Cronache da un altro mondo

Disquisizioni e orientamenti su questioni esistenziali, sia spirituali che materiali. In gran parte espressioni originate dal genuino punto di vista di un ragazzo particolare e interpretate fedelmente da chi ha avuto modo di conoscere profondamente le sue qualità speciali e si è assunto l'impegno d'assisterlo con precisione nello sviluppo e nell'esposizione delle sue idee e sentimenti, confidando in un esito piacevole e fruttuoso. [Leggere "PRESENTAZIONE" nell'archivio - 12/06/2006]

2.7.06

IV° - LA PUBBLICAZIONE DEL MIO PRIMO ARTICOLO: "ANNI DI SCUOLA"

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Dopo la pubblicazione dell'articolo di Renzo Magosso, corredato dalle splendide fotografie scattate dall'ottima Emanuela Gambazza, il Direttore del settimanale Gente, Pino Aprile, mi ha simpaticamente proposto di scrivere un articolo concernente le mie memorie scolastiche. Potete ben immaginare quanto alto sia schizzato il livello della mia apprensione, frammista a un'emozione indescrivibile, per il fatto di trovarmi di botto nei panni di giornalista. Poi, quando il mio scritto è stato pubblicato, ho provato una gioia immensa, altrettanto... indescrivibile. Ora mi accingo a presentare qui codesto mio primo articolo, per chi non l'abbia già letto nel n° 36 di Gente dell'8 settembre 2005 e voglia farsene un'idea.
Prima, però, è mio desiderio presentare in forma chiaramente leggibile l'Editoriale che Pino Aprile ha scritto per l'occasione.
Buona lettura!

LA LEZIONE DI FABIO

NEL REPORTAGE SULLA SCUOLA, C'E' IL PRIMO ARTICOLO DI UN GIOVANE ASPIRANTE GIORNALISTA. E' DOWN. MI HA INSEGNATO QUALCOSA.

Care lettrici, cari lettori, questa settimana esordisce su Gente un giovane aspirante giornalista. Si chiama Fabio Lombardi, ha 19 anni; lo conoscete già, perché parlammo di lui alcuni numeri fa: è il primo italiano affetto da sindrome di Down a essersi diplomato col massimo dei voti. Quando gli chiedemmo cosa gli piacerebbe fare, rispose: "il giornalista". E la mia (non solo la mia) reazione istintiva fu un'alzatina di spalle. Come a dire: "Poverino, non potrà mai." Un down può fare molte cose, se con insegnanti e programmi speciali viene aiutato a sviluppare le sue capacità. E può svolgere un lavoro. Già, quale? Sul principio, siamo tutti d'accordo, sull'applicazione del principio quasi tutti, temo, pensiamo che il lavoro più adatto a un down non è quello che facciamo noi. Affidereste il progetto della vostra casa a un ingegnere down? Salireste su un autobus guidato da un autista down? (nel merito di questi interrogativi entreremo in pieno quando, terminati i post di presentazione, che per me sono come delle credenziali, parleremo di attualità di ogni genere - nota di F. L.) Io non so cosa siano davvero in condizione di fare le persone con questa sindrome. Ma, se ognuno ritiene che il lavoro a essi più idoneo è sempre un altro, il

lavoro del down non esisterà mai. Mio padre una cosina me l'ha insegnata: "Se credi che una cosa sia vera per gli altri, dev'esserla anche per te." Fabio sogna di fare il giornalista: invece di cercare il lavoro adatto a lui, vogliamo vedere come se la cava con quello che gli piace? Quando ho comunicato la mia idea in redazione, ci sono stati commenti di ogni tipo (nessuno contrario, giuro). E battute, che Fabio ci perdonerà, sulla certezza che sia davvero lui il primo... Molti hanno rimosso dai ricordi il primo giorno di scuola. Non dev'essere stato bello, se la memoria è selettiva e tende a conservare le emozioni piacevoli. Il primo impatto con un'istituzione che resra forse l'unico "rito di passaggio" diffuso in tutto il mondo, qualunque siano cultura e religione, ci segna a vita.

