio, la dedizione è esistenza radiosa, in quasi tutti gli altri è modesto ed infido ripiego proposto dall’incapacità di vivere.
Prima di terminare la lettera con l’umanissimo augurio “forza e coraggio a tutti coloro che scelgono la vita nonostante tutto”, M. E. dice: “Mi piacerebbe parlare anche di questa società snaturata, che ci vuole tutti belli, sani e produttivi (soprattutto!) e ci consuma e ci sfrutta creando falsi bisogni, ma lascio perdere, perché non era questo l’argomento che volevo affrontare.
Beh, al suo posto ne ho parlato io. Speriamo solo che M. E., dopo aver letto questa lunga risposta alla sua gradita lettera, se la leggerà, non dica: “Adesso vo’ a fare la musa di professione.”, avendo constatato quanto abbiano ispirato le sue parole.
A risentirci, carissima M. E.!
Lorenzo Lombardi
PS - Consapevole di non poter sviluppare personalmente, durante una piacevole conversazione privata, i tanti argomenti sfiorati lungo la stesura di questo scritto, nel testo ho citato a beneficio del lettore un buon numero di autori che hanno scritto dei libri che meritano di essere letti con viva attenzione. Posso assicurare che ciascuno di questi libri è capace di agire nel lettore alla stregua di un ottimo diuretico per le menzogne che gli sono rimaste in corpo. Trovare il tempo per leggerli, magari sottraendone un po’ alla quotidiana “caccia al soldo”, darà modo allo spirito di assaporare una leggerezza rivitalizzante. Senza zavorre addosso, il commino verso la Verità, esiliata dalla società "civile", si fa immediatamente più spedito.
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BIBLIOGRAFIA
(1) "I fiori del male" di Charles Baudelaire - p. 47 - traduzione di Luciana Frezza - (© 2004 RCS Quotidiani S. p. A. - Milano)
(2) "Il mestiere di vivere" di Cesare Pavese - pp. 69, 52 - (Edizione Club degli Editori su licenza © 1952 by Giulio Einaudi Editore)
(3) "Breviario del caos" di Albert Caraco - pp. 61, 40, - traduzione di Tea Turolla - (© 1998 Adelphi Edizioni S. p. A. - Milano)
(4) "Gli otto peccati capitali della nostra civiltà" di Konrad Lorenz pp. 28, 29 - traduzione di Lucia Biocca Marghieri e Lore Fazio - Lindner (© 1974 Adelphi Edizioni S. p. A. - Milano)
(5) "Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci - p. 10 - (Edizione Club su licenza © 1975 RCS Rizzoli Libri S. p. A. - Milano)
(6) "Scienza e dominio" di William Leiss - pp. 33, 35, 37, 54, 59, 60, 62.70, 71 - traduzione di Paola Campioli - (© 1976 Longanesi & C. - Milano)
(7) "Congetture e Confutazioni" e "Il dibattito epistemologico post-popperiano" a cura di Giorgio Brianese - p. 30 - (© 1988 G. B. Paravia & C. S. p. A. - Torino)
(8) "Alla ricerca di un mondo migliore" di Karl R. Popper - p. 16 - traduzione di Barbara Di Noi - (Edizioni CDE S. p. A. - Milano su licenza © 1989 Armando Armando s. r. l.)
(9) "Rivista di psicologia analitica" anno 5°, n°1 - Marsilio Editori
(10) "La volontà di potenza" di Friedrich Nietzsche - (© 1996 Libritalia)
(11) "Psicanalisi della società contemporanea" di Erich Fromm - pp. 15, 23 - traduzione di Carlo De Roberto - (© 1977 Edizioni di Comunità - Milano)
(12) "Einstein: Teoria dei quanti di luce e Vita e Opere" a cura di Armin Hermann - p. 88 - traduzione di Jacques Hendrix - (© 1972 Newton & Compton Editori s. r. l.)