Tanti bambini l'affronteranno, fra pochi gioni. Abbiamo voluto mostrare come, nel mondo. A Fabio ho chiesto di raccontare la sua esperienza, perché la scuola può immiserire il futuro di una persona o ingigantirlo. Ero deciso a pubblicare qualunque cosa ci avesse mandato. Quasi qualunque. A patto che facesse tutto da solo. Invece, il padre ha dovuto aiutarlo: gli ha ricordato di rispettare i tempi dei verbi e ha sforbiciato l'articolo, prima di inviarcelo: perché lungo cinque volte tanto; ancora adesso è il doppio. Ma non ho avuto il coraggio di tagliarlo oltre. Fabio è bravo: ha molto da raccontare; lo fa con metodo, profondità e cuore. E precisione. La mia lettura degli articoli è distaccata, professionale. Poi sono arrivato al punto in cui, finito il primo giorno di scuola, passato a guardare il cielo dalla finestra, Fabio chiede al padre: "Sei contento di me?" E lui risponde: "Di tutte le cose della mia vita, sei quella di cui sono più contento." Lì ho cominciato a schiarirmi la gola. Le scuole stanno per riaprire. Io una lezione l'ho già avuta. Da Fabio.

Pino Aprile

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Ringrazio la Direzione del settimanale Gente per avermi gentilmente concesso l'autorizzazione a riportare in questo blog i miei racconti, nel preciso contesto fotografico con cui sono stati pubblicati dalla rivista.

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ANNI DI SCUOLA

(testo originale)

Amici carissimi... infine ce l'ho fatta! Ho portato a termine il mio percorso scolastico e di questa esperienza desidero parlarvi un po'.

La mia vita da studente è cominciata 13 anni fa. Allora avevo sei anni e, oggi, la memoria del mio primo giorno di scuola è piuttosto incerta. Ricordo a malapena che una mattina uscii da casa con una cartella molto leggera. Conteneva un diario, un quaderno e un astuccio con penne, matite e colori. I miei genitori mi accompagnarono in uno stanzone pieno di banchi e lì una donna m'indicò in quale posto dovevo starmene seduto, composto e quieto. Sono sicuro che fosse una bellissima giornata di settembre, perché non smisi mai, per tutta la durata delle... lezioni, di guardare il cielo attraverso la finestra. Fissavo il cielo e mi sembrava di essere stato portato in quella stanza per punizione. Finalmente, dopo un periodo di tempo davvero lungo, io e i miei compagni di classe uscimmo dalla scuola, tutti in fila per due. Fuori, ad aspettarmi, c'era mio papà. Io gli corsi incontro e, mentre camminavamo verso casa, gli domandai: "Sei contento di me?" Lui mi rispose: "Di tutte le cose e le persone di questo mondo, sono veramente contento soltanto di te. E della nostra famiglia." Sì, la mamma è brava e anche mia sorella Laura lo è.

Rasserenato dalle parole di mio papà, poi sentite più volte nel corso degli anni, ho continuato ad andare a scuola senza tanti problemi. Per giorni, per mesi... per anni?... bah, non ricordo bene, continuai a cercare nel mio astuccio penne e matite che scrivessero bene e con esse riempivo pagine e pagine dei miei quaderni con segni che mi sembravano tante onde del mare. A me piace molto il mare e ho imparato presto a nuotare bene. invece, mi è stato più difficile imparare a trasformare in vocali e consonanti le onde fatte dalle mie penne. Dopo non so quanto tempo, la mia maestra mi consigliò di scrivere in stampatello, visto che la cosa mi riusciva più facilmente. Però, star dietro ai dettati, scrivendo in stampatello, era impresa impossibile. Così, mentre i miei compagni erano tutti intenti a scrivere, io restavo a bocca aperta, cercando inutilmente di ricordare il fiume di parole che udivo, per poterle poi scrivere con calma sul mio quaderno.

Stufo di non riuscire a fare ciò che i miei compagni facevano abitualmente, un giorno, durante un dettato, mi misi a scrivere in corsivo e la cosa mi riuscì abbastanza bene. Ricordo ancora i complimenti della maestra e dei miei genitori. credo che questo sia stato il momento più bello di tutta la mia esperienza scolastica alle elementari. Ero felice, perché, dopo tanti e tanti esercizi di scrittura, mi dicevano "bravo", e non "testone", per degli scarabocchi appena appena leggibili.

Con la lettura me la cavai meglio. Al quinto anno delle elementari sapevo leggere piuttosto bene e a casa tanti libri avevano cominciato a tenermi buona compagnia. Mi sembrava, finalmente, di avere anch'io degli amici. Tanti amici! La mia testa stava bene assieme a loro e da allora non li ho più lasciati.

Essere promosso dalle elementari alle medie non fu una cosa tanto bella. Abbandonare la scuola a cui mi ero abituato fu triste e ancor più mi fece star male non avere come insegnate la mia solita, gentile e paziente, maestra. Brava e buona com'era, oltre a leggere e scrivere mi aveva insegnato con premura tante altre cose utili. Ad esempio: a usare un gabinetto diverso da quello di casa mia e a cambiarmi velocemente di vestito per fare ginnastica. Alle elementari c'erano anche altre insegnanti che venivano a far lezione nella mia classe, ma non mi è rimasto un qualche ricordo di loro. La mia maestra speciale si chiamava Loredana e solo di lei oggi mi ricordo.

Anche durante i tre anni di frequenza alle scuole medie mi sono stati assegnati insegnanti speciali. Sei o sette in tre anni, però! In più c'erano tanti professori. Uno diverso per ogni materia di studio. Mi sarebbe piaciuto seguire le loro lezioni e provare a fare gli stessi esercizi scolastici che ogni giorno impegnavano i miei nuovi compagni di classe, ma, purtroppo, io potevo svolgere soltanto i compiti che mi venivano dati dal mio insegnante speciale... di turno. Pochissimi compiti, in verità. Eh, sì. Uomini o donne che fossero, tutti i miei insegnanti speciali delle scuole medie avevano una gran passione per i treni e perciò quasi ogni giorno io entravo nella mia classe alle otto in punto per uscirne poco dopo succhiando una caramella, diretto alla stazione ferroviaria della mia città assieme al mio accompagnatore... speciale. Quando rientravo in classe, verso la fine delle lezioni, i miei compagni mi guardavano in modo strano, come se non fossi uno come loro, e io non avevo il coraggio, e forse a quel tempo neanche le parole, per dire: "Sono un ragazzo come voi. Voglio stare assieme a voi." E così, proprio a causa delle numerose visite alla stazione, molti dei giorni trascorsi alle medie li ricordo come i più brutti di tutta la mia storia scolastica. Sicuro! Per me la cosa più bella dell'andare a scuola è poter stare in compagnia di altri ragazzi e insieme a loro darmi da fare per imparare cose nuove. Imparare ascoltando i professori, ma anche chiacchierando tanto tra di noi alunni. Ma, costretto a passare gran parte delle ore di scuola guardando con indifferenza i treni in arrivo e in partenza e qualche volta passeggiando sulle mura della mia città per "studiare" le foglie degli alberi, non riuscii mai a provare il piacere i stare veramente nel gruppo formato dagli studenti della mia stessa classe.

Comunque, anche se a scuola facevo poco, a casa studiavo per ore e ore con l'aiuto di mio papà, e in qualche modo superai gli esami di terza media. A volte m'impegnavo fino ad avere gli occhi rossi e gonfi, tante erano le difficoltà che incontravo cercando di capire e riuscire a fare. Quando mio papà s'accorgeva che i miei occhi erano diventati rossi e gonfi mi diceva: "Piangi pure. Non trattenerti. Non vergognarti. Le lacrime purificano gli occhi e, con questi, la mente." e per quel giorno smettevamo di studiare. Poi ggiocavamo, aspettando l'ora della cena, durante la quale spesso sentivo i miei genitori parlare di insegnanti che aspettano soltanto il "ventisette" del mese e non vogliono essere tanto disturbati nell'attesa. Se qualcosa ho capito dai discorsi dei miei famigliari, ora, a diciannove anni, mi sento di dire che la cosa peggiore che un insegnante possa fare è quella di stare in mezzo ai propri allievi solo per aspettare il "ventisette".

Finite le vacanze, durante le quali avevo cancellato le brutte esperienze fatte alle scuole medie, i miei genitori decisero d'iscrivermi alle superiori e così cominciai a frequentare l'Istituto Professionale "Fabio Besta", in Treviso, scegliendo il ramo commerciale.