(13) "Il mio pensiero" di Bertrand Russell - p. 93 - traduzione di Giorgio Meineri - (© 1997 Newton & Compton Editori s. r. l.)
(14) "Regole per la guida dell'intelligenza" di Cartesio - pp. 141, 143 - traduzione di Lucia Urbani Ulivi - (Edizione Mondolibri S. p. A. - Milano su licenza © 2000 RCS Libri S. p. A. - Milano)
(15) "L'Amore Infinito è l'Unica Verità (tutto il resto è illusione) di David Icke - p. 17 - Luisa Natalia Monti - (© 2006 Macro Edizioni - Diegaro di Cesena, FC)
(16) "Ebraismo" di Jacob Neusner in "Religioni a confronto" a cura di Arvind Sharma - pp. 418, 479 - (Edizione CDE S. p. A. - Milano su licenza © 1996 Neri Pozza Editore)
(17) "Gli illuministi francesi" a cura di Pietro Rossi - pp. 37, 45, 47, 49, 15, 17, 21, 31 - (© 1962 Loescher Editore - Torino)
(18) "Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)" di Piergiorgio Odifreddi - pp. 29, 9, 33, 34 - (© 2007 Longanesi & C. - Milano)
(19) "Forme epistemologiche contemporanee: bilancio storico critico" di Enrico Garulli (Università di Urbino) in "Scienza e Filosofia oggi" a cura diGiancarlo Galeazzi - pp. 22, 23, 38, 39 - (© by Editrice Massimo - Milano)
(20) "Storia degli Indiani del Nord-America" a cura di Gianfranco Corsini - pp. 60, 64, 72, 15, 16, 113, 114, 155 - (© 1974 Casa Editrice G. D'Anna - Messina, Firenze)
(21) "Legami spezzati" di Rabindranath Tagore - p. 139 - in "Collana premi Nobel per la Letteratura" - (© 1965 ratelli Fabbri Editori - Milano)
(22) "Pensieri" di Blaise Pascal - pp.55, 56 - traduzione di Paolo Serini - (Arnoldo Mondadori Editore su licenza © 1962 Giulio Einaudi Editore)
(23) "L'orrore economico" di Viviane Forrester - pp. 7, 10, 15-16, 18-22 - traduzione di Anna Maria Mori - ( TEA Editori Associati S. p. A. - Milanosu licenza © 1997 Ponte alle Grazie S. p. A. - Firenze)
(24) "Psicologia e società moderna" di Gaetano Benedetti - pp. 41, 47, 48, 42, 55 - in "Rivista psicologica analitica" (anno 5°, n° 1) - (Marsilio Editori)
(25) "La Disobbedienza e altri saggi" di Erich Fromm - pp. 13, 14, 17 - traduzione di Francesco Saba Sarti - (Edizione Club del Libro su licenza © 1982 Arnoldo Mondadori Editore S. p. A.)
(26) "L'uomo alla riscoperta di se stesso" di Nando Fabro - pp. 20, 21 - in "Riscoperta dell'uomo - Dal mito all'antropologia critica" - (© 1967 Arnoldo Mondadori Editore)
(27) "Odi Epodi" di Quinto Orazio Flacco - p, 11 - traduzione di Mario Ramous - ( © 1986 Garzanti Editore S. p. A.)
(28) "Così parlò Zarathustra" di Friedrich Nietzsche - versione e appendici di M. Montinari - (© 1976 Adelphi Edizioni S. p. A. - Milano)
(29) "Una stagione in inferno", "Illuminazioni" di Arthur Rimbaud - traduzione di Ivos Margoni e Cesare Colletta - p. 23 - (© 2004 RCS Libri S. p. A. - Milano)
(30) "Poesie" di Bertolt Brecht - p. 149 - traduzioni di Emilio Castellani, Roberto Fertonani, Cesare Cases, Mario Carpitella, Ruth Leiser, Franco Fortini - (© 2004 RCS Quotidiani S. p. A. - Milano - su licenza © 1992 Giulio Einaudi Editore S. p. A.)
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