La nuova scuola era un grande edificio di tre piani, con i soffitti alti, i corridoi larghi, le aule spaziose, e circondato da un parco con alberi altissimi. quando vi entrai per la prima volta ero molto emozionato. Sul portone, mi ero fermato e avevo cercato il viso di mio papà tra la folla di studenti, ma sapevo di essere solo. Per la prima volta solo, davanti a una scuola importante e sconosciuta. Mi feci coraggio dicendomi che in qualche maniera mi sarei arrangiato, ma subito un brutto pensiero mi fiaccò: se le medie erano state peggiori delle elementari, le superiori sarebbero state peggiori delle medie? Avrei dovuto soffrire per altri cinque anni, ubbidendo a un insegnante speciale interessato unicamente al "ventisette"? Che mi avrebbe tenuto lontano dai miei compagni come se fossi un disturbatore. Cosa potevo fare, io, per essere uguale agli altri studenti?

Entrato nell'aula assegnata alla mia classe, formata da venti ragazze più un altro maschio oltre a me, avevo sentito una gran voglia di far capire che non ero per niente contento e mi sedetti sulla sedia del mio banco dando le spalle alla cattedra. Dopo qualche attimo, ci fu l'incontro con la mia nuova insegnante speciale, Annalisa Paris, che con un sorriso radioso mi disse di sedermi in modo corretto. Da quel momento in poi l'idea, che avevo della scuola, cambiò rapidamente e giorno dopo giorno le materie di studio diventarono per me sempre più interessanti. Lavoravo quasi sempre assieme alle mie compagne, pronte ad aiutarmi con tanta gentilezza quando mi trovavo in difficoltà, mentre la professoressa Paris seguiva con attenzione lo svolgimento dei miei esercizi, per cogliere tutti i miei punti deboli. Più volte durante una settimana io e la mia professoressa speciale, questa volta veramente speciale, andavamo da soli nella sala multidisciplinare e per qualche ora lavoravamo sodo per eliminare le mie incertezze e correggere i miei errori. Più tempo trascorrevo con lei, più mi sembrava che il mio cervello si allargasse. Mi sembrava di capire tutto molto più facilmente. La mia cartella leggera era diventata uno zainetto che col tempo aumentava di peso. Questo perché la professoressa Paris voleva che avessi sempre con me tutti i lavori, i temi e gli esercizi fatti in precedenza, per verificare che non avessi dimenticato nulla di quanto avevo imparato. Se si accorgeva di qualche mia dimenticanza, pescava dallo zainetto il quaderno o il testo giusto e assieme ripassavamo una determinata lezione. Oh, come era diventato pesante il mio zainetto! Ma io portavo volentieri quel peso sulle mie spalle. Ogni mattina mi svegliavo con una gran voglia di andare a scuola, per incontrare le mie compagne e Dario, con il quale avevo fatto amicizia, e poi per seguire le lezioni sentendomi tranquillo. A casa, continuavo a studiare con mio papà come al tempo delle medie, ma non ho mai più avuto gli occhi arrossati.

Ad un certo punto degli studi la professoressa Paris iniziò a fare qualcosa che fu molto importante per me. Questo qualcosa lo chiamava "mediazione". Lei mi dava una piccola traccia e io prontamente continuavo il discorso su un preciso argomento di studio. Con questo metodo potei essere interrogato normalmente dagli altri professori su tutte le materie, ma non solo. Anche la mia capacità di apprendimento migliorò molto. Lei mi conosceva bene e le tracce che mi suggeriva erano sempre adatte a darmi la spinta giusta per ragionare correttamente. Col tempo le tracce si fecero sempre più piccole e la mia autonomia più grande. Poi il "metodo" è entrato in me e io ho cominciato ad arrangiarmi da solo. Quante materie ho studiato! E tutte, grazie all'aiuto della mia professoressa particolare, avevano smesso di essere mostri che mi assalivano cattivi ogni volta che aprivo un libro o un quaderno. Matematica, la materia più dura, che però mi serve molto per capire quanto spendo quando compro qualcosa e mi ha reso più facili certi esercizi di economia aziendale. Studiare Diritto mi ha fatto conoscere l'organizzazione del lavoro degli uomini e la sua protezione sociale. Storia e Religione mi hanno fatto pensare molto, ma più di tutto mi è piaciuto studiare la Letteratura Italiana. Poi informatica e Trattamento Testi, con un po' di conoscenza della lingua inglese. La prima volta che ho visto un computer ero sicuro che non sarei mai riuscito a farlo funzionare a dovere, invece, dopo poche ore passate in sala multimediale, ho capito che io e il computer saremmo diventati amici per sempre e che insieme avremmo fatto tante belle cose. Il computer, prima di tutto, mi aiuta ad essere più veloce nella scrittura. Scrivendo a mano sono un po' lento. Non troppo, però.

Sì, la scuola mi ha dato un grande aiuto per la mia vita e per questo ringrazio tutti i professori del "Besta" per il loro insegnamento tranquillo e ringrazio particolarmente il mio insegnante di ginnastica per avermi consigliato di iscrivermi a una scuola di karate per migliorare il mio tono muscolare e le mie reazioni nervose. Così ho potuto conoscere uno sport che mi piace moltissimo. Ora sono già cintura arancione. ringrazio anche le segretarie e le collaboratrici e i collaboratori scolastici dell'istituto per la gentilezza e la premura che hanno sempre usato nei miei riguardi.

Fin dai primi giorni mi sono trovato bene all'Istituto "F. Besta", poi le cose sono anche migliorate. La professoressa Paris mi sembrava la Fata Turchina e io mi sono sentito bene nella parte di un Pinocchio che impara tante cose per "magia" della fata che si prende cura di lui. Durante il terzo anno, poi, le fate sono diventate due. E' successo perché la professoressa d'Italiano, Maria Carla Vian, mise tanto impegno nel farmi apprendere la sua materia. Con lei, leggere e capire l'Orlando Furioso, le Novelle del Boccaccio, le Poesie di Pascoli, di Leopardi e gli scritti di tanti autori è stata una cosa meravigliosa. Non avrei mai smesso di studiare con lei al mio fianco. Poi, ecco che anche questa professoressa ha fatto una grossa "magia". Ha preparato per me un metodo di "apprendimnto visivo" che mi ha spalancato gli occhi e la mente. Iniziando da dei quadri e poi guardando le cose del mondo, ho cominciato a vedere un sacco di particolari che prima non vedevo proprio. Con l'aiuto della professoressa Maria Carla Vian sono perfino riuscito a spiegare questo metodo di "apprendimento visivo" davanti ad un pubblico numerosissimo, seduto nella sala congressi dell'Istituto "Palladio" di Treviso. Per la spiegazione ho usato molto bene un computer portatile. Erano venute a vedermi anche le collaboratrici scolastiche del mio Istituto. Alla fine mi sono sentito molto contento per i complimenti che tante persone mi hanno fatto. E anche abbastanza sorpreso, perché io non mi sento mai bravo come vorrei, come lo sono gli altri. Per questo motivo divento molto timido con chi non mi conosce bene.

Ora che i cinque anni di studio al "Besta" sono finiti, ora che perfino i giornali e le televisioni hanno parlato del mio particolare successo agli esami di maturità, voglio dire che due fatti mi hanno colpito, sorpreso, in maniera grandiosa: gli effetti su di me delle "magie" fatte dalle professoresse Paris e Vian. In cinque anni mi hanno cambiato completamente. Prima d'incontrarle neanche sapevo se mi piacesse studiare oppure no. Adesso so che non smetterò mai. Continuerò a studiare anche se non andrò più a scuola, anche se troverò un lavoro. Adeso so che studire per capire meglio le cose del mondo e della mia vita è un piacere tutto mio e non un modo per far contenti i genitori.

Per finire questa scrittura di una parte dei miei ricordi scolastici desidero mandare, dalle pagine di questo bel settimanale, un caloroso saluto a tutte le mie ex compagne di classe e al mio amico Dario e dire a tutti loro che ancora mi ricordo delle ventuno magnifiche lettere ricevute durante le vacanze natalizie del primo anno di scuola. Alle quali ho risposto con tanta gioia, mentre nella mia testa c'era questo pensiero: "Finalmente i miei compagni di studio si sono accorti che in mezzo a loro ci sono anch'io.".

Fabio Lombardi

